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BRUNETTA: JOBS ACT, “ECCO LE 8 RAGIONI PER LE QUALI E’ STATO UN FALLIMENTO”

 

Dichiarazione dell’onorevole Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia:

“Il ‘Corriere della Sera’, con una paginata, incensa il Jobs Act. Ecco le otto ragioni per le quali, invece, la riforma Renzi-Poletti del mercato del lavoro è stata un fallimento.

1.      Le previsioni Ue confermano i numeri impietosi del mercato del lavoro in Italia e mostrano tutta la debolezza del Jobs Act. I numeri dicono che mentre in tutta Europa la disoccupazione nel prossimo biennio calerà (di 1% nell’eurozona; 0,7 nell’Ue a 28), in Italia rimarrà molto elevata e si amplierà il divario con tutti gli altri Paesi europei: Italia 11,4 nel 2018%, eurozona 9,1%, Ue 28 al 7,8%. La Commissione ci dice che questo è il problema del Paese.
2.      La ‘flexicurity’ all’italiana è un miraggio, perché è bene ricordare che l’art.18 non è stato abolito, che le tutele sono state solo parzialmente rafforzate, che la riforma delle co.co.co. ha accentuato il nero e altre forme poco nobili di lavoro (voucher tanto per dirne una), e che tutto si è tenuto per robusti incentivi alla decontribuzione, che hanno drogato il mercato. E quando gli incentivi sono diminuiti la creazione di lavoro stabile è diminuita.
3.      Non è benaltrismo dire che sarebbe stato più utile una riduzione permanente del costo del lavoro, appunto per uniformarsi ai Pesi europei che hanno oneri del lavoro strutturalmente più bassi. Non ci voleva nessuno studio particolare per scoprire che il costo del lavoro in Italia disincentiva le assunzioni (assieme alle regole più rigide).
4.      E anche sull’ampliamento delle tutele forse si dovrebbe fare qualche riflessione in più, perché ha lasciato ampi buchi scoperti di lavoratori senza più nessuna garanzia di reddito. La riforma della cassa integrazione e della mobilità sta lasciando sacche di povertà e di esclusione sociale in molte aree del Paese e su molte categorie di lavoratori.
5.      Sulle politiche attive che non sono ancora partite, che sono state complicate da una nuova architettura istituzionale con nuove strutture, che si affidano ora al sorteggio per l’assegno di ricollocazione e che si fondano ancora sulla struttura dei centri per l’impiego, sarebbe, infine, bene aprire un bel dibattito e mostrare il fallimento di questo Jobs Act, quello presentato come innovativo, rivoluzionario.
6.      La ricetta alternativa è ben chiara. Lo avevamo detto in altri tempi e disegnato in una riforma del 2001, allora da tutti avversata perché era del centro destra ma che altro non era che la via italiana alle riforme Hartz tedesche.
7.      Via l’articolo 18, meno leggi e più contratti, più flessibilità nelle forme contrattuali per essere più in linea con i mutamenti della produzione, un robusto apprendistato per entrare subito nel mercato del lavoro, competizione facile ed aperta tra centri per l’impiego e agenzie private, azioni locali per reindustrializzare e tutelare i lavoratori. Meno leggi, meno fisco, più contratti decentrati, anche per dare più salario ai lavoratori.
8.      L’incubo del Jobs Act è: alta disoccupazione, giovani esclusi dal mercato del lavoro, meno soldi per i lavoratori, meno domanda interna, meno crescita. Siamo sicuri che è una riforma riuscita?”.