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GOVERNO. Caro Letta, impara da Draghi sull’economia e dalla Merkel sul patto di legislatura

 

Letta Saccomanni

Realtà, realtà. Contenuti, contenuti. Sull’economia, cioè sulla vita quotidiana delle famiglie e delle imprese, assai più delle chiacchiere intorpidite di Renzi, piove la decisione della Banca centrale europea, governata da Mario Draghi. Abbiamo scritto “piove”, nel segno di qualcosa di benefico che viene dall’alto, da una saggezza che aiuta, vuole aiutare, la ripresa; ma piove anche come giudizio gelido sulle politiche economiche di questa Europa a trazione tedesca, al cui si è attaccato, con le sue palle forse d’acciaio ma molto rotolanti, il premier Letta.

La scelta di Draghi è positiva. Abbassare il tasso di sconto aiuta la liquidità e dunque dovrebbe (dovrebbe…) incentivare le banche a fare il loro mestiere di sostegno a famiglie e imprese.

 

La scelta di Draghi è un segnale di allarme. Dice che la ripresa ha bisogno di mosse perentorie. E che la politica di austerità e rigore cieco ancora oggi voluta dalla Germania e dalla Commissione europea è suicida. Dopo il giudizio inclemente dell’America sulla condotta economica tedesca, Draghi di fatto mostra di bocciare le filosofie gelatinose e senza nerbo di Letta-Saccomanni che danno forma alla Legge di Stabilità così come ci è stata proposta. É una condanna postuma delle politiche di Monti. E una rivalutazione ahinoi tardiva di quanto intendeva mettere in atto Berlusconi nel 2011, allorché gli furono di fatte imposte le dimissioni per lasciare campo al Bocconiano.

 

Nessun lamento sul latte versato. Ma evitiamo di versarne ancora. Ce n’è rimasto poco. Guai a perdere tempo. Sono giorni che premiamo per un ragionevole e perciò radicale cambiamento di queste tavole della Legge di Stabilità, che sono tutto meno che quelle di Mosè sul Monte Sinai. Noi non giochiamo affatto ad alzare la posta per rompere. Quello è Renzi, quello è il partito di Letta-Saccomanni. Noi alziamo la posta per durare. E non durare qualche mese, ma fino al 2018.

letta_saccomanni

 

E qui vale la lezione tedesca. Qui Angela Merkel e il suo interlocutore socialdemocratico Sigmar Gabriel ci sono maestri sul serio. La nostra proposta è questa. A partire dalla Legge di Stabilità. A seguire sulle riforme della giustizia, compreso il trattamento giuridicamente e politicamente corretto del “caso Berlusconi”. Parliamo di contratto di coalizione. Lavoriamo come i tedeschi.

 

In breve. Dopo le elezioni del 22 settembre, con la vittoria schiacciante eppure insufficiente della Merkel (le mancano 5 seggi per la maggioranza assoluta), i partiti hanno intrapreso una serie di incontri di assaggio. Finché esaurita per impraticabilità la pista di un’alleanza con i Verdi, il 20 ottobre Cdu e Spd hanno deliberato di cercare un accordo di legislatura. Si sono dati tempo fino a Natale. Il leader socialdemocratico Gabriel ha posto come non-negoziabili una decina di punti, in cui risiede l’identità del partito, e una condizione previa. Uguaglianza tra i due partner. Ha detto: “Non ci sarà un socio senior e uno junior”. Pari dignità? Qualcosa di più. Pari rappresentanza.

 

Se entro Natale non ce la fanno a siglare pagina per pagina le tradizionali cento pagine di iniziative di governo (nel 2005 furono 131) si va al voto. Nessuna tragedia. I tedeschi eserciteranno una pratica abbastanza normale in democrazia: le elezioni. In quel caso che succederà? Non si prevedono telefonate incalzanti tipo quelle di Barroso a Letta o della Merkel ad Alfano per invocare stabilità. Difficile che la Merkel telefoni un monito a se stessa,. Pure con il rischio di essere intercettata…

 Voto

Idea: copiamo il protocollo democratico tedesco. Vediamoci tra Pd, Pdl, Scelta Civica, con Letta. Compendiamo in questo patto da elaborare economia e quella “necessaria e urgente” riforma della giustizia annunciata da Letta il 2 ottobre in Senato. Agganciandovi la questione della Legge Severino da portare alla Corte Costituzionale, attendendo la pronuncia della Corte europea dei diritti umani.

Un percorso trasparente. Ci permetterebbe di affrontare il semestre di presidenza italiano dell’Unione Europea avendo un governo forte perché appoggiato su fondamenta stabili, davvero con le palle d’acciaio e non con quelle di semolino oggi rappresentate, nostro malgrado, dal ministro Saccomanni, che non è poi così parente di Draghi come qualche sprovveduto dice.

E se non si riesce a stabilire l’accordo, al voto.

 

PER APPROFONDIMENTO, CONSULTA “IL MATTINALE – 08 novembre 2013”