Socialize

Intervento del Presidente Brunetta nell’interpellanza urgente sul rispetto pieno della Convenzione dei diritti dell’uomo presso i tribunali della Santa Sede, anche ai fini della delibazione delle sentenze ecclesiastiche

 

Signor Presidente, Onorevoli colleghi, Signor Sottosegretario.

 

Ho presentato quest’interpellanza per sollevare una questione sicuramente non molto nota, ma che, di fatto, tocca comunque le vite di tanti nostri concittadini.

 

Come si riporta nel testo, e come abbiamo appreso da recenti fonti giornalistiche, nel mese di dicembre 2015, più di un anno fa, con un decreto non pubblicato ma soltanto affisso nella bacheca della Rota Romana, organo della Santa Sede, il decano Pinto ha stabilito che: «La nomina degli avvocati è riservata al Decano; che può confermare, eventualmente, come patrono d’ufficio, l’avvocato che la parte ebbe nei gradi inferiori».
Com’è noto, il Tribunale della Rota Romana (già Sacra Rota) emette sentenze sulle cause di nullità matrimoniale, che possono essere delibate in Italia in applicazione del Concordato. Delibate, ovvero pienamente riconosciute nello Stato italiano, con gli effetti civili che questo comporta.

 

Il decreto del Decano, abrogando di fatto il diritto ad avere un avvocato di fiducia, non può quindi non imporre gravi interrogativi sulle conseguenze che ne derivano.
Ci risulta che anche avvocati di fiducia già nominati, sono stati, senza alcuna giusta causa, rimossi dal Decano contro la volontà delle parti che avevano conferito mandato di fiducia anche da molto tempo, imponendo così loro diverso avvocato d’ufficio.

 

Ricordo, però, che l’Accordo di Villa Madama del 1984 sottoscritto tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana pone quale condizione per il riconoscimento da parte della corte di appello degli effetti civili italiani delle sentenze canoniche «che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano».

 

Ricordo altresì che la Corte Costituzionale, nella sua sentenza del 22 gennaio 1982, n. 18, ha indicato il diritto alla difesa fra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale «nel suo nucleo più ristretto ed essenziale».

 

Va quindi rilevato il valore assoluto, inviolabile ed irrinunciabile del diritto all’assistenza tecnico-fiduciaria, quale parte ineludibile del diritto di difesa, tutelato da norme costituzionali ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione.

 

Il descritto principio fondamentale del diritto di difesa ha trovato consacrazione anche nell’articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, in materia di processo equo.

 

Ebbene, con questa interpellanza, rilevando una violazione del diritto di difesa nella deliberazione del Decano della Sacra Rota, avevamo chiesto al Governo di prestare attenzione alla vicenda, e quali iniziative di competenza intendeva assumere affinché fosse garantito il rispetto pieno della Convenzione dei diritti dell’uomo presso i tribunali della Santa Sede, soprattutto ai fini della delibazione delle sentenze ecclesiastiche.

 

Nel frattempo però è successo qualcosa: per una volta, all’interpellanza al governo italiano ha risposto prima un altro governo. In questo caso quello della Santa Sede. E  lo ha fatto in modo improprio, comunicando, tramite l’articolo di un autorevole vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, che è stato posto rimedio alla stortura paurosa del diritto di difesa.

 

Ovviamente l’appunto – sia pur autorevole – di un vaticanista non può bastare. Di certo la notizia non a caso è stata data alla vigilia della risposta all’interpellanza.

 

Io non sono un vaticanologo e neppure un vaticanista, lascio a loro di ricostruire le trame che hanno indotto a questa risposta così puntuale.

 

Come si legge nell’articolo apparso proprio ieri, il Segretario di Stato Pietro Parolin avrebbe fatto pervenire al decano della Rota una lettera in cui comunicava che «il Santo Padre ha espresso la volontà che sia rispettato il diritto di ogni fedele di scegliere liberamente il proprio avvocato». Il cardinale, a nome del Pontefice, chiedeva quindi al decano della Rota di «voler modificare la prassi attuale» e corregge l’interpretazione del rescritto papale del dicembre 2015 data da monsignor Pinto invitandolo a «consentire alle parti che lo desiderano di scegliersi un patrono di fiducia».

 

E’ davvero strano però come la situazione – in piedi da più di un anno e mai segnalata da nessun giornalista vaticanista, ma solo da Renato Farina con un articolo del 30 dicembre 2016 – abbia avuto una svolta in questi giorni, e che il decreto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica che di fatto annulla il decreto del Decano dello scorso dicembre sia datato proprio 7 marzo 2017, ovvero 3 giorni prima della discussione di questa interpellanza.

 

Un’interpellanza che era stata assegnata alla presidenza del Consiglio ma su cui viene a rispondere – non me ne voglia il Sottosegretario Migliore – un rappresentante della Giustizia, quasi come se questa cosa non riguardasse i rapporti tra Stati. Mi auguro che le autorità vaticane abbiano per via diplomatica fornito chiarimenti lineari e documentati. E mi auguro che il governo italiano abbia formalizzato una protesta e che venga immediatamente fatta chiarezza sulla vicenda, essendo la prassi della Rota in totale contrasto con i Patti Lateranensi.

 

Ad ogni modo, mi auguro che il Governo Italiano, oggi, sia in grado di offrire una risposta soddisfacente al tema posto.