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R. BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Riforme europee: ma possiamo smetterla di farci del male? Serve coesione nazionale”

 

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Riforme europee: servono razionalità, orgoglio e coesione… e se la smettessimo di farci del male?

Se c’è proprio un tema che i mercati finanziari non stavano seguendo in questo momento è quello delle riforme europee. Concentrati sugli sviluppi della guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina, la riforma del MES e dell’Unione Bancaria era l’ultimo dei pensieri degli investitori. Bene in ogni caso che se ne parli, ma lo scontro che si sta verificando tra le varie forze politiche, di governo e di opposizione, sul delicatissimo tema delle riforme del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), del completamento dell’Unione Bancaria Europea e della riforma della governance del bilancio europeo rischia di trasformarsi in un disastro per l’Italia, dopo quello del Fiscal Compact e del bail-in. Anche perché, una volta messe le firme su quei documenti, i giochi sono fatti e non si può più tornare indietro. Per questo motivo è necessario che il clima italiano ed europeo si rassereni e si crei compattezza tra i vari attori in campo, in Italia e in Europa. E’ necessario dunque prendersi tutti una pausa, per avere il tempo di riflettere sui pro e i contro di questioni troppo importanti per essere affrontate nel giro di pochi giorni o settimane (nonostante il lungo dibattito preparatorio non sempre trasparente e accompagnato dalla necessaria attenzione in casa nostra). Servono razionalità, coerenza e orgoglio, ma soprattutto senso di responsabilità. E’ quanto serve in questo momento per dare l’immagine di un paese compatto, coeso che si faccia sentire ad una sola voce la sua posizione in Europa.
Per capire quali possano essere le conseguenze (e le possibili soluzioni) a questa situazione che si è venuta a creare, partiamo dall’analizzare le possibili reazioni di chi, volente e o nolente, può essere considerato come il giudice ultimo della bontà delle scelte di politica economica dei governi, ovvero i mercati finanziari. Questi, evidentemente, premiano un sistema di regole chiaro e certo, e valutano positivamente gli Stati che a queste regole si adeguano e attuano comportamenti virtuosi, come il ridurre il deficit e il debito pubblico e adottare misure favorevoli alla crescita e contrarie agli sprechi. Tendono, al contrario, a bocciare regole impossibili che creano insostenibilità e conflitti. La domanda è, quindi, come la grande finanza internazionale possa reagire davanti all’approvazione di queste riforme.
Certamente, il processo riformatore che sottende il nuovo MES e l’Unione Bancaria Europea è visto favorevolmente dai trader. In particolare, è vista di buon auspicio l’introduzione di un meccanismo unico di garanzia dei depositi bancari e l’esistenza di un fondo europeo in grado di fornire risorse finanziarie ai paesi in difficoltà. A patto, ben inteso, che ci sia un impegno serio di questi paesi a non usare questi strumenti solo come pretesto per non prendere decisioni virtuose sui conti pubblici. Molto spesso, dispiace dirlo, l’Italia ha fornito proprio un esempio di questo tipo. Ad esempio, il meccanismo concessionale secondo il quale il sostegno finanziario del MES è subordinato all’attuazione di riforme strutturali da parte degli stati membri è da giudicare positivamente. E’ giusto che chi riceva risorse, dimostri di dare qualcosa in cambio. Ma questo, non può essere sinonimo di richieste impossibili, come la ristrutturazione automatica del debito o la penalizzazione dei titoli di stato, due riforme fortemente volute dalla Germania sin dall’allora ministro dell’economia Schauble. Perché da un sistema del genere, sicuramente ci perderebbe l’Italia, ma anche l’Europa, che non avrebbe nessun vantaggio dall’esacerbare i problemi del nostro paese. Se il combinato disposto di tali riforme dovesse passare, è scontato che gli investitori comincerebbero a vendere titoli di Stato italiani e di altri paesi europei indebitati. Quale vantaggio ne trarrebbe l’Europa? Nessuno.
Anche perché, questo eccesso di regolamentazione che si sta verificando nella UE e che deriva poi dalla visione germanocentrica di controllo rigoroso dei bilanci e dei mercati, si pone in contrasto con la visione più liberale del mondo anglosassone. La quale, come ha dimostrato l’evidenza empirica, ha finora portato a risultati migliori in termini di performance proprio del mondo bancario e finanziario. Mentre mercati e banche made in USA stanno andando a gonfie vele, quelli europei faticano. Uno dei motivi, è proprio il differente set di regole tra le due aree, che svantaggia l’Europa. Dobbiamo attendere forse che le ricchissime banche americane si mettano ad acquistare banche italiane o tedesche, che per effetto delle regole non riescono a prestare denaro alle imprese, per accorgerci del problema?
Occorre quindi che la politica italiana vigili attentamente su quanto sta accadendo in tema di riforme europee, cominciando dai prossimi passaggi parlamentari che vedranno il ministro dell’economia e il premier riferire alle Camere. E’ opportuno che il Parlamento si esprima in maniera coesa e auspicabilmente unitaria, in maniera da dare un mandato chiaro a chi la rappresenterà al prossimo Consiglio Europeo, convincendo gli altri paesi dell’Unione, soprattutto quelli del Nord, ad evitare di mettere l’Europa in difficoltà. Fare le scelte giuste in questo momento potrebbe segnare un punto a favore del nostro paese; farne di sbagliate significherebbe unicamente miope masochismo che i mercati, finora sonnolenti, finirebbero per punire.