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CAOS PD ROMA – Le campane suonano a morto, il Pd romano ci ha lasciati. Il protagonismo e la sete di potere di Marino e Orfini hanno dilaniato una città, che ora attende fiduciosamente l’ora della riscossa. Il Pd renziano ha fallito e la sua sparizione territoriale lo certifica

 

MarinoMarziano

Le campane suonano a morto, il Pd romano ci ha definitivamente lasciati.
Nel senso più metaforico del termine ovviamente, ma è ormai palese che il fallimento di Marino abbia necrotizzato tutta la segreteria romana del Partito democratico con ripercussioni inevitabili su tutto il territorio nazionale.
In realtà, di casi alla Marino il povero Renzi ne ha a bizzeffe da dover gestire, e rappresentano ad oggi la condanna certa sul futuro politico del suo governo.
Territorialmente il Pd sembra definitivamente scomparso e la débâcle alle ultime amministrative/regionali lo dimostra pienamente.
Troppi protagonismi hanno causato un allontanamento della gente, che di riflesso ha portato ad un calo nel numero dei tesserati al partito e ad una chiusura di massa delle sezioni, sia a Roma e provincia, che nel resto del Paese.
L’esempio romano è sicuramente quello più calzante, dove con grande ritardo si riesce ad ammettere l’errore di aver affidato la gestione della crisi Marino a Matteo Orfini.
Quest’ultimo, troppo distratto nel ricercare sbocchi adeguati alla sua sete di potere su Roma, ha compiuto delle scelte infauste che ad oggi lo condannano come uno dei maggiori responsabili del caos su Roma.
Ricordiamo ancora con quanta veemenza si oppose allo scioglimento del Comune per mafia optando per una difesa a spada tratta di Marino, nonostante dovette arrivare ad uno scontro frontale con il premierRenzi.
Il fatto che Marino abbia varato la terza giunta in due anni, ribattezzata poi giunta Orfini, rende chiarezza sui comportamenti ambigui del Presidente del Pd.
Siamo convinti che i primi a dover dimettersi sianoMarino insieme ad Orfini stesso che, in simbiosi,hanno lasciato Roma abbandonata in nome di un protagonismo che ad oggi rischia di compromettere seriamente il futuro politico del Pd.
Renzi poverino ha ben poco da recriminare. Da quando è diventato segretario e quindi Presidente del Consiglio, conseguenza illogica, lo sappiamo, ma reale, non è mai riuscito ad incidere positivamente sulle sfide territoriali del Pd, assaggiando ripetutamente il sapore amaro della sconfitta.
Esempi come Venezia, città nella quale il centrosinistra aveva sempre vinto dal dopoguerra in poi, oppure la Liguria rossa, o magari Arezzo noto feudo boschiano, sono esempi lampanti di un Pd ormai sparito.
Territori che hanno percepito l’assenza istituzionale diamministrazioni esautorate dal renzismo, un cannibalismo che in nome della rottamazione ha saputo fare solo terra bruciata intorno al premier e alla sua cricca di pochi intimi.
Questa è la tragica situazione in cui versa il Pd oggi, nella quale Renzi fatica a controllare il suo partito, così a Roma come nel resto della penisola, esclusa parte della Toscana renzian-verdiniana.
Un Renzi allo sbando quindi, che nel caso in cui uscisse con le ossa rotte dalle prossime amministrative, rischia di andarsene a casa prima del tempo.
Proprio ieri il Presidente Brunetta, durante un incontro con una folta rappresentanza cittadina e imprenditoriale romana, ha ricordato la triste fine che fece D’Alema e il suo governo non eletto; infatti nel 2000 perdendo sonoramente le elezioni regionali, si armò di un inconsueto gesto di responsabilità rassegnando le dimissioni.
Dovessero andare male le Amministrative nel 2016, Renzi rischia esattamente la stessa cosa.
Parola del resuscitato Bassolino, che coraggiosamente avverte Renzi: “Questo voto vale come tre elezioni politiche assieme. Si vota a Roma, Milano e Napoli. Non voglio neanche pensare che cosa accadrebbe in Italia se in due di queste città il Pd perdesse. Potrebbe saltare l’attuale situazione politica”.
Stefano Peschiaroli
@StePeschiaroli