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Interpellanza urgente di Renato Brunetta n. 2-00308 concernente chiarimenti in merito alle ipotesi di rivalutazione delle quote di capitale della Banca d’Italia

 

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On. RENATO BRUNETTA

Signor Presidente, signor sottosegretario,

è slittata a martedì prossimo l’approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto-legge recante disposizioni urgenti riguardanti la Banca d’Italia. Evidentemente, il Governo e, in particolar modo, il Ministero delle economie e delle finanze non erano ancora pronti. Peccato che se ne stia discutendo Pag. 102da almeno sei mesi. Già prima dell’estate, infatti, il mio partito aveva fornito al Ministro Saccomanni la propria proposta di calcolo del valore del capitale con le relative procedure di legge. Evidentemente, il Ministero dell’economia e delle finanze continua ad accumulare ritardi. Di cosa ha bisogno ancora ? Di condurre ulteriori istruttorie ? Oppure i dubbi che abbiamo espresso circa il metodo adottato dal comitato di esperti nominato da Banca d’Italia per valutare se stessa hanno fatto tremare qualche penna scrivente ? Troppe incertezze, troppi tempi persi.

Rappresentando Banca d’Italia un bene pubblico, l’argomento assume carattere di interesse generale e strategico. Lo stesso dicasi per i riflessi che l’operazione può avere sull’economia italiana e per il significato che assume nei nostri rapporti con l’Europa e con il meccanismo unico di vigilanza che verrà affidato alla Banca centrale europea. Dalle operazioni derivano, infatti, deriverebbero o deriveranno, benefici per tutti: per le banche, che si ricapitalizzano e affrontano con meno pathos i parametri di Basilea 3 e gli stress test della Banca centrale europea; per le imprese e le famiglie, che vedono riaprire nei loro confronti i rubinetti del credito; per lo Stato, che trae vantaggio in termini di gettito.

Pertanto, in nome della trasparenza, l’approfondimento della materia non deve limitarsi all’autoreferenzialità della tecnocrazia di Banca d’Italia, ma deve essere posto all’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica. Fino ad oggi non è stato così; questa è la prima occasione, infatti, in cui se ne parla, in questa legislatura, in una sede parlamentare. Ed è questo motivo della mia interpellanza urgente.

Da qualche giorno, è on-line sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze il documento, un aggiornamento del valore delle quote del capitale di Banca d’Italia, redatto da un comitato di tre esperti nominati dalla stessa Banca d’Italia: i professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi. Il valore che viene fuori dal dossier del gruppo di lavoro – cioè, 5-7,5 miliardi – è quello giusto ? Diversi calcoli sarebbero possibili e porterebbero una valutazione del capitale della nostra Banca centrale – attualmente, ricordiamolo, vale la risibile cifra di 156 mila euro – fino a 30 miliardi di euro. Da cosa derivano differenze così ampie ?

Nel documento del comitato degli esperti, il calcolo del valore del capitale di Banca d’Italia è frutto di un ragionamento che a dir poco sembra circolare e, come tale, è viziato da contraddizioni profonde. Nel procedere alla determinazione del capitale si parte dai dividendi distribuiti da Banca d’Italia nel 2012 in percentuale sul capitale a bilancio, cioè 156 mila euro – cioè, i dividendi su 156 mila euro –, valore che risale, ricordiamolo, al 1936. Se solo si fosse applicata la rivalutazione monetaria degli indici ISTAT, oggi quel capitale varrebbe circa 320 milioni e, quindi, l’ammontare dei dividendi da attualizzare sarebbe ben maggiore.

A questo primo addendo si somma la cosiddetta partecipazione al fruttato – il rendimento – delle riserve ordinarie e straordinarie dello 0,5 per cento, quando lo statuto della Banca d’Italia prevede un limite del 4 per cento. Se si fosse partiti da questo secondo valore, la valutazione finale avrebbe portato ad un importo ben più alto, passando dai 5-7,5 miliardi calcolati dal gruppo di lavoro fino ad un massimo di quasi 30 miliardi. Naturalmente, abbassando la percentuale al 4 per cento il risultato sarebbe stato più contenuto. Sta, però, il fatto che il valore vero del capitale di Banca d’Italia, senza le manipolazioni contabili cui si è accennato, è più vicino alle cifre da noi indicate – 25 miliardi –, che non a quelle proposte dal comitato di esperti, ripetiamo, 5-7,5 miliardi.

Questi sono solo due esempi delle incongruenze riscontrate nel dossier pubblicato sul sito del Ministero dell’economia e su cui abbiamo più volte denunciato la mancanza di un dibattito parlamentare.

Non ci vuole grande fantasia, infatti, per stabilire quanto vale Banca d’Italia. Tutti i numeri sono, infatti, iscritti a bilancio.

Al 31 dicembre 2012, gli utili netti di Banca d’Italia erano pari a 2,5 miliardi; per cui, ipotizzando un price earning – moltiplicatore degli utili per ottenere il valore dell’asset – di dieci, ma si potrebbe avere, altre banche hanno dei price earning del 20, quindi il dieci è un valore di moltiplicatore abbastanza contenuto, si raggiunge la cifra di 25 miliardi; 2,5 miliardi di utile netto moltiplicato per il moltiplicatore 10, che è intermedio rispetto i moltiplicatori massimi, si ha la cifra di 25 miliardi.

Per avere un’idea del carattere conservativo di questa valutazione si consideri che il price earning di Unicredit è addirittura pari a 30; non 10, non 20, ma 30. Se questi parametri sono ritenuti insufficienti, si guardi al capitale complessivo, comprensivo delle riserve accumulate di Banca d’Italia che, sempre il 31 dicembre 2012, era pari a 21 miliardi 774 milioni. Oppure, si consideri l’attivo iscritto a bilancio. Si tratta di circa 610 miliardi. Non tutto può essere considerato patrimonio netto, naturalmente, ma tra oltre 610 miliardi e 25 miliardi esiste una bella differenza, che non dovrebbe alimentare dubbio alcuno. Considerata l’estrema variabilità dei possibili risultati, la scelta non può che essere di natura politica, pur fondandosi su parametri oggettivi.

Per giungere a una migliore soluzione è necessario uscire dal circolo vizioso dell’approccio meramente contabile e valutare gli effetti indotti della possibile decisione: più alta è la valutazione cui si giunge per Banca d’Italia, maggiore è la patrimonializzazione degli share holders, e più elevate le entrate dell’erario a seguito del pagamento inerente le plusvalenze; e quindi un’operazione più che virtuosa, se solo si considera che all’aumento del valore del capitale di Banca d’Italia può corrispondere, da un lato, una minor richiesta di capitale fresco per le necessarie opere di ricapitalizzazione da parte del sistema bancario – Dio solo sa di quanto ce ne è bisogno –, dall’altro, un’attenuazione del credit crunch frutto di un rapporto fin troppo problematico tra l’ammontare del patrimonio proprio del singolo istituto di credito e l’attivo, fatto di prestiti alla clientela.

Non nascondo, naturalmente, le controindicazioni: aumentare il valore del capitale della Banca d’Italia significa scontare, per il futuro, il riconoscimento di possibili maggiori rendimenti da devolvere agli share holders – dobbiamo dare più quote ai proprietari di azioni – ma qui abbiamo dei margini che derivano dallo statuto della Banca d’Italia. L’unico obbligo che esiste è quello previsto dall’articolo 39 dello statuto: ai partecipanti sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6 per cento del capitale. Si badi bene: non del 6 per cento, ma fino al 6 per cento. Per eventuali ulteriori integrazioni, la decisione è rimessa alla valutazione del Consiglio superiore poi sottoposta all’Assemblea generale, sempre di Banca d’Italia.

Grazie alla diversa combinazione di questi elementi si può, quindi, modulare il dividendo, senza alcuna relazione meccanica con i valori delle quote possedute da ciascun partecipante al capitale. Si può, ad esempio, distribuire un dividendo corrispondente ad un capitale compreso nella forchetta 5-7,5 miliardi indicata dal gruppo di lavoro, anche se il capitale fosse maggiore. Con quale vantaggio ? Quello della maggior capitalizzazione degli istituti di credito e conseguenti effetti positivi che abbiamo esposto. Che ne pensa il Ministro Saccomanni ? Ha qualcosa da dire al riguardo ? Ha studiato i diversi metodi di calcolo possibili o accetta ad occhi chiusi quello sottoposto dal comitato degli esperti nominato da Banca d’Italia per valutare se stessa ? Sarebbe bene che anche il Ministro argomentasse le sue scelte, e ci spiegasse qual è il metodo secondo lui più realistico, e perché. Chiediamo troppo ?

 

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze, Alberto Giorgetti, ha facoltà di rispondere.

 

On. ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze

 

Signor Presidente,

 

relativamente all’interpellanza dell’onorevole Brunetta, si fa presente che, in relazione all’esigenza di rivedere il quadro normativo concernente i partecipanti al capitale della Banca d’Italia, il Ministero dell’economia e delle finanze, nel rispetto dei principi di autonomia organizzativa e di indipendenza, riconosciuti alla Banca stessa dai Trattati europei, ha richiesto all’Autorità di vigilanza di dare avvio al processo di valutazione del valore corrente delle quote di partecipazione al capitale.

La Banca d’Italia ha, pertanto, trasmesso il documento «Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia», redatto con l’ausilio di un comitato di esperti ricordati anche dall’interpellante.

Nel documento, pubblicato sul sito web del Ministero dell’economia e delle finanze, viene indicato che in base al complesso delle analisi svolte il valore complessivo delle quote si collocherebbe in un intervallo compreso tra i 5 e 7,5 miliardi di euro. La valutazione è stata effettuata utilizzando un dividend discount model al fine di stimare il valore attuale netto del flusso dei dividendi futuri che saranno percepiti dai partecipanti in base all’attuale disciplina.

L’impostazione del documento è condivisibile, dato che è coerente con i principi generali della finanza, tiene conto dell’esigenza di non modificare i diritti economici dei partecipanti e ribadisce che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca d’Italia rivenienti dal signoraggio, dall’esercizio, cioè, di una funzione pubblica. Le finalità di patrimonializzazione delle banche, così come quelle – peraltro dimostrate – di incremento del gettito fiscale, sono state correttamente ritenute estranee al processo di rivalutazione delle quote: la considerazione di queste finalità avrebbe, infatti, condotto ad aumentare la consistenza delle quote mediante l’ingiustificata attribuzione ai partecipanti delle risorse pubbliche rivenienti dal signoraggio.

Sulla questione, la segreteria del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ha comunicato che l’attuale modello di governance della Banca d’Italia, caratterizzato dalla proprietà sostanzialmente privata dell’azionariato, va preservato, in quanto alla base della piena indipendenza della Banca d’Italia. Vi sono, tuttavia, diversi elementi che ne rendono opportuna una rivisitazione, secondo l’opinione del Comitato interministeriale. In primo luogo, la concentrazione del sistema bancario italiano ha determinato un’accresciuta percentuale del capitale della Banca d’Italia in mano ai maggiori gruppi bancari. Ciò non ha comportato sostanziali conseguenze in relazione ai limitati diritti dei partecipanti, ma occorrerebbe evitare la percezione di una possibile influenza da parte dei detentori delle quote di maggior rilievo. Il documento citato contiene proposte per ampliare la base azionaria e assicurare un regime di circolazione delle quote di facile trasferibilità e attrattività. Tali obiettivi, però, richiedono di calcolare il valore corrente delle quote della Banca d’Italia; aumentare conseguentemente il valore del suo capitale (che oggi è puramente simbolico); garantire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi; riconoscere diritti economici che tengano debitamente conto delle peculiari funzioni pubbliche attribuite a una banca centrale.

Dovrebbe essere altresì previsto un limite massimo alla partecipazione detenibile da una singola istituzione, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere le quote in eccesso. E con riferimento alla questione della valutazione delle quote di cui è cenno nell’interpellanza, la segreteria del Comitato interministeriale del credito e del risparmio ha precisato in via generale che è stato considerato esclusivamente il futuro flusso di dividendi di spettanza dei partecipanti al capitale. Tale metodologia è stata integrata da riferimenti di tipo patrimoniale, opportunamente adattati alle specificità istituzionali della Banca d’Italia. Coerentemente non si è fatto ricorso a metodi di valutazione multipli di mercato o patrimoniali delle quote dei partecipanti e basati sul riferimento agli utili complessivi o al patrimonio accumulato nel tempo anche grazie all’accantonamento dei profitti da signoraggio.

In particolare, sono state formulate due diverse stime ottenute sulla base delle disposizioni statutarie e sulle prassi seguite in materia di distribuzione dei dividendi, calcolate attraverso un modello a due stadi. Il tasso di crescita atteso dei dividendi nel primo stadio, con durata pari a 20 o a 30 anni, è fissato al 5 per cento, che rappresenta il tasso di crescita medio registrato negli ultimi 10 anni. Nel secondo stadio si è ipotizzata una crescita dei dividendi pari al tasso di crescita del PIL nominale, stimato al 3 per cento. Il coefficiente beta è stato fissato a 0,4, considerando che i dividendi della Banca presentano una rischiosità inferiore a quelli delle società private, in quanto scarsamente correlati con il portafoglio di mercato. Un beta di 0,5 fu applicato dalla BRI quando furono riacquistate le azioni detenute dai privati; il coefficiente beta delle azioni della Banca nazionale svizzera è stato invece stimato all’incirca a circa 0,3. Il premio per il rischio è stato fissato al 7 per cento, pari all’incirca all’extra-rendimento annuo rispetto a un tasso risk-free attualmente richiesto dagli investitori nei mercati azionari dell’area dell’euro. Dall’applicazione di questo premio e di un coefficiente beta dello 0,4 risulta un premio totale del 2,8 per cento, che, sommato al rendimento sui bund decennali, comporta un tasso di attualizzazione dei dividendi pari al 4,6 per cento.

Il valore delle quote ottenuto in base a queste ipotesi si attesta tra i 6,4 e i 7,4 miliardi; applicando un liquidity discount del 20 per cento esso si colloca tra 5,1 e 5,9 miliardi di euro. Sono stati eseguiti numerosi controlli per verificare la robustezza di questi risultati a fronte di ipotesi alternative circa i valori dei parametri. In primo luogo, sono stati cambiati il tasso risk free e l’equity risk premium alzando il primo di 50 punti base e abbassando il secondo di 100 punti base; così facendo, il valore delle quote si ridurrebbe a un importo compreso tra i 4,8 e 5,5 miliardi di euro. Un secondo controllo è stato operato modificando il coefficiente Beta: un Beta pari a 0,35 genererebbe un valore compreso tra i 6,6 e 7,7 miliardi. Infine, utilizzando un liquidity discount del 10 per cento, il valore salirebbe a 5,8-6,6 miliardi. Nel complesso, in base alle nostre analisi il valore delle quote di capitale della Banca d’Italia si collocherebbe all’interno di un intervallo compreso tra i 5 e 7,5 miliardi. L’ampiezza dell’intervallo è dovuta all’incertezza delle stime e alla loro sensibilità a variazioni dei parametri del modello.

Un ulteriore vaglio della robustezza dei risultati è stato effettuato calcolando la quota massima delle riserve che avrebbe potuto essere trasferita ai partecipanti nel corso degli anni, derivante dall’accumulo del reddito generato dal loro investimento (entro un limite massimo del 4 per cento stabilito dallo Statuto per l’eventuale distribuzione). Questo metodo può essere considerato come un sostituto dell’approccio patrimoniale, utilizzato spesso in chiave di validazione dei risultati ottenuti. La stima è stata eseguita calcolando il reddito riveniente dall’investimento delle riserve che avrebbe potuto essere distribuito ai partecipanti e che, viceversa, è stato trattenuto dalla Banca e accantonato a riserva, in linea con le decisioni assunte dall’assemblea dei partecipanti. Il valore, nel 2012, di tale ammontare è stato stimato usando diversi deflattori. I risultati di due di essi sono indicati in una tavola, che ovviamente lascio agli atti, che riguarda l’indice di rendimento azionario, con un valore di 7,1 e l’indice dei prezzi al consumo con un valore pari a 7 miliardi euro.

Per essere equa, la riforma non deve incidere sul valore delle quote dei partecipanti. Questo risultato dipende dal valore del capitale della Banca e dal tasso di dividendo (vale a dire, la percentuale di capitale distribuibile ogni anno ai partecipanti) adottato nel nuovo regime (ossia dopo la riforma). Le analisi mostrano che nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della Banca fosse aumentato a 6-7 miliardi di euro e il tasso di dividendo fosse stabilito al 6 per cento, il valore delle quote dopo la riforma si collocherebbe all’interno dell’intervallo di 5-7,5 miliardi sopra indicato. In altri termini, Pag. 106la riforma risarcirebbe appieno i partecipanti, garantendo loro un flusso futuro di dividendi il cui valore attuale netto è pari al valore corrente stimato delle quote della Banca. La stima è contenuta in una ulteriore tavola, con un dividendo annuale di 360 milioni, con cui si determinerebbe un valore del capitale di 6,3 miliardi, il valore si attesterebbe a 7,3 miliardi con un dividendo di 420 milioni all’anno. Questo sui modelli di stima.

Quindi concludendo, onorevole Brunetta, signor Presidente, i suddetti elementi dimostrano, dal nostro punto di vista, i caratteri del tutto peculiari dei diritti economici e di governance dei partecipanti, non rendendoli assimilabili a quelli dei detentori del capitale di una società per azioni. Sulla base di questi elementi riteniamo che le valutazioni poste possano avere un qualche elemento di attendibilità.

 

PRESIDENTE.

 

Il deputato Brunetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

 

On. RENATO BRUNETTA

Signor Presidente, l’onorevole sottosegretario Giorgetti ha di fatto, nella sua replica, ribadito, riletto la relazione dei tre saggi che erano stati incaricati da Banca d’Italia per la valutazione del valore delle quote dei partecipanti. Di questo lo ringrazio; le avevo già lette, naturalmente, e analizzate, e devo dire che questo primo dibattito in sede parlamentare e già comunque un fatto positivo, perché questa vicenda, che io considero sostanziale, essenziale, fondamentale per la sua rilevanza economica, stiamo parlando di 5-7-10-20-25 miliardi di euro, per la sua rilevanza, ma anche per il suo significato, credo sia un fatto assolutamente positivo. Quindi, per questa ragione, mi dichiaro soddisfatto, nel senso che abbiamo fatto un po’ di luce, di trasparenza, e abbiamo aperto una discussione su un fatto che era stato considerato esoterico per le Aule della politica, per le Aule del Parlamento.

La parte per la quale invece mi dichiaro insoddisfatto è quella delle valutazioni alternative: nel senso che mi chiedo se attraverso anche la discussione parlamentare, o la discussione del provvedimento che verrà preso penso la prossima settimana, si riuscirà, in sede di conversione del decreto-legge oppure di discussione parallela in sede di conversione del decreto-legge, ad aprire una discussione, anche tecnico-scientifica, alternativa a quella dei tre saggi. Perché io certamente accetto l’autonomia statutaria e di legge della Banca d’Italia; però in questi casi occorre fare una riflessione più ampia possibile su un passaggio che è assolutamente straordinario nella nostra vita economica e nella nostra politica economica. Ripeto, non tanto e non solo per il gettito possibile per questa operazione, ma per la ricapitalizzazione del sistema bancario nel nostro Paese che ne deriverebbe, e anche per un effetto legalità e trasparenza legato alla Banca d’Italia, che – ricordo – dal 1936 di fatto ha assegnato al proprio capitale un valore non aggiornato con i tempi, e quindi di fatto condizionato – non dico altro, non uso altri verbi – il proprio bilancio in maniera del tutto parziale.

Ricordo che la Banca d’Italia controlla i bilanci delle altre banche; e avendo il proprio bilancio assolutamente fuori linea con la realtà (pensiamo ancora una volta che i partecipanti hanno un valore capitale con 156 mila e euro, il valore di una liquidazione di un funzionario neanche di Banca d’Italia, perché funzionari di Banca d’Italia hanno liquidazioni molto più alte: di un funzionario pubblico, chiamiamolo così). Questo la dice lunga sullo stato di «irregolarità», per non dire altro, da cui i bilanci di Banca d’Italia sono stati affetti da troppi anni.

Quindi bene che si sia aperto questo spiraglio di luce, bene la commissione dei tre saggi, bene la relazione pubblica; bene anche – e di questo lo ringrazio – la risposta del sottosegretario Giorgetti. Chiedo però che si possa e si debba fare molto di più, anche con valutazioni alternative: ne va della credibilità della nostra Banca centrale, della nostra Banca l’Italia, ne va del nostro sistema bancario.

 

PRESIDENTE

Grazie, onorevole Brunetta. La tabella a cui ha fatto riferimento il sottosegretario Giorgetti rimarrà depositata presso la Presidenza, a disposizione di tutti i deputati che ne facciano richiesta.