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RENZI. Ci conduce sulla strada dell’inferno, dove regna la Cgil

 

 

rENZI

Siamo sempre qui, non ci muoviamo. Pronti a lavorare insieme. Ma anche a lasciare nelle mani del governo, gratis, le nostre proposte di riforma. Basta che si facciano e in fretta.

Non pare questa l’intenzione. Renzi infatti sa che le nostre riforme (fiscale, lavoro, pubblica amministrazione) investono le cose gravi e serie. Ma lui non ha i numeri per realizzarle. Lui guida un autobus nella duplice veste di capo del governo e della maggioranza, nonché di segretario del Partito democratico. Ma il volante non è collegato alle ruote. Con la mano e con le apposite frecce arancioni spiega dove sta per girare, ma poi l’autobus non svolta, e allora l’autista di Pontassieve indica imperioso con l’altra mano una nuova direzione per la terra promessa, ma le ruote vanno dove decidono loro: a sinistra, solo a sinistra, e se proprio non ci riescono, frenano. Insomma: a comandare è il grosso della componente parlamentare della maggioranza. La quale risponde formalmente al segretario fiorentino, che per garantirsi una illusoria obbedienza ha imbottito la dirigenza del Pd solo di gente a provata origine rutellian-margheritina. Con il bel risultato che vediamo: il nulla gonfio di improperi contro gufi, frenatori, professoroni e caramellosi e sempre rinnovati slanci emotivi giovanilistici e patriottici, che non spostano di un centimetro la massa ciclopica delle resistenze dei suoi a qualsiasi modernizzazione.

Renzi si è arreso. Diciamolo: ha strumentalizzato il Patto del Nazareno per trasformarlo da spinta propulsiva al nuovo, in metodo di coinvolgimento nelle grandi questioni, in un pretesto per non badare alla sostanza dei problemi che riguardano il pane sulla tavola degli italiani.

Per  questo ha scelto le riforme facili, quelle chic, rispetto a quelle esistenziali da o-la-riforma-o-la-vita, che sarebbero esse sì necessarie e urgenti, e però Renzi sa bene non riuscirebbero mai a passare con questi suoi parlamentari. E su questo tema invitiamo a leggere Gianfranco Polillo sull’Huffington Post.

Le riforme che noi proponiamo, e che ostinatamente porgiamo a Palazzo Chigi, sono quelle che l’Europa già richiese nella lettera del 5 agosto 2011 dalla Bce: dove Trichet e Draghi proponevano un percorso virtuoso che il governo Berlusconi cominciò di buona lena a intraprendere, prima frenato dal Quirinale poi impedito, a causa di uno “scheme” (complotto, secondo Tim Geithner) dall’avvento di Monti e della Fornero, che mandarono a monte gli eccellenti provvedimenti approntati da Berlusconi-Sacconi per la flessibilità del lavoro.

Come quell’art.8 che consentì le contrattazioni decentrate, da cui il salvataggio della Fiat strappandole alle mani strangolatrici di Cgil-Camusso e di Fiom-Landini. Queste due organizzazioni messe agli angoli da Berlusconi condizionano oggi pesantissimamente Renzi, per mezzo del loro simpatico portavoce di fatto, Damiano, e del loro braccio parlamentare nella Commissione Lavoro di Camera e Senato, dove la maggior parte dei commissari del Pd viene dalla Cgil. Non passerà da lì nessuna flessibilità, nessun cambiamento, nessun Jobs Act che somigli anche solo vagamente alla riforme tedesca.

Per questo è necessario che chi ha buon senso a Palazzo Chigi e al Quirinale – e siamo certi che gli inquilini ne abbondino – prenda atto che con questa maggioranza, con un Pd indipendente e autonomo da se stesso e dal suo segretario, non si va da nessuna parte.

 

Per cui le soluzioni sono semplici, se non si passerà alle riforme vere e forti per decreto approvato: o governo di salute pubblica, con appoggio interno o esterno, basta che si faccia in fretta, o elezioni. Non ha senso oggi stare a perdere tempo ingolfando il Parlamento di Italicum e di Senaticum. Non si discute delle regole per eleggere il futuro capo dei pompieri mentre la casa va a fuoco.