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Questo governo prono ai magistrati e ad Angelina Merkel. Che farà Renzi?

 

 Letta-e-Merkel

Un giudizio netto, duro, tecnico. La “Stampa”, che pure è il quotidiano più filolettiano della galassia, riferisce in questi termini il giudizio della Commissione europea sulla Legge di Stabilità. Cattivo segno, anche perché illumina le bugie del ministro apposito, Saccomanni, il quale crede che per risolvere i guai basti aggiungere al veleno della realtà il miele delle chiacchiere.

Marxianamente e leninianamente – in questo caso, per fortuna – i fatti sono testardi e alla fine la politica è sottoposta all’economia. Il popolo giudica sull’economia, sulle prospettive di benessere. Ed oggi la Legge di Stabilità è guardata dalla società intera come una iattura. Peggio di quelle di Monti. Almeno quelle finanziarie dicevano rigore e alla fine, almeno una di esse, parliamo di quella del 2012, fu radicalmente corretta nel senso dello sviluppo dai relatori Brunetta e Baretta. Invece Letta e Saccomanni parlano di sviluppo e fanno il contrario, sigillando nella Legge di Stabilità tasse crescenti e inaccettabili per chiunque abbia a cuore i destini di imprese e lavoratori. Per questo ad essa si oppongono sindacati e confindustria, confcommercio e artigiani. Non è stabilità quella per cui si sta fermi, congelati da un’austerità prona alla disposizioni egemoniche della Germania di Angela Merkel.

 

Renzi, che capta meglio di altri politici del Pd quanto si muove tra gli operatori economici, dichiara la sua avversità a questa legge. Su questo tema si gioca una decisione assai più seria nelle sue motivazioni di quella sulla Cancellieri ricalcata sul giustizialismo di Travaglio. Cosa dirà Renzi ai senatori in sintonia con lui dinanzi al voto sulla Legge di Stabilità? Lo giustificherà con la disciplina di partito, dicendo di sì, salvo poi doverla gestire come segretario del Partito che ne è massimamente responsabile, avendo detto lui finora tutto il male possibile di questa stessa legge?

 

Da dove viene l’instabilità? Noi siamo chiari e netti. Il Pd si contorce tra il “nì” del forse sì forse no, e il “né-né” di chi rimanda a un altro momento le scelte forti sull’economia. Il fatto è che questo è un governo di minoranze (minoranze del Pd, minoranze di Scelta Civica, minoranze del centro-destra). E ha davanti a sé un tempo molto minorato, che in italiano si dice minimo, quasi nullo.

 

PER APPROFONDIMENTI, LEGGI: “IL MATTINALE – 18 novembre 2013”