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LEGGE DI STABILITA’. Lettera aperta a Letta e al Corriere della Sera

 

Letta

 

 

Dispiace non essere d’accordo con alcune affermazioni di Enrico Marro. Ed almeno per due ragioni: la prima è che abbiamo sempre apprezzato il suo spirito liberal, seppure temperato dal pessimismo della ragione; la seconda è che le conclusioni del suo articolo sono anche le nostre. Ed allora dov’è l’elemento del contendere?

 

L’innegabile confusione che regna sui temi della “legge di stabilità” non è figlia del 2 ottobre: giorno in cui fu espressa, dopo non pochi triboli, la seconda fiducia al Governo Letta. Bisogna conoscere i percorsi tortuosi degli “interna corporis” governativi per farsene una ragione. Tradizionalmente la “legge di stabilità” ha sempre avuto una lunga gestazione. Ad essa si comincia a pensare ai primi dell’anno, nella normale programmazione di ogni dicastero. Poi con il trascorrere del tempo le varie ipotesi prendono corpo: all’inizio come semplici dossier, quindi come draft legislativi sottoposti a progressive verifiche, sia contabili che giuridiche. Terminata questa fase, che resta all’interno delle strutture ministeriali, inizia già prima dell’estate, il confronto con gli Uffici del Ministero dell’economia e, solo dopo un accordo di massima, con la Ragioneria generale dello Stato.

 

Nel frattempo il Tesoro, sulla base delle risultanze statistiche elabora il quadro macro-economico, su cui si costruisce il “tendenziale di finanza pubblica” individuando fabbisogni e coperture, che presenta in Parlamento entro la metà di settembre. Dopo ulteriori fasi intermedie, il Consiglio dei Ministri vara, finalmente, il disegno di legge. Lavori di mesi e non di giorni o settimane. Questa tradizionale trafila, in corso d’anno, è risultata ancora più cogente a causa delle nuove regole europee. Occorreva, infatti, ottenere un consenso di massima, almeno sui grandi aggregati, prima di procedere. In ossequio al calendario (cd. “semestre europeo”) introdotto dal Consiglio europeo del 7 settembre 2010 e avviato nel 2011 al fine di assicurare coerenza finanziaria tra le politiche strutturali e gli obiettivi di finanza pubblica di ciascun Paese dell’area euro, entro fine aprile, deve essere presentato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2013, che al suo interno contiene il Programma di Stabilità (PdS), vale a dire le strategie di bilancio definite dal governo, elaborate sulla base di specifiche analisi delle tendenze della finanza pubblica, e il Programma Nazionale di Riforma (PNR), cioè l’agenda delle azioni da intraprendere per conseguire gli obiettivi dichiarati (su questi documenti si pronunciano fra fine maggio e fine giugno di ogni anno la Commissione e il Consiglio europeo, formulando eventuali raccomandazioni di cui dovrà tener conto la Nota di aggiornamento del DEF di settembre).

 

Il “semestre europeo” termina, appunto, con la presentazione della Legge di Stabilità entro il 15 ottobre di ogni anno. Alla luce di queste scadenze, la tesi che la legge di stabilità sia “stata scritta in fretta e furia” è un’ipotesi falsa. Se questo è avvenuto, la responsabilità è solo della compagine governativa, che non è stata capace di seguire i ritmi imposti dalle regole europee e da prassi che si sono consolidate nel corso degli anni. E rese più stringenti dalla recente legge di contabilità.

Detto questo, non vogliamo minimamente sfuggire alla critica di fondo. E’ vero: siamo di fronte ad un Governo d’emergenza che non riesce a fare un salto verso la grande coalizione. Ma l’esempio tedesco dovrebbe, in proposito, illuminarci. Sono trascorsi quasi due mesi dalle elezioni politiche. Mesi in cui Angela Merkel è alle prese con la realizzazione di un faticoso accordo di governo, come viatico indispensabile per la definizione di un programma che sarà poi vincolante.

 

Questa fase, in Italia, è mancata dopo giorni e giorni spesi ad inseguire fantasiose ipotesi di alleanze politiche, che non avevano alcuna sostanza. Avremmo potuto recuperare il tempo perduto, con confronto serrato all’interno della maggioranza. Ma questo, purtroppo nonostante le nostre sollecitazioni, non è avvenuto. Peccato: perché il risultato di questa barocca situazione è quello descritto dal Corriere.

 

PER APPROFONDIMENTI, CONSULTA “IL MATTINALE – 13 novembre 2013”