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R. BRUNETTA (Intervista a ‘Nazione-Carlino-Giorno’): “Vendevo le gondolette. Il kitsch, che nostalgia”

 

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«LA BANCARELLA di mio padre era la prima ad aprire e l’ultima a chiudere. `Così non avrai concorrenza e venderai di più`, diceva a me adolescente che avevo fretta di andare a casa. Insieme, di gondolette di plastica ne abbiamo vendute a migliaia…».

 

Renato Brunetta, economista, ex ministro, deputato di Forza Italia, ricorda gli anni in cui aiutava il padre ambulante nel centro di Venezia. Professor Brunetta, lei i souvenir lagunari li conosce bene…

«Ho fatto il venditore ambulante a Venezia per un decennio, dai 13-14 anni – era il 1963-64 – fino alla laurea, è stata l’esperienza più importante della mia vita. Su quella strada in Lista di Spagna ho imparato tutto».

 

Che tipo di souvenir vendeva?

«Soprattutto vetri di Murano a basso prezzo. Ricordo vasi, animali di varie fogge, clown, danzatrici, c’era di tutto. Ero un disastro a fare i pacchi. Ho un ricordo indelebile di questo gallo di vetro che proprio non voleva farsi impacchettare nella paglia. Dopo una battaglia lunghissima, rimase fuori la coda: non sapevo cosa fare. E allora, ho preso un altro mucchietto di paglia e ho fatto un tacòn, una toppa orrenda. Uno dei pacchi più brutti mai visti».

 

Le gondolette nere in plastica, che sono un po` il simbolo dei souvenir low cost, le vendevate?
«Ricordo quelle piene di luci e quelle con il carillon e la ballerina, alcune erano davvero improbabili. Avevamo anche quelle artigianali, in legno o in vetro di Murano, ma restavano sullo scaffale».

 

Si è mai chiesto il perché di questa passione per il kitsch?

«Il kitsch è un concetto culturale ideologico, non applicabile alla gente comune che guarda solo a due cose: al prezzo e all’effetto che farà l’oggetto acquistato. Una gondola che ruota su se stessa, con la ballerina che danza sulle note di ‘Nineta monta in gondola’, costava 2.000-2.500 lire, era molto appetibile. Io me la vedevo nei tinelli e sopra le televisioni dei nostri clienti. Magari finché non si inceppava il meccanismo del carillon o finché un gatto non la mandava in pezzi. E pensi che vendevamo di più quei piatti in simil rame sbalzato con papa Giovanni e la basilica di San Pietro che quelli col ponte di Rialto. A Venezia».

 

Come è possibile?

«Il ponte era meno identificabile di papa Giovanni. E il cattivo gusto del turismo di massa».

 

È vero che c’è un rapporto di amore-odio nei veneziani per i turisti?

«Chi di turismo ha sempre vissuto, come la mia famiglia, aveva nei confronti del turismo di massa un atteggiamento benevolo, ci dava da mangiare. La componente ‘burocratica’ della città la viveva con più fastidio. L’enorme afflusso di turisti non rende la vita facile, ma credo che prevalga la cultura dell’accoglienza, radicata in secoli di storia. Sono molti i veneziani che aiutano i turisti a spostarsi nella città: tra ponti e calli, Venezia ha un codice direzionale anomalo, non ci sono semafori né automobili. E un luogo magico, un labirinto che ti porta fuori dalle regole spaziali e temporali: si va a piedi, il tempo è molto più dilatato…».

 

Insomma, di questa delibera che ne dice?

«Il sindaco Brugnaro ha fatto bene, e il via libera all’unanimità del consiglio, è un esempio di buona politica. E giusto non indulgere nella deriva della paccottiglia. Qui parla l’economista, non ci si deve solo adattare alla domanda, ma la domanda stessa va qualificata attraverso un’offerta di qualità: sia per quanto riguarda l’origine del souvenir – oggi la chiameremmo tracciabilità – sia per lo stile dei negozi. L’alternativa è lasciare mano libera al turismo di massa, ma si entra in una spirale che distrugge la città. Nella stessa giusta direzione, vanno il codice di decoro – ovvero il divieto di lordare o fare picnic nei luoghi storici come piazza San Marco – e l’introduzione dei romeni: sono tanto criticati dai radical chic, ma sono un ottimo modo per governare la mobilità nella città».