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IN MEMORIA DI NEREO LARONI

 

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di Renato Brunetta, Laura Fincato, Giuliano Segre

 

La Venezia che esce dalla grande emozione della “Aqua Granda”, la drammatica alluvione del novembre 1966, non sarebbe mai più stata come prima. E i suoi interpreti pure. Il richiamo al rischio di perderla fu per la città un punto fermo: la difesa dal mare, dall’inquinamento, dalla fuga degli abitanti, dalla semplice visione alla Ruskin, che voleva città chiudersi e morire con il disfacimento dei suoi monumenti, divenne il punto di congiunzione delle forze politiche locali, sotto l’impulso di pensiero dei Socialisti, in un accordo mai proclamato, ma di fatto operante fino all’inizio del secondo millennio.

Ne fummo interpreti allora, trovando in Nereo Laroni capacità e presenza, da vero decisore pubblico, nel sostenere la modernità della città, della intera città dell’acqua e della terraferma. Sindaco dal 1985 al 1987, poi Parlamentare europeo, poi Consigliere regionale, ebbe un ruolo ben chiaro: portare all’evidenza che la modernità di una città significa avere e attuare meccanismi nuovi nella gestione e nella progettazione, cioè semplicemente aggiornare la politica e non farne un freno, voltata all’indietro verso un passato ormai chiuso. Certo con il rimpianto di un figlio di un addetto di Porto Marghera, cresciuto all’estremo della Malcontenta e poi domiciliato nella meteora urbana di Favaro e ancora al confine con Mogliano e poi ancora nella terraferma che andava rappresentando la nuova urbanità della laguna. E trasferendo questa sensazione alla sua politica e ai suoi interventi.

Questo è il Nereo che noi amici da sempre abbiamo conosciuto, apprezzato e sostenuto nei momenti bui della vita, senza ritegni dalle scelte di ciascuno, ma nel convincimento di aver visto giusto allora. Laroni ha apposto un marchio a Venezia: deve continuare ad essere mondiale per poter resistere sui pochi chilometri quadrati emersi dalla laguna.

 

Venezia Roma, 14 luglio 2019