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ECONOMIA. Il treno di Draghi corre veloce. Per agganciarci (e salvarci), le riforme di Renzi devono essere approvate in cento giorni. Oppure è l’abisso

 

 The European Central Bank's new chief Ma

 

Ed ora le riforme! Accelerando al massimo. Quei mille giorni, indicati da Matteo Renzi, sono un’eternità di fronte alla rapidità con cui Mario Draghi sta operando per battere in breccia lo spettro della deflazione. Ma essi rischiano di essere inutili, se non accompagnati da interventi potenti ed immediati sui due fronti caldi della situazione italiana: mercato del lavoro e fisco.

E’ la logica stessa della snow ball che richiede il rapido completamento di questa strategia. La palla di neve che Draghi ha confezionato, riducendo i tassi di interesse allo 0,05 per cento, si trasformerà nell’auspicata valanga solo se l’economia italiana sarà in grado di recepire ben altre sollecitazioni. Altrimenti anche quella mossa, nonostante l’audacia che ne è all’origine, è destinata a produrre solo un piccolo topolino.

La BCE, condizionata da aspettative inflazionistiche in netto contrasto con quanto previsto dal suo Statuto (target 2 per cento), ha fatto proprie analisi che, da tempo, alimentano il dibattito sulla crisi internazionale.

Il pericolo è l’eccesso di risparmio che non si traduce in investimenti produttivi. Esso è alimentato da un lato dalle politiche monetarie più che permissive degli anni precedenti – fino al moral hazard che ha portato alla crisi del 2008 – ma, dall’altro, dal sentimento di incertezza per le prospettive future che congela i consumi e gli investimenti.

Questa totale astenia è particolarmente evidente nella situazione italiana. Dove – unico Paese in Europa – il PIL non ha ancora recuperato (meno 9 per cento) i livelli pre-crisi. In compenso la ricchezza finanziaria delle famiglie è stata appena scalfita. Nonostante il forte aumento della pressione fiscale.

La decisione di ridurre ulteriormente i tassi di interesse è figlia di questa consapevolezza. Sarà in grado di rimettere, da sola, il meccanismo dell’accumulazione? Questo è il grande e grave problema italiano. Secondo recenti elaborazioni della Banca d’Italia, “gli oneri finanziari” hanno “assorbito oltre il 21 per cento” del margine operativo lordo delle imprese (MOL).

La riduzione del costo della provvista, da parte delle banche, dovrebbe tradursi in maggiori facilitazioni di credito.

Ma la relazione è tutt’altro che meccanica. Vi sono fattori, per così dire sociologici, che incidono sulla propensione ad aprire i rubinetti, ad un costo più ridotto. Se le aziende continuano a chiedere credito non per i nuovi investimenti, ma solo per ristrutturare il debito accumulato o, peggio, per finanziare le perdite pregresse, la strada da percorrere è tutta in salita.

Il salto di qualità si può avere solo se la remunerazione del capitale investito è tale da garantire adeguati ritorni in termini di utile d’esercizio. E’ questa la situazione italiana? Sempre secondo Banca d’Italia, il MOL, in Italia, è fermo da tempo al 33 per cento del valore aggiunto. Una regressione che ci ha riportato alla metà degli anni ’90. Su questo aggregato pesano, come già si è detto, oneri finanziari del 21 per cento ed una carico fiscale complessivo che si avvicina al 70 per cento. I margini netti che ne risultano sono, pertanto, quasi inesistenti.

Comunque di gran lunga inferiori ai rendimenti che si possono, con una gestione oculata, spuntare sul mercato finanziario. Se non si risolve questa contraddizione, risulta evidente come, da un punto di vista razionale, vi sia una spinta potente ad accrescere il peso della finanza a scapito dell’economia reale.

La soluzione al dilemma passa, inevitabilmente, per due crune dell’ago: ridurre il carico erariale per consentire di liberare parte del MOL prodotto. Quindi riforma fiscale. Aumentare  quest’ultimo aggregato, con una riforma del mercato del lavoro che punti ad accrescere i livelli di produttività, per ottenere maggior valore aggiunto. Come si vede: un nodo antico. Che la crisi internazionale ha reso, via via, più intrigato. Spetta soprattutto a Matteo Renzi il compito di recidere, con coraggio, questo nodo gordiano.