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CATALOGNA. Le elezioni amministrative anticipate premiano la coalizione indipendentista ‘Junts pel Sì’ (che riunisce il partito del governatore Artur Mas e quello di estrema sinistra Cup) col 48% delle preferenze e 72 seggi su 135. Il tutto sotto l’occhio miope dell’Europa. Il futuro è tutt’altro che scritto

 
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“Hem guanyat, hemos ganado, we have won, nous avons gagné”.

Gli indipendentisti in Catalogna cantano vittoria ed è lo stesso governatore della Regione, Artur Mas, a celebrare (in catalano, spagnolo, inglese e francese) il risultato del voto anticipato alle amministrative. Voto dal sapore di un referendum separatista, proprio quel referendum che il governo centrale di Madrid ha sempre negato al leader della coalizione ‘Junts pel Sì’. Per paura, evidentemente.

 

Paura di veder scivolare via una Regione di 7,5 milioni di abitanti, che si estende per 1/10 del territorio nazionale e rappresenta poco meno del 20% in termini di Pil spagnolo, nonché il 25% dell’export.

 

Ma tant’è: con un affluenza del 77% di elettori catalani il risultato è stato netto: ‘Junts pel Sì’ sfiora il 48% dei voti, pari a 72 seggi totali (62 per il partito di Mas e 10 per il partito, di estrema sinistra, Cup). Autentica scoppola per il Capo del governo, Mariano Rajoy, che ha tentato in tutti i modi di minimizzare le rivendicazioni catalane e ha, a più riprese, invitato a non dare consenso agli indipendentisti. La sua posizione anti-separatista  resta invariata, mentre Podemos, il movimento di sinistra radicale che sfiderà la maggioranza nelle elezioni di fine anno, ha lasciato uno spiraglio per l’eventualità di un referendum catalano.

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“Addio Spagna, senza rancore”, ha affermato il leader di Cup, Antonio Banos, invitando alla disobbedienza delle leggi nazionali, forte del suo ruolo decisivo tra gli scranni parlamentari dove, senza il suo appoggio, Mas non raggiunge la maggioranza dei seggi, disponendone di 62 a fronte dei 68 necessari. Ma per il futuro il discorso non è semplice come la sommatoria numerica e le percentuali sopraelencate. La convivenza tra Cup e Convergencia (il partito di Mas) è tutt’altro che semplice e l’atteggiamento del governo di Madrid prefigura una dura contesa tra separatisti e anti. Basti pensare che il Presidente della Lega calcio spagnola ha minacciato di espellere il Barcellona, simbolo dell’orgoglio catalano, qualora la secessione andasse in porto.

 

Le conseguenze di un’eventuale secessione sarebbero difficili da gestire. I trattati dell’Unione europea non contemplano l’eventualità di una secessione all’interno di uno stato membro. La Catalogna diventerebbe uno Stato a sé stante, fuori dalla Spagna, dall’Ue e dall’Eurozona. Il rischio effetto domino delle altre correnti indipendentiste sarebbe forte (si pensi ai vicini Paesi Baschi che hanno già inoltrato una richiesta di referendum separatista alla Spagna, agli autonomisti in Scozia o alle Fiandre). D’altronde non ci si poteva attendere epilogo troppo dissimile da questo: il movimento indipendentista catalano ha radici lontanissime, che risalgono al vecchio proto-Stato (dai confini simili a quelli attuali) sorto nel 987, quando il conte di Barcellona rifiutò di sottostare al Re di Francia, Ugo Capeto. Da allora in poi le rimostranze catalane sono state contenute o represse. Ma come un vulcano sopito da anni, ma ancora attivo, sono riesplose in questa precisa fase storica, dove le vecchie aspirazioni incontrano l’esasperazione dei cittadini devastati dalla crisi economica degli ultimi anni e dall’abbandono dell’Europa. Ennesimo errore di questa Europa a trazione tedesca. Tralasciare una questione seria come quella dei movimenti indipendentisti catalani o, peggio, trattarla in maniera folkloristica, è stato come lanciare in aria un sasso. Che ora sta ricadendo in testa alla stessa Europa. Con tutta la sua pericolosità. L’Ue non doveva permettere ai movimenti secessionisti di prendere così tanto piede.

Uniti si vince. Questo è il nostro dogma. L’Europa prenda nota.

Danilo Stancato

Twitter: @DaniloStancato