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EUROPA. È meglio stare con Junker che obbedire alla Cgil. Renzi invece di buttarla in patriottismo si dia da fare per le riforme necessarie

 

 

Renzi

La deadline (la scadenza inderogabile) è di 283 giorni a partire da oggi. Poi succederà quel che deve succedere ed il verdetto della Commissione europea aprirà una nuova fase nella vita economica italiana.

Se sarà positivo, Matteo Renzi avrà vinto la sua battaglia; ma se sarà pollice verso, allora tutti i guai, che ancora affliggono l’economia italiana, diverranno infernali. Da oggi a quella data inizia un vero percorso di guerra che abbiamo cercato di sintetizzare nel grafico che segue.

A dimostrazione che non c’è un minuto da perdere, se vogliamo che quelle riforme, finora annunciate ma ancora lungi dall’essere approvate, possano effettivamente compensare la richiesta di maggiore flessibilità da tempo avanzata.

Come si vede il “vincolo esterno” che dall’immediato dopoguerra condiziona l’evoluzione della situazione italiana, invece di allentarsi è diventato ancora più stretto.

Se quelle prescrizioni fossero state rispettate, già a partire dal 5 agosto 2011 (data della lettera della BCE a Silvio Berlusconi), invece di gingillarci, oggi non saremmo giunti a quella stretta.

Purtroppo, grazie al Governo Monti – soprattutto ad Elsa Fornero – non solo non si seguì quella strada, ma vi fu il tentativo di tornare indietro. L’imposizione fiscale aumentò fino a divenire insostenibile, tassando oltre misura gli immobili – settore chiave dello sviluppo economico italiano – e introducendo nuove rigidità nel mercato del lavoro. Ed oggi quegli errori si pagano.

Alle sfide dell’oggi, Matteo Renzi risponde rispolverando un nazionalismo fuori dal tempo. Nel sistema di interdipendenze che caratterizza l’evoluzione del mondo contemporaneo mostrare il petto serve a poco. Se poi non si ha la forza effettiva per imporre il proprio punto di vista.

E questa forza l’Italia non ce l’ha. Le sue fragilità finanziarie sono fin troppo note per insistervi ancora.

Più che temere il responso della Commissione europea è ai mercati che bisogna guardare, il cui stato di nervosismo ha radici oggettive. Sconta le difficoltà sul terreno della crescita economica che l’ultimo dato OCSE colloca sul terreno negativo per il 2014 (meno 0,4) e un modesto più 0,1 per l’anno che verrà.

Quindi freno alle intemperanze. Soprattutto non dimenticare che quel vincolo, per il nostro Paese, è stato un fattore di modernizzazione che ha consentito, negli anni, di irrobustire le sue fragili basi economiche e democratiche.

Cosa sarebbe successo se l’Italia non avesse aderito alla NATO: il primo pesante vincolo politico – militare dell’immediato dopoguerra? O non avesse partecipato alla costruzione dell’Europa, quando il PCI vagheggiava un’Europa estesa dal Mediterraneo agli Urali, per non rompere il suo cordone ombelicale con la patria del “socialismo realizzato”?

La giovane età del Presidente del Consiglio rischia, a volte, di giocargli un brutto scherzo. Ma non per questo possiamo trascinare il Paese in un’avventura senza sbocchi.