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ROMA CAPITALE MOR(T)ALE DEL PD. Roma è l’emblema della confusione in seno ai democrat. E ora qualche osservatore finalmente si accorge che la politica ondivaga del Premier non sfonda al centro e non sfonderà mai e che il destino di Alfano e Verdini è essere oggi sfruttati come stampelle disprezzate e domani essere liquidati come servi sciocchi

 

 

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gnazio Marino sta, chirurgicamente, facendo spazientire Matteo Renzi. Tra i 2 non c’è mai stato un buon rapporto. Renzi voleva candidare Paolo Gentiloni alle primarie per la Capitale, salvo poi abdicare al volere della ‘vecchia sinistra’. Nei momenti di maggiore distensione tra i 2, pochi, qualche sorriso in pubblico, ma mai la sensazione di una vera sintonia e di appoggio reciproco.

 

Anzi, l’impressione che Marino trascinasse Renzi nel caos, ove non ci si era già cacciato da solo, è sempre stata forte.  Così, le dimissioni rassegnate lo scorso 12 ottobre dal sindaco hanno fatto tirare un sospiro di sollievo al premier. Dimissioni rassegnate, ma Marino tutt’altro che rassegnato. La voce insistente di quest’ultima settimana (Ignazio Marino pronto a ritirare le dimissioni) si è concretizzata col vertice di ieri tra l’ex primo cittadino e Matteo Orfini, più gli ex assessori (Causi, Sabella, Esposito e Cattoi). Risultato? Nulla di fatto. Orfini che ribadisce l’impossibilità di trattative e incassa l’appoggio (da Cuba) dal premier Renzi, che dichiara: “La posizione del Pd è autorevolmente espressa da Orfini a cui va il mio sostegno totale”. Ora si passerà dall’Aula – giustamente – con un dibattito in Campidoglio che chiuderà la vicenda. 

 Renzi

Una vicenda gestita male, velenosa, incisiva che ha reso palese il modus operandi di Renzi e del Pd nazionale.

 

Roma come emblema del caos che i dem hanno creato ovunque si siano insediati, Roma come Capitale mor(t)ale del Pd.

E se Roma piange, l’Italia è a dir poco disperata. Il Presidente del Consiglio va avanti da mesi forzando il Parlamento, a colpi di maggioranza. Già, ma quale maggioranza? Quella tenuta in piedi dalle costole del Pdl di Silvio Berlusconi, l’Ncd di Angelino Alfano e l’Ala di Denis Verdini. Eletti con i voti del leader del Pdl, hanno deciso di sostenere il governo di Matteo Renzi, col ruolo, oramai quasi ufficiale, di stampelle. Nessuna voce in capitolo sulle scelte del governo, qualche contentino a mò di zuccherino che si rifila a chi esegue gli ordini. Niente più. Stampelle usa e getta. Da consumarsi preferibilmente fin quando servono. È questo il famoso sfondamento al centro (e a destra) sbandierato dal premier? Un fallimento. Lo certifica Piero Ignazi su ‘la Repubblica’:

 

“L’équipe di ricerca guidata da Paolo Segatti ha calcolato, con metodi accurati, che in quell’occasione (Elezioni europee del 2014) i voti provenienti da destra oscillano intorno al mezzo milione: un 5 per cento del mitico 40,8%. Uno stormir di fronde, insomma, null’altro”. Renzi racimola le briciole dal centro e perde fette intere dalla sinistra, quella che non si riconosce più nell’andamento ondivago e senza identità del Presidente del Consiglio. Il Partito democratico è una polveriera sul punto di esplodere. Scrive Massimo Franco sul ‘Corriere della Sera’:

 

“I veleni che scorrono nel Pd non incontrano più barriere. Filtrano dal Campidoglio […]. Riaffiorano in Campania, col ‘governatore’ De Luca in bilico che attacca in modo greve Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia, tanto da spingere il ministro Maria Elena Boschi a dirgli di scusarsi. E ad acuire le tensioni spuntano i giudizi sbrigativi del capo dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, su Roma. Cantone la bolla come “città senza anticorpi morali”, col rischio di riproporre i luoghi comuni più vieti quando benedice Milano come “capitale morale d’Italia”. Per quanto tempo dobbiamo subire ancora questo spettacolo indecoroso?

Danilo Stancato

Twitter: @DaniloStancato