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COOP IN ROSSO. In tutta Italia le cooperative gravano pesantemente sui bilanci regionali. Da Monza a Venezia, da Milano all’Emilia, passando per la Toscana e Mafia Capitale con un filo conduttore: la corruzione

 

Coop

 

 

Dici Coop e pensi al malaffare. La vicenda del movimento cooperativistico italiano nasce fin dal secondo dopoguerra e arriva ai giorni nostri contraddistinta da tratti distintivi poco lusinghieri: corruzione, finanziamenti sottobanco, intrecci politico-affaristici, riciclo di ex politici rimasti senza lavoro, rapporto simbiotico e tutt’altro che trasparente con il partito di sinistra di turno (e non solo, vedi Mafia Capitale) ,dal Pci al Pd, passando per Pds e Ds.

 

Oggi gli interrogativi sul grado di coinvolgimento della sinistra con l’impianto del malaffare politico-affaristico, rimasti sempre irrisolti nel corso degli anni, sono tornati di eccezionale attualità con le ultime vicende di “Mafia Capitale” che ha portato alla luce un ulteriore, inquietante, aspetto. Scrive l’Espresso: “L’inchiesta della Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone ha rivelato un’alleanza trasversale tra il cooperatore rosso Salvatore Buzzi e l’ex terrorista di destra Massimo Carminati, ora in cella come capo di un’organizzazione mafiosa cresciuta con la corruzione. Lo scandalo ha travolto l’amministrazione nera di Gianni Alemanno, ma ha colpito anche importanti esponenti del Pd laziale, riaprendo una polemica che viene da lontano: i compagni che rubano sono solo ‘mele marce’ o frutti avvelenati di un ‘sistema’?”. Una domanda che ci appare retorica. Il sistema di corruzione delle coop ha invaso praticamente tutte le amministrazioni, da nord a sud.

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Una miriade di piccole società inefficienti dal punto di vista economico, ma efficientissime per diffondere a macchia d’olio il sistema di potere del Partito democratico e da risucchiare, in alcuni casi, anche amministrazioni di diverso credo politico.

Il caso della Toscana. Nello storico feudo dei democrat si contano 1.053 società controllate da enti pubblici, 23 solo dalla Regione. Dai caseifici, alle acque minerali, dai bagni termali ai campi da golf: un reticolo di società che cooperano all’espansione del controllo e della gestione targata Pd e al riciclo di ex sindaci, consiglieri, collaboratori, assessori provenienti dal grande bacino Pci-Pds-Ds-Pd. Il bacino della morte, in senso lato ovviamente, da anni foraggiato dall’attività delle Coop rosse, in senso stretto.

Nella Regione Toscana si esagera proprio: 23 società partecipate della Regione e più di 1050 società controllate da enti pubblici. Un eccesso tanto inutile quanto deleterio e paradossale. Basta passare velocemente in rassegna settori e bilanci di queste piccole municipalizzate e simili per rendersi conto che non stiamo parlando di un aspetto secondario, ma del terreno più fertile e adatto alla proliferazione della corruzione.

L’ultimo bilancio della Regione ha registrato una perdita di 3,3 milioni di euro, in gran parte risultato della cattiva o talvolta assente gestione delle partecipate. Delle 1053 totali, 176 sono in perdita o con patrimonio negativo, 190 non operative. Secondo i dati resi noti dal Gruppo Cerved, le partecipate comunali sono 619 con circa 25.000 dipendenti, ovvero 6,7 ogni mille abitanti. Il mucchio selvaggio è arricchito da ulteriori 21 controllate della Regione, figuranti sotto la voce “Enti di diritto privato”, più altri organismi cooperativi e consorzi. Un autentico poltronificio.

 

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi non può pensare di risolvere la questione della corruzione con il solito “giro di vite” o con la “stretta” che sarebbe poi l’aumento della pena per i colpevoli.

 

Il nocciolo della questione non è questo. Il problema da risolvere alla radice è la commistione paurosa tra politica e malaffare che va eliminata da tutte le amministrazioni, a partire da quelle locali.

 

Renzi cominci a tagliare municipalizzate, partecipate, controllate, consorzi, cooperative et similia. E dove la corruzione è impiantata da anni c’è una sola strada, quella della democrazia, quella delle elezioni. Ridare voce al popolo, questa la soluzione.

 

Riprenda in mano la spending rewiew del buon Cottarelli, laddove prevedeva l’amputazione di circa 8mila società inutili e capaci solo di trasferire denaro dai cittadini alle clientele politiche. E, forse, le cose miglioreranno.

 Danilo Stancato

Twitter: @DaniloStancato