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GIUSTIZIA. Il sistema italiano è un colabrodo. Tre casi emblematici: 1. Espulsione di presunti terroristi perché il gip li lascia liberi. 2. La scarcerazione tardiva di Mantovani, detenuto per pregiudizio politico. 3. La banda dei sinti beneficata in Piemonte dalla esasperante lentezza della giustizia

 

giustizia

La giustizia italiana è oramai ridotta alla stregua di un pentolone gigante dentro il quale si disperdono tra loro una serie infinita di cavilli, leggi e leggine, la cui sintesi sono dei ritardi infiniti che compromettono il corso della giustizia stessa.

Una sola certezza, amara: la giustizia non funziona: la storia, la cronaca, la realtà del nostro Paese non smettono mai di ricordarcelo.

 

In questi giorni, comprensibilmente carichi di tensione, succedono cose oltremodo inspiegabili.

 

Ne elenchiamo 3, emblematiche.

 

1) Succede che 4 cittadini marocchini residenti nel Bolognese, missionari dell’odio jihadista, sono stati espulsi con decreto firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano: “Ho firmato questo decreto per motivi di sicurezza dello Stato. Si tratta infatti di quattro soggetti che, a vario titolo, hanno aderito e si impegnavano per la diffusione dell’estremismo violento”. Giusto. Peccato si tratti degli stessi 4 verso i quali,  a maggio 2015, era stata indirizzata una richiesta di arresto con la accusa di “addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale”. Richiesta inviata dopo anni di indagini, ricerche, pedinamenti ed intercettazioni. Ma la richiesta fu rigettata dal gip, sicché i 4 (per la cronaca Abdelali BouirkiAbdelkrim KaimoussiMourad El Hachlafi e Said Razek) hanno girato liberamente nel nostro Paese per circa 6 mesi.

 

Il rigetto del gip adduceva 2 motivazioni: il materiale sotto inchiesta era stato scaricato da Internet e non era riscontrabile il fatto che fosse indirizzato all’indottrinamento jihadista e il rimando alla legge 47/2015, che prende in considerazione la mancanza di attualità del materiale e degli indizi accumulati dalla Procura, molti dei quali nel 2012.

 

Ora, gli stessi 4 indiziati lasciati a piede libero vengono espulsi: “Uno era l’informatico del gruppo, che diramava on line pratiche religiose e proclami ideologici di orientamento jihadista, canti celebrativi di atti di martirio, manuali sulle tecniche di combattimento e per la realizzazione di attentati. Un altro navigava sul web alla ricerca di contenuti inneggianti all’odio verso l’Occidente e celebrativi della violenza quale strumento di affermazione dell’Islam. Un altro ancora manifestava la sua adesione all’ideologia più radicale concorrendo alla diffusione di contenuti funzionali alla formazione operativa degli altri sodali. E infine l’ultimo era strettamente legato al primo, l’informatico, con il quale condivideva la visione estremista dell’Islam”, ha spiegato Alfano. Un’imprudenza ingiustificabile che poteva costarci veramente cara. Soprattutto alla luce di molti casi di custodia cautelare posta in essere senza ragionevoli motivazioni. Una magistratura che si inventa motivazioni per tenere in carcere avversari politici, e tiene fuori chi arma la mente di futuri terroristi, a piede libero…

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2) Mario Mantovani, vicepresidente della Regione Lombardia, detenuto dallo scorso 13 ottobre in carcere a San Vittore, oggi è stato tradotto ai domiciliari. 40 giorni di custodia in carcere a seguito di un’inchiesta della Procura di Milano per concussione, corruzione e turbativa d’asta.

 

Misura cautelare posta in atto ben 13 mesi dopo l’invio della richiesta d’arresto, quando motivazioni già debolissime allora, apparivano a quel punto del tutto pretestuose!

 

Il sospetto della detenzione per pregiudizio politico è divenuto certezza dopo questa scarcerazione, che fornisce le ragioni per cui non avrebbe mai dovuto essere posta in essere. “Ora dimostrerò la mia innocenza”, ha dichiarato Mantovani.

 

3) Il caso della banda sinti in Piemonte, è l’esatta rappresentazione di questa piaga sociale, il cui titolo è “la malagiustizia”. La storia è la seguente: un gruppetto abbastanza folto di etnia sinti, nel 2006 ha subito il sequestro di beni e immobili, frutto di “sospette” attività illecite come furti e ricettazione.

 

La banda si dilettava nello svaligiare case oppure in opere di raggiro di malcapitati anziani. Il bottino, sempre molto fruttuoso, era ricco di contanti e oggetti preziosi. Il gip di Asti aveva fatto sottoporre a sequestro preventivo gran parte di beni dei “presunti” ricettatori e dei loro familiari.

 

Il caso, o forse più l’abilità di un esperto pool di avvocati, che da tempo si occupa di difendere queste bande di sinti nel piemontese, ha voluto che l’inchiesta si andasse a disperdere nei molteplici meandri della giustizia italiana, con una illogica suddivisione del caso in vari filoni.

 

Il primo e apparentemente il più importante era relativo all’accusa di associazione per delinquere; tutti gli altri gestiti singolarmente come casi “furto” vennero spediti ad una miriade di uffici giudiziari competenti per territorio.

 

Il risultato di questa operazione, è che mentre per il primo filone si è arrivati a giudizio con pesanti condanne già nel 2010, per tutti gli altri il cui capo d’imputazione era la ricettazione, grazie a questo sparpagliamento si è arrivati al proscioglimento di tutti gli imputati per “intervenuta prescrizione”. Come se non bastasse, “la banda” si è vista restituire tutti gli immobili, soldi, gioielli e automobili sequestrati per un valore complessivo pari a un milione di euro. Un dissequestro coi fiocchi, che per di più comporterà ulteriori costi per le casse del ministero della Giustizia, che dovrà farsi carico delle spese di deposito per la custodia di caravan e auto. L’emergenza giustizia deve rientrare il prima possibile tra i principali piani del governo Renzi, per scongiurare una frattura sociale tra chi commette reati e non viene punito e chi vive nel pieno rispetto delle leggi.

Il sistema attuale è un colabrodo, il risultato che si ottiene è lontano anni luce da standard accettabili di efficienza.

Danilo Stancato & Stefano Peschiaroli
Twitter: @DaniloStancato & @StePeschiaroli