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BRUNETTA-MULÈ (Editoriale su ‘Il Sole 24Ore’): “Un nuovo Patto sociale su investimenti e fisco”

 

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Costretti a rimanere nelle nostre case, noi italiani viviamo un tempo sospeso. La realtà impone a chi è classe dirigente di fare in modo che il tempo sospeso non si risolva in «tempo perso». Per questo, paradossalmente, il Coronavirus sta producendo effetti collaterali positivi.

Pensiamo all’Europa che finalmente prova a guarire dalla malattia dell’egoismo, come da sempre auspicato da Silvio Berlusconi, con un processo di revisione dogmatico che si spera riporterà il primato dell’economia reale e del lavoro dell’uomo su quello immateriale della finanza.

Bene, se dunque questo tempo sospeso deve servire a preparare un tempo migliore è doveroso essere ambiziosi e coraggiosi per creare le condizioni, ora e adesso, di un «new deal» basato su un nuovo patto sociale e fiscale. Il tempo dell’emergenza obbliga a una terapia keynesiana: si inizi a sbloccare i fondi per opere pubbliche già finanziate. L’ammontare è di oltre 100 miliardi. Se a questi 100 miliardi se ne aggiungessero altrettanti per rifinanziare la legge sulle città metropolitane e sulle periferie avremmo in mano un bazooka interno di potenza straordinaria.

Questa misura va accompagnata con un nuovo grande «piano casa», con la detassazione degli investimenti per i miglioramenti nelle abitazioni prevedendo – laddove le condizioni urbanistiche, ambientali e paesaggistiche lo consentano – anche l’aumento delle cubature.

Queste tre misure potrebbero valere almeno 300 miliardi e garantirebbero, nel minimo, un poderoso incremento del Pil.

Ma non solo: metterebbero in moto la matrice delle interdipendenze settoriali con un coefficiente di moltiplicatore tra due e tre rispetto ai 300 miliardi investiti.

Ma il «nuovo patto» si dovrebbe fondare su un pilastro: il rapporto di fiducia tra contribuente e cittadino. In questa fase si dovrebbe pensare a misure di risarcimento pieno per tutte le attività che hanno abbassato le saracinesche (bar, artigiani, negozi ad esempio) o chiuso gli studi professionali di ogni tipo.

Bene: l’economia sommersa vale più di 200 miliardi. Che cosa proponiamo: a tutte le imprese, a tutti i professionisti, a tutti i lavoratori autonomi – in definitiva a tutti – lo Stato dovrebbe chiedere di dichiarare oggi a quanto ammonta il mancato profitto o reddito reale per ogni mese di «fermo». Ebbene: facendo debito e deficit, lo Stato li risarcisce totalmente.

Questa è la scommessa. Servirebbero risorse enormi, ma a nostro avviso ben investite. La dichiarazione sul «profitto reale» non dovrebbe avere alcun effetto sul passato, nessun tipo di pretesa verrà avanzata su ciò che non è stato versato al fisco in precedenza. Non è un condono, ma una pace vera e necessaria per superare lo stato di «economia di guerra». Ecco le condizioni.

La prima: finito iI «tempo sospeso» e con le attività nuovamente a pieno regime, il calcolo dei tributi da versare sarà effettuato sui livelli dichiarati al momento della richiesta di risarcimento. A quel punto dovrebbe scattare il «pagare tutti, pagare meno»: un nuovo regime ficcale, preceduto da una decisa spending review, per puntare a una semplificazione che superi le attuali aliquote (con la flat tax) e del sistema delle deduzioni e delle detrazioni. Con la piena lealtà fiscale i benefici sarebbero straordinari: almeno 4 milioni in più di lavoratori regolari, un balzo del Pil superiore al 20%.

In sintesi: il new deal, basato sulla piena lealtà fiscale, ci consegnerà un’Italia non più egoista ma più giusta.