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EDITORIALE. OPPOSIZIONE, UN UOMO SÒLA AL COMANDO. Truffa oggi e zuccherino domani. La tecnica della propaganda non funziona più. Sulle pensioni: Renzi lo chiama bonus ma è un cattivissimus

 

 

Imbroglio semantico e caramella pre-elettorale.
Il nostro chiaro no alla “buona scuola”.
Il timore del Giglio carnivoro di passare dal sogno del 7 a 0, alla realtà della sconfitta.
Ora firmerebbe per il 4 a 3…

++ Riforme: Renzi,15 febbraio testo condiviso su Senato ++

 

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UTTO A TUTTI. I diritti non sono a disposizione delle forbici del Presidente del Consiglio. Le sentenze si eseguono. Quella legge sui tagli alle pensioni era illegittima? La Corte costituzionale ha deciso che lo fosse. Si restituisca il maltolto. Non solo due miliardi, ma diciotto. Elementare, il resto viene dal maligno.

 

Gli euro da restituire non sono una opzione politica, ma un calcolo aritmetico.  Fin quando il governo non avrà proposto e il Capo dello Stato promulgato un decreto, da sottoporre poi al Parlamento per il voto, vale la norma erroneamente corretta dal governo Monti.  E varrà per il futuro: non  esiste alcun decreto che possa avere valore retroattivo, secondo il comodo della propaganda e della disponibilità di cassa.

 

Su, Renzi: ci sono molte spese che non corrispondono affatto a diritti, ma a convenienze e clientele. 

 

E invece Renzi ha scelto la via peggiore: la finzione, con l’avallo belante dei due scudieri storditi dalle chiacchiere del capo, e cioè Padoan e Poletti.

 

Questo è il nostro giudizio senza titubanze. Non serve a nulla discutere se la Consulta abbia deciso bene o male. Non è appellabile. Lamentati, protesta, pure. Ma se l’arbitro fischia è rigore. L’arbitro ha fischiato. E non vale portar via il pallone e sostituirlo con un carciofo, come ha fatto il trio Mano-lesta.

 

Morale. Il trio dell’infinocchiamento del prossimo, ha sostituito il diritto con l’obolo. Per di più, con una truffa semantica, l’ha chiamato bonus, che vuol dire omaggio, una pallina di premio come al tempo del flipper. Altro che bonus:  no, è il cattivissimus, ed è un furto.

 

Il governo di oggi, peraltro non voluto dal popolo sovrano, è perfettamente espresso da questa mascalzonata morale e giuridica. I suoi atti e le sue parole coincidono con la menzogna spudorata, e fatta trangugiare al popolo grazie a giornaloni compiacenti e a una Rai trasformata in palcoscenico per lo show del  premier.

 

La tecnica ormai fin troppo scoperta, si è appalesata come previsto: far passare un imbroglio per distribuzione di vivere ai bisognosi. In realtà Renzi, con le sue tabelle pasticciate, è convinto di distrarre i pensionati con una specie di rebus enigmistico, discriminandoli tra loro.

Per di più ha fatto intravedere un cucchiaino con il miele, pre-annunciando, come titola la Stampa: “In pensione due-tre anni prima”.

 

Qui non siamo neanche più all’annuncite, ma alla pre-annuncite.

 

Renzi in realtà ha capito che stava per dire qualcosa di brutto in conferenza stampa, e allora ha estratto un coniglio di cartapesta dal cilindro. Che sia una balla lo si capisce dall’indeterminatezza. Dire due-tre anni significa solo seminare confusione. Due o tre? E da quando?  Lo sa quanto pesa un anno nella vita di un uomo o di una donna oltre i sessanta?

 

Questo sulle pensioni. Il resto è conforme.

 

La scuola, ad esempio. Anche lì: uso improprio dell’aggettivo “buona”. Quasi per situare chi vota contro dalla parte dei cattivi.

 

Noi votiamo contro, convintamente contro.

 

Questa riformetta ha infatti la classica caratteristica del pacco che i truffatori rifilano fuori dalle stazioni. Fuori un bel fiocco e il dépliant con l’illustrazione del prodotto. Valori forti e di chiara matrice moderata e di centrodestra: merito, libertà scolastica, valutazione certificata, principio di autorità.

 

Dentro la sòla, come dicono a Roma, e che in fondo resta un marchio di fabbrica di Renzi, che in questo è coerente. Nel pacco c’è la solita paccottiglia di assistenzialismo, con centomila assunzioni di precari e la promessa di altri trecentomila da sistemare.

 

Basandosi non sulle necessità degli studenti, ma di quelle dei professori.

 

Risultato: il fiocco gli ha alienato la simpatia della sinistra e della Cgil, il contenuto ci fa dire con vigore un bel no.

 

Con questi fiaschi, è più che giustificata la paura di Renzi e dei suoi per le regionali del 31 maggio.

 

La sua operazione di Partito della Nazione, partita per suonare il centrodestra, sta tornando a casa suonata da Berlusconi e dall’opposizione di Forza Italia, e ridimensionata persino a sinistra a causa della esagerata tracotanza con la propria dissidenza interna.

 

Il famoso 7 a 0 vagheggiato dagli aedi del Fiorentino è man mano scivolato verso meno cappotteschi propositi.

 

Oggi Renzi si accontenterebbe di una vittoria per 4 a 3, che peraltro coinciderebbe con una sua sconfitta, non solo rispetto alle previsioni di trionfi fantasmagorici, ma in paragone allo status quo, che è oggi 5 a 2. In realtà oltre a Veneto e Campania, i sondaggi, fin quando è stato possibile renderli pubblici, manifestavano anche in Liguria e in Umbria un trend straordinariamente positivo.

 

E non è il caso di dar più nulla per scontato, se – come pare – questa mossa da ladro di destrezza sulle pensioni avrà il sacrosanto riscontro nei consensi del Pd.

 

Intanto Berlusconi macina il territorio. Tutti si affannano a dichiararlo finito, in procinto di abbandonare, estrapolando una frase qui, e una battuta là, senza rendersi conto che il tempo è galantuomo, e ogni giorno di più mostra che l’alternativa a questo governo e a questa maggioranza, è ancora lui con Forza Italia. Come documenta l’intervista che segue.