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R.BRUNETTA (Editoriale sul Corriere della Sera): “L’Europa nasce a Marcinelle. Memoria e lavoro, diritti e migrazioni. L’8 agosto diventi una giornata per la Ue”

 

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L’8 agosto 1956, al Bois du Cazier di Marcinelle, bacino carbonifero di Charleroi, i minatori del turno del mattino erano 274.

Erano scesi verso le 7 nei vari livelli della miniera che si estendeva fino a 1.035 metri sottoterra. Un turno massacrante, otto ore nelle viscere della terra. Dopo circa mezz’ora, un carrello rimane incastrato nel montacarichi, che andando a sbattere, con violenza, contro i cavi elettrici e le condutture dell’olio, provoca un incendio che, in pochi minuti, si propaga ovunque. Il resto è storia.

Una tragedia di dimensioni spaventose, simbolo e monito di quelle battaglie per la sicurezza e la dignità del lavoro in cui, ancora oggi, siamo impegnati con fatica e con risultati che non possono dirsi soddisfacenti. 262 minatori sarebbero morti: 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 3 ungheresi, 2 francesi, un inglese, un olandese, un russo, un ucraino.

Le dodici nazionalità delle vittime ci offrono un quadro fedele della varietà delle presenze in quei luoghi di lavoro. In Belgio confluirono nel dopoguerra giovani lavoratori da tutta Europa, e non solo.

L’ampia presenza di lavoratori italiani aveva alle spalle l’accordo di scambio “uomini-carbone” siglato il 23 giugno 1946 tra il premier De Gasperi e il governo di Bruxelles, che metteva insieme due speculari e complementari esigenze politico-economiche, l’urgenza belga di accogliere forza-lavoro e la necessità italiana di dare lavoro a migliaia di braccianti agricoli alle prese con le difficoltà del dopoguerra. Il patto prevedeva che per ogni migliaio di minatori arrivati nei bacini carboniferi il Belgio assicurava all’Italia tra le 2.500 e le 5.000 tonnellate di carbone, a seconda dei livelli di produzione.

Un tentativo di cooperazione europea ante litteram? Senza dubbio. I cui esiti fanno riflettere.

Le condizioni e la sicurezza sul lavoro erano ancora ai livelli ottocenteschi evocati dal celebre romanzo di Emile Zola, Germinal.

La «catastròfa», come la chiamavano gli emigranti italiani, fu in qualche modo una sciagura annunciata, in una miniera che aveva ancora una struttura in legno e le cui condutture dell’olio correvano accanto ai cavi dell’alta tensione nella totale incoscienza degli ingegneri che, durante il processo, dichiararono sfacciatamente (e impuniti) di non sapere che l’olio fosse sostanza altamente combustibile.

Fu la prima tragedia nazionale della Repubblica italiana, ma fu soprattutto la prima sciagura collettiva dell’Europa postbellica: della Vecchia Europa che cercava di riprendersi dal conflitto, immaginando già allora una «fraternità» attorno a temi cruciali e ancora vivi come l’emigrazione, il lavoro, la sicurezza, la giustizia, la dignità.

Fu quel giorno di tragedia a creare una rinnovata consapevolezza umana e civile. Il Bois du Cazier è oggi Patrimonio dell’Umanità Unesco, luogo doloroso della Nuova Europa, fondata sulla Vecchia, quella comunità piena di colpe, di errori ma anche di speranze e di visioni luminose.

«A futura memoria (se la memoria ha un futuro)», scrisse Leonardo Sciascia.

Per l’Europa la memoria della «catastròfa» dell’8 agosto 1956 è il cuore ancora incandescente su cui immaginare il proprio futuro.

Ogni anno l’Italia commemora solennemente le vittime di Marcinelle, rendendo il giusto omaggio ai tanti lavoratori italiani all’estero. L’8 agosto è, dal 2001, la “giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”. La ricorrenza è l’occasione per rinnovare la consapevolezza della necessità di compiere ogni sforzo possibile per assicurare ambienti di lavoro sicuri e dignitosi, garantendo così quei valori fondanti e comuni della nostra Europa unita. “Con il loro operato – ha detto l’8 agosto dello scorso anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella –hanno contribuito a promuovere i più alti valori sociali e culturali che animano la Costituzione repubblicana e la stessa Casa comune europea, a cominciare dal diritto al lavoro”.

Ecco, il lavoro. Non sono mancati progressi in questi quasi settanta anni che ci separano da Marcinelle. Le conquiste del lavoro hanno caratterizzato l’evoluzione della nostra Repubblica, anche rispetto all’impegno a dare effettività al disegno costituzionale in materia di rapporti economici e lavoro.

Il numero di morti e infortuni sul lavoro è drasticamente diminuito e gli ambienti di lavoro hanno largamente beneficiato di una legislazione tra le più avanzate a livello mondiale.

Eppure, ancora oggi, si ripresentano alla cronaca tragedie brutali che pensavamo superate. Tragedie come quella di Satnam Singh, il cittadino indiano morto a Latina, scaricato agonizzante come un rifiuto dal suo datore di lavoro davanti al cancello di casa, con il braccio amputato dentro una cassetta della frutta. Una storia sconvolgente e drammatica, che ha scosso le coscienze di tutti noi. Storia da cui emerge un quadro desolante ancora presente in alcuni contesti di lavoro del nostro Paese: sfruttamento, caporalato, norme di sicurezza impunemente violate, mancanza di vigilanza, assenza di formazione, condizioni di lavoro degradanti, prive del pur minimo rispetto della dignità umana.

Bene hanno fatto le istituzioni a lanciare in modo unanime un grido di vergogna. Ma ovviamente non basta. Occorre un rinnovato impegno collettivo. In quest’ottica, il CNEL sta lavorando a una proposta per valorizzare il contributo dei corpi intermedi e della rappresentanza nella attuazione di un quadro di leggi e regolamenti che sulla carta sono perfetti. In una materia come questa non può essere delegato tutto alla legge, allo Stato, agli ispettori. È essenziale anche la partecipazione attiva di chi rappresenta la stragrande maggioranza delle imprese che opera nella legalità e degli stessi lavoratori, come è indicato nell’art. 9 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Ed è essenziale utilizzare al meglio lo strumento dei contratti collettivi a cui è affidato il compito di adattare le leggi generali e astratte alle peculiarità di ogni settore economico e produttivo. Non solo per combattere e ostacolare gli abusi e le discriminazioni, ma anche per favorire le politiche preventive, per rafforzare gli interventi di formazione e aggiornamento, per sostenere i processi di integrazione. Anche su questo il CNEL è impegnato a monitorare, attraverso l’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, i progressi maturati nella contrattazione collettiva di settore e nei sistemi bilaterali di riferimento che sono un prezioso presidio di legalità ed effettività dei diritti.

È fondamentale, inoltre, intervenire a livello europeo, per armonizzare le norme dei diversi mercati del lavoro, per diffondere le buone pratiche, per rafforzare i processi di condivisione e partecipazione della società civile. Penso anche al contributo che può giungere dal diritto comparativo e, in questo ambito, ricordo con profonda commozione e riconoscenza l’indimenticabile insegnamento dell’amico Marco Biagi, vittima delle Brigate Rosse, che si era autorevolmente speso per una modernizzazione del nostro sistema di relazioni industriali nel passaggio, sui temi della salute e del lavoro, dalla nocività conflittuale a una sicurezza partecipata e non oppositiva. Ricordiamoci, del resto, che le normative comunitarie in materia sono state approvate più di trent’anni fa e che oggi occorre una loro rivisitazione rispetto ai nuovi contesti produttivi, economici e sociali sempre più segnati dal lavoro da remoto e dalla applicazione pervasiva di nuove tecnologie, quali l’intelligenza artificiale. Temi che il CNEL segue con attenzione nel rispetto delle prerogative stabilite dall’art. 99 della Costituzione.

Vi è un ulteriore monito che ci giunge dalla tragedia di Marcinelle e che riguarda una delle principali sfide dei nostri tempi: il fenomeno migratorio. È una sfida che impegna l’Europa intera. È una sfida che va affrontata con il dovuto senso di responsabilità e con un rinnovato spirito comunitario.

Nella maggior parte dei paesi europei il lavoro degli immigrati offre un contributo determinante all’economia.

Il made in Italy non avrebbe raggiunto il suo livello di diffusione e di eccellenza senza l’apporto degli immigrati. Nel settore agroalimentare coprono circa un terzo delle giornate di lavoro registrate.

Ne potremmo fare a meno? Le nostre aziende potrebbero privarsene? Pensiamo anche al lavoro domestico e di cura, a chi si fa carico delle persone fragili e con disabilità, dei nostri figli e dei nostri anziani. Un mercato, quello del lavoro di cura, che rappresenta una grande sfida, non solo per l’economia ma anche per la coesione e la tenuta della nostra società.

Sappiamo, tuttavia, le enormi criticità che il lavoro immigrato determina, e che sono riconducibili, in primo luogo – ma non solo -, all’irregolarità dei flussi, al sommerso e a tutto ciò che ne consegue: scarsa tutela dei diritti dei lavoratori e rischi elevati in termini di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche evasione contributiva e fiscale, degrado delle periferie urbane, processi di disgregazione sociale e di conflittualità, con l’ineluttabile indebolimento delle comunità.

Qui serve l’Europa.

È necessario che pesi e responsabilità siano equamente distribuiti tra i paesi europei. Ma vanno innanzitutto garantiti flussi regolari. Questa è la chiave di volta per affrontare la sfida delle migrazioni. Dobbiamo prevedere percorsi di integrazione, valorizzazione, professionalizzazione e trasparenza. Servono interventi di formazione e selezione all’origine, secondo logiche di bilateralità. Una forza lavoro invisibile, muta, esposta, sfruttata non potrà mai essere un fattore di crescita, né civile né economica.

I diritti e la sicurezza dei lavoratori non possono essere mai considerati, in nessun caso, un costo.

L’auspicio è che l’8 agosto non rimanga solo la giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, ma che diventi la giornata europea nel ricordo di Marcinelle, per una nuova coscienza e memoria comune.