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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Milano Finanza’): “Riaccendiamo subito l’Italia con le opere pubbliche”

 

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Utilizzando risorse dei fondi europei, CDP e speciali linee BEI sarebbe possibile mettere sul piatto altri 100 miliardi per far rinascere tutte le nostre città, periferie urbane comprese

 

 

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La Banca Centrale Europea ha finalmente annunciato il suo whatever it takes, consistente in un piano straordinario da 750 miliardi di euro per sostenere le economie dell’eurozona colpite dalla crisi generata dal corona virus. Questa volta, a differenza di una settimana fa, la governatrice Christine Lagarde, nella riunione straordinaria del consiglio direttivo che più volte avevamo suggerito a Banca d’Italia di chiedere, non ha fatto gaffe. “Azioni straordinarie in tempi straordinari”, ha dichiarato. Benissimo. L’avesse dichiarato prima, avrebbe risparmiato all’eurozona una settimana di passione sui mercati finanziari. Il piano, che proseguirà per tutto il 2020, è stato pensato su misura della crisi sanitaria, e prevede, tra le altre cose, l’acquisto anche di commercial paper non bancari, cambiali con le quali si finanziano le imprese. Non proprio un ‘whatever it takes’ a 360 gradi ma un programma mirato e a tempo limitato, che porta l’ammontare mensile dei titoli acquistati vicino a quello degli 80 miliardi di euro varato da Draghi. Tanto è bastato per far scendere i rendimenti dei BTP italiani fino all’1,5%. Un livello lontano dai livelli pre-crisi. Per tornare a quelli, ci sarebbe bisogno di usare altri strumenti del toolkit che avevamo suggerito di usare qualche giorno fa, soprattutto quello dell’allargamento del perimetro del QE a strumenti finanziari come gli ETF e delle aste di liquidità (TLTRO) fatte su misura per le piccole e medie imprese europee.

Diverso è il discorso che riguarda il MES, il famoso fondo salva-stati che, almeno per il momento, non sarà utilizzato, nonostante le pressioni contro la Germania e i paesi del Nord e che rimane un fondo inutile e dormiente per salvare i singoli stati e non l’Europa nel suo insieme. C’è una forte ritrosia nel trasformarlo in un fondo “salva Europa”, quello che serve adesso. Una ritrosia incomprensibile, quella dei paesi della cosiddetta Lega Anseatica, in un momento come questo, dove le economie europee hanno bisogno di liquidità che proprio il MES potrebbe fornire con i suoi oltre 400 miliardi di capienza, senza condizionalità alcuna. Perché un fondo condizionale sarebbe fuori dal tempo, metterebbe un marchio sui paesi che lo utilizzano, paesi che i mercati finanziari punirebbero subito, come avvenuto per il caso greco. Per questo rinnoviamo il suo appello al premier Conte e al ministro dell’economia Gualtieri affinché proseguano nelle sedi europee a chiedere l’intervento di questo fondo che, prima di essere riformato, dovrebbe funzionare per lo scopo per il quale è stato pensato, salvare l’Europa e l’euro.

Al bazooka della BCE e del MES dovrebbe poi aggiungersi quello della BEI, la Banca europea degli investimenti che dovrebbe anch’essa dare un senso alla sua presenza tra le istituzioni finanziarie europee, emettendo bond ad-hoc per risolvere la crisi. Anche in questo caso, le resistenze degli stati del Nord la rendono silente e inutilizzabile. A questo punto, tanto varrebbe chiuderla assieme al MES, restituendo agli stati contribuenti i fondi stanziati, fondi che potrebbero essere utilizzati a livello nazionale, anziché rimanere parcheggiati e investiti in attività sicure, nemmeno si trattasse di una banca d’affari. Ma se così fosse vorrebbe dire la fine dell’Europa.

Non ci dimentichiamo, infine, il bazooka nazionale, quello dei 25 miliardi messi in campo dal Governo Conte, attraverso i decreti già emanati, ai quali decreti altri dovranno seguire. Se davvero il calo del Pil per l’Italia dovesse essere, come stimato da molti previsori, pari a circa il -8-10% nel 2020, è chiaro che quei 25 miliardi stanziati sono del tutto insufficienti per rilanciare l’economia italiana. Anche su questo bazooka, c’è ancora molto da lavorare e sarà compito del prossimo decreto che a noi piacerebbe fosse chiamato Rinascita: a partire dalle infrastrutture, grandi, medie e piccole, ci sono più di 100 miliardi stanziati negli anni ma non spesi in opere che per ragioni burocratiche, amministrative e ambientali sono da anni bloccate. Quale miglior momento per un decreto che abbia la potenza eversiva che finora nessuno ha avuto a livello di governo? Ripartirebbe l’Italia dei cantieri, delle infrastrutture, delle opere pubbliche, ripeto, grandi, medie e piccole. A questa linea di azione andrebbe affiancato un parallelo piano di finanziamento della “legge sulle periferie”, tanto straordinaria, quanto colpevolmente abbandonata e svuotata. Utilizzando risorse dei fondi europei, CDP e speciali linee BEI sarebbe possibile mettere sul piatto altri 100 miliardi per far rinascere tutte le nostre città, periferie urbane, dalle strade all’illuminazione, dagli edifici pubblici alle reti di comunicazione, ai parchi, al verde, alle scuole, a tutte quelle infrastrutture pubbliche e sociali fondamentali per la nostra vita. Una sorta di “manutenzione Italia” che per propria natura avrebbe alti coefficienti di attivazione per le piccole imprese e per l’occupazione e quindi per il reddito.

Infine, nel prossimo decreto Rinascita andrebbe rilanciato un grande Piano casa, tale da consentire ai privati di ampliare, ammodernare, mettere in sicurezza tutti i loro immobili. Piano casa molto più ampio ed esteso dal punto di vista delle possibilità di quello usato dal Governo Berlusconi che ha fatto lavorare per i successivi 10 anni tutto il mondo dell’edilizia. Se si mettessero insieme questi tre catalizzatori, grandi e medie piccole opere, piano periferie, piano casa, noi avremmo contemporaneamente messo in piedi un enorme stimolo per il reddito, l’occupazione e l’efficienza e la produttività del sistema Italia. Tutto questo dovrebbe essere predisposto da subito, con il prossimo decreto, vale a dire per i primi giorni di Aprile, data fatidica rispetto alla quale il Governo dovrebbe non solo fare il bilancio delle azioni fin qui intraprese rispetto al contrasto della pandemia ma dare appunto tutti i necessari segnali di controllo intelligente e responsabile ma anche di speranza rispetto all’emergenza nei mesi futuri. Tutti gli antibiotici che servono, ma insieme tutte le vitamine di cui ha bisogno il metabolismo del paese.

Si adotti dopo il 3 aprile un modello strategico intelligente, di sintesi, frutto dell’esperienza di questi mesi, della intelligenza pionieristica della Regione Lombardia, del pragmatismo di successo veneto ma anche e soprattutto del meglio delle strategie cinesi e soprattutto del modello coreano: responsabilità, big data, app, controlli intelligenti e flessibili, tamponi diffusi, con la sanità finalmente fuori dall’emergenza, in grado di fare ‘whatever it takes’ per tutti, a partire dai più deboli. E qui mi fermo: ottimismo della volontà ma anche l’ottimismo della ragione.