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LA GUERRA CULTURALE. Il caso del sindaco di Bologna che rifiuta il Crocifisso e le giustificazioni storiche dell’attacco a Parigi fornite da alcuni magistrati. Se è per questa gente, siamo già perduti. Per fortuna, però, c’è chi reagisce al nichilismo della resa

 

 

La cultura è il farmaco fondamentale contro l’oscurantismo e l’intolleranza”.

 

Così ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenuto a sorpresa durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università de L’Aquila. “Non era previsto un mio intervento, ma sento l’esigenza di parlare. In questi giorni di allarme e apprensione, ma anche di reazione, è importante ribadire l’importanza dello sviluppo culturale della società”.

 

Parole condivisibili. Peccato che un farmaco – la cultura – per quanto fondamentale, nulla può laddove il paziente – l’Italia – è moribondo, almeno nelle sue presunte élite. In questi giorni si fa un gran parlare di guerra o battaglia culturale, ma noi rischiamo di non avere voce in capitolo, perché troppi si sono consegnati agli antagonisti, in questo caso all’Islam, senza combattere, con una serie di concessioni e di rinunce ingiustificate e scellerate. In nome del politicamente corretto spinto all’estremo (e quindi scorretto), in nome di quel buonismo ipocrita che piuttosto che porre dei paletti a culture che non ci appartengono, discrimina la cultura italiana, la storia, le tradizioni, le radici. Radici estirpate costantemente, negli anni, da gesti senza senso.

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Ultimo, ma non ultimo, quello che ha visto protagonista il sindaco di Bologna, Virginio Merola, che si è opposto all’iniziativa di solidarietà promossa da Ilaria Giorgetti, Presidente del Quartiere Santo Stefano nella città felsinea: esporre il Crocifisso, simbolo del dolore, sui muri di tutte le scuole, in segno di vicinanza alle vittime del truce attentato di Parigi.

 

Un gesto religioso, ma allo stesso tempo civile, pulito, innocuo, senza secondi fini. Ma per il sindaco di Bologna trattasi di “Cosa che appartiene al Medioevo”, come se il Crocifisso non rispecchiasse la storia della nostra civiltà, delle nostre radici e della nostra cultura. (Ci spieghi poi il sindaco che c’azzecca il Crocifisso col Medioevo). Dunque a Bologna ci si vergogna del nostro passato, della storia da cui veniamo. È la stessa logica secondo la quale una gita scolastica organizzata per gli alunni della scuola elementare Matteotti (Firenze) è stata annullata perché prevedeva la visita a un Cristo dipinto da Chagall, la cui vista avrebbe offeso, secondo il parere degli insegnanti, le famiglie islamiche. Proprio nei giorni in cui a Lucca viene esposto “Christ piss” di Andrès Serrano. Il Cristo nel piscio, praticamente, un Crocifisso immerso nell’urina patrocinato dal Ministero dei Beni culturali e poi subito rimosso appena scoppiata la polemica. Quindi non per difendere la nostra cultura, ma per smorzare la polemica. Un meccanismo perverso, che imporrebbe l’eliminazione dai testi scolastici delle parole “maiale” e “carne di maiale” per non offendere musulmani (ed ebrei). Un Paese per Costituzione laico e per storia cristiano che si prostra di fronte ad altre culture. Perché? Perché ci siamo arresi in partenza. L’Italia è una porta girevole attraverso la quale esce la nostra storia, con tutti gli eventi carichi di significato che c’hanno portato ad avere un’identità precisa, ed entra la storia e la cultura di altri, senza nessun tipo di regolazione.

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Si chiama oicofobia, odio della nostra casa. Lo scrive Renato Farina su ‘Il Giornale’: “Odio della nostra casa,  di ciò che la rende unica, e che non sono i muri, ma l’odore di chi ci ha abitato prima di noi e di noi stessi. Questo suono di campane non fa vibrare più i ragazzi.  Nella “guerra mondiale a pezzi” (Papa Francesco) non ci si difende a pezzi, e non si deve cercare una pace a pezzi, altrimenti ci fanno a pezzettini. Tra un attacco e l’altro la guerra continua e dev’essere una battaglia culturale. Che non significa digrignare i denti, ma ritrovare la sorgente della vita buona di cui abbiamo una qualche eco che ci rimbomba dentro, come una voce lontana nella mente di un vecchione. Vengono in mente gli abitanti di Aleppo (Siria) che vivono da anni la situazione dei parigini. Sono cristiani caldei, siri, armeni; musulmani che non cedono al Califfo. Chi resta cerca di costruire una solidarietà e un’amicizia che danno la forza di resistere. E trovano nella fede in Dio e nella testimonianza dei santi una strada per sconfiggere l’odio mortale di chi li vuole uccidere o sottomettere. Altri cercano la fuga dalla guerra venendo in Europa. Ma noi dove possiamo fuggire? Noi dobbiamo lottare qui, credendo di più in quello che ci è stato insegnato quando eravamo piccoli e ci insegnavano che l’amore è più forte”.  Ma forse noi siamo un po’ vigliacchi in questo momento.

 

Gli eventi di Parigi hanno lacerato la convinzione di chi credeva che adeguare la nostra cultura alle altre – e non viceversa – fosse sintomo di responsabilità e di evoluzione. Siamo vigliacchi nel non ammettere senza ipocrisie che c’è una forte componente religiosa in quello che è successo in Francia. Non tutti, sia chiaro, ma in tanti si sono arrampicati con giustificazioni o retro pensieri che non contemplassero la forte influenza dell’Islam, attenzione, dell’Islam estremo e senza dignità, non dell’Islam moderato, esistente, ma silente. Silente in un momento in cui dovrebbe gridare che no, non esiste solo l’Islam pazzo e trucido, ma esiste una componente moderata totalmente distaccata da quella. Ma tutto è annebbiato dalla paura, dall’ignoranza e dal protagonismo. Gli stessi stati d’animo che spingono alcune menti nostrane a buttarsi in analisi fuori luogo.

Prendete la zuffa in rete nel commentare la tragedia di Parigi tra i magistrati del nostro Paese, ben documentata da Luca Fazzo su ‘Il Giornale’. “Quando si commettono eccidi come quelli contro gli algerini, quando si colonializza e gli ex coloni (persino naturalizzati) vengono comunque emarginati, non puoi ipotizzare che quella dell’Islam sia solo una guerra di religione. In fondo che differenza noti tra gli eccidi dei terroristi e quelli dei Paesi ex colonizzatori?” chiede Milena Balsamo, giudice a Pisa, ad Armando Spataro, procuratore della Repubblica a Torino, colpevole di aver scritto: “La motivazione di questo terrorismo è essenzialmente religiosa”. Un’affermazione che, per quanto ovvia, ha scatenato all’interno del dibattito privato tra toghe, una cascata di interpretazioni che sinceramente poco hanno a che fare col sentimento di solidarietà, l’unico, che dovrebbe esser palesato in queste tragedie umanitarie. Continuiamo a trovare giustificazioni laddove non possono esistere, continuiamo a negare. L’allarma sociale per l’avanzata della minaccia terroristica a matrice islamica sarebbe probabilmente visto sotto un’altra luce se tutti fossero a conoscenza di un particolare sconcertante: le evidenze investigative giudiziarie hanno individuato nelle moschee il luogo più frequente di base logistica o di transito, di indottrinamento, di arruolamento di combattenti jihadisti, destinati ad operare in tutto il mondo.

 

C’è voluta l’ennesima tragedia umanitaria per capire che solo difendendo, tutti insieme, le nostre culture, le nostre radici, le nostre storie da contaminazioni pericolose si può vincere la battaglia contro il terrorismo? Sì, a quanto pare, purtroppo, c’è voluta. Speriamo sia l’ultima.

Danilo Stancato

@Twitter: Danilo Stancato