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R.BRUNETTA (Intervista a ‘Nuova Venezia-Mattino di Padova-Tribuna di Treviso’): “Governo, Bce e Ue sparino in simultanea i loro bazooka”

 

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«Quando nel 1966 ci fu la grande alluvione a Venezia avevo 16 anni. L’attività commerciale di famiglia era finita sott’acqua. Tra la merce c’erano molti foulard che una volta bagnati avevano assunto come colorazione un improbabile miscuglio di disegni e tinture. Mia madre li lavò e li stirò tutti, li vendette con un forte sconto ad un gruppo di turisti. Quella cosa ebbe un doppio effetto, e lo dico come economista sostenuto dagli occhi del ricordo dell’adolescente di allora: recuperammo un po’ di ricavi e fiducia nel futuro». Renato Brunetta, deputato di Forza Italia, economista, accademico, traccia i contorni della crisi del coronavirus, lo pensa coi segni del disastro dell’Acqua Granda di Venezia e propone possibili vie di fuga. Perché da questa crisi il paese colga l’occasione per un piano di rilancio strutturale».

L’emergenza sanitaria ha inferto un colpo durissimo alla nostra economia. Quanto profondo sarà secondo lei?

«Nessuno sa nulla, le previsioni fatte anche da serissimi e accreditati istituti non sono in grado di anticipare una situazione come questa. Non c’è alcun precedente per quanto riguarda un paese come il nostro, per quanto riguarda l’economia a il livello globale colpita dalla pandemia. Ciò che sappiamo è che da dieci giorni siamo in chiusura totale, da circa un mese in chiusura parziale, da due mesi in allerta. Ci sarà una violentissima caduta verosimilmente del Pil già nel primo trimestre di quest’anno, caduta del gettito fiscale, avremo una caduta dei consumi, degli investimenti. Si amplierà il deficit e anche il debito. E ancora sarebbe nulla se tutto si fermasse il 3 aprile, si tratterebbe certo di un bruttissimo sogno. Il guaio è che il rischio è che si vada avanti ancora un mese o due e qui mi fermo: la mia natura di inguaribile ottimista mi impedisce di andare oltre».

Siamo in contesto pandemico, il ragionamento purtroppo presuppone ulteriori effetti collaterali per noi

«È così. Anche la recessione che sta colpendo gli altri paesi non è che migliora lo scenario, casomai lo peggiora. Mal comune si piange insieme. Le nostre merci sono vendute per la maggior parte all’estero, in Germania e in Europa. L’unica medicina è il confinamento e il blocco delle relazioni, che è l’esatto contrario del metabolismo economico che si basa su relazione, mobilità, contratti. Ma se vogliamo uscirne bisogna azzerare gli scambi interpersonali cercando di non azzerare gli scambi di merci, di tecnologie, di ricerca. Mai come oggi l’implementazione dello smart working, del lavoro intelligente serve per combattere la pandemia. Siamo dentro ad un coacervo di contraddizioni che se viste con pensiero negativo producono caos, ma viste con il pensiero positivo lo trasformano in pensiero creativo».

Le misure economiche attuate dal governo vanno in questo senso, secondo lei?

«Ho contribuito a farle, sono uno dei quattro sherpa dell’opposizione. Abbiamo interloquito due o tre volte in teleconferenza, le nostre proposte sono state attentamente analizzate e valutate, poco accolte. Si poteva fare meglio e di più. Capisco anche le difficoltà della maggioranza, chiedo al governo di condividere il da farsi con l’opposizione in parlamento, di dialogare con noi che ascoltiamo le grida di dolore che vengono dal paese. Va fatto di più e meglio per gli eroi civili: medici, infermieri, forze dell’ordine, addetti ai servizi pubblici essenziali, cassieri dei supermercati, chi ci porta la spesa a casa, tutti quelli che rendono confortevole e sicuro il nostro stare a casa, bisogna dare loro dei concreti attestati per il lavoro svolto. Per le imprese si doveva fare di più in termini di chiarezza e di garanzie, bisognava accompagnare i provvedimenti anche da una comunicazione specifica: l’orizzonte temporale della crisi e le garanzie che il governo avrebbe assegnato loro. E poi sulla sospensione di tasse, contributi, affitti, rate dei mutui. Sui lavoratori non è stato fatto abbastanza, se non dividere in lavoratori di serie A e serie B. I dipendenti, con la cig o la cig in deroga, e gli autonomi, costretti a non fatturare, dimenticati; questo non è accettabile. Bisognava essere più vicini alle famiglie, per quanto riguarda le attività di cura, le colf e per quanto riguarda mutui, bollette e costi».

Cosa si è sbagliato?

«Non voglio alimentare alcuna polemica, in questo momento non ha senso. L’azione di governo è stata costretta ad inseguire l’andamento dell’epidemia. Nella fase di dialogo avevo suggerito nell’elencazione di mettere alla fine dei singoli grandi capitoli di intervento la clausola di chiusura “per quello non espressamente evidenziato esiste un fondo di garanzia per assicurare a tutti reddito, sospensione di pagamenti, etc”. In questo modo nessuno sarebbe rimasto indietro o dimenticato».

Il governo ha agito inseguendo le circostanze.

«C’è la sensazione che ci sia un affastellamento dei decreti. L’azione di governo ha bisogno anche di programmare gli interventi da fare e sistematizzare quello che è stato fatto».

Sta parlando del dopo?

«Ho in mente oltre a Cura Italia, altri due decreti, per far ripartire il paese. Dobbiamo domare l’epidemia, ma poi quando tutto sarà finito avremo una Italia in ginocchio. Bisogna pensarci ora. L’Europa ha balbettato, sta arrivando ma è in ritardo. Già due settimane fa tutte le regole e i trattati europei dal fiscal compact in su andavano sospesi. La governatrice della Bce Lagarde poteva evitarsi l’uscita sullo spread e il relativo tonfo della Borsa italiana. Ha iniziato con un Quantive Easing timido per poi quadruplicarlo poche ore dopo. Questi balbettii non dovevano esserci. Come l’attivazione del cosiddetto Fondo Salva stati, 420 miliardi da usare senza condizionalità. Il fondo non deve comportarsi come l’amministratore fallimentare indicato dal tribunale, c’è il rischio del default dell’Europa, deve comportarsi come Salva Europa. Serve che tutti, Governo italiano, Ue, Bce anche la Bei (Banca Europea degli investimenti) facciamo sparare i loro bazooka simultaneamente».

In cosa consistono i due decreti che ha in mente?

«Il primo keynesiano: Rialzati Italia con investimenti in infrastrutture. Ci sono 100 miliardi di euro bloccati per opere grandi e piccoli, che hanno coefficienti in grado di moltiplicare il loro effetto per due o per tre in termini di Pil. Poi un piano per le periferie, che già c’è, lo fece Causin nel precedente Governo. Un piano di manutenzione per le case degli italiani, detassando gli investimenti di miglioramento, anche con l’aumento della cubatura, sulla falsa riga del Piano Casa che facemmo noi con il Governo Berlusconi. Il mio sogno, 100 miliardi infrastrutture, 100 miliardi per le periferie, 100 miliardi o quel che sarà per un grande piano casa. Il secondo per gli autonomi e le partite Iva, per reilluminare le vetrine: Riaccenditi Italia, dedicato al mondo del terziario, della distruzione commerciale non food, alberghi, imprese autonome, tutti i liberi professionisti, turismo, spettacolo, ma anche della cultura, del teatro e del tempo libero. Un mondo che è stato chiuso dal coronavirus e che sta morendo, che è la nostra qualità della vita. Se sapremo usare questo momento come un’occasione rivoluzionaria, per affrontare tutti i nostri storici mali e il nostro egoismo, ne potremmo uscire presto e bene. Un po’ ammaccati, ma più giusti, più efficienti, più capaci di pensare ai più deboli e agli ultimi. Insomma, l’occasione della crisi».