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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Milano Finanza’): “Coronavirus: l’importanza della lezione di Draghi, meglio dentro l’Ue e l’euro che fuori”

 

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Il mercato dei bond sovrani dell’Eurozona si sta stabilizzando, dopo l’intervento della Bce dei giorni scorsi. Eccezione fatta per la gaffe comunicazionale della governatrice Christine Lagarde, fortunatamente rimediata in poche ore, l’Istituto di Francoforte ha dimostrato di aver capito la lezione della precedente crisi finanziaria dell’euro del 2008, gli strumenti di intervento e l’importanza del modo in cui questi sono comunicati ai mercati. Il ‘whatever it takes’ di Mario Draghi è servito da modello. La Lagarde l’ha seguito, seppur con qualche sbavatura, e la cosa ha funzionato di nuovo. Tempo soltanto una settimana e il mercato dei sovereign bond sta tornando tranquillo. Meno del tempo impiegato nella crisi del 2008, a riprova della considerazione che i mercati hanno ormai nel bazooka di Francoforte. Diverso è il discorso per il mercato azionario, per l’ovvia ragione che questo non è assoggettato all’intervento della Banca centrale come quello dei bond sovrani.

L’Italia ha quindi avuto una prova dei vantaggi dell’appartenere alla valuta unica posta sotto il controllo di una potente banca centrale. Vantaggi che Mario Draghi aveva riassunto in uno dei passaggi della sua straordinaria Lectio Magistralis alla Normale di Pisa nel 2018, dove disse: ‘dal varo del sistema monetario europeo la lira fu svalutata sette volte, eppure la crescita della produttività fu inferiore a quella dell’euro a 12, la crescita del prodotto pressappoco la stessa, il tasso di occupazione ristagnò. Allo stesso tempo l’inflazione toccò cumulativamente il 223 per cento, contro il 126 per cento dell’area euro a 12’.

Questo pensiero ci deve portare a riflettere sul fatto che la crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo sta producendo un inatteso effetto positivo, quello del ritorno a parlare di soluzioni di scala europea e dell’utilizzo di istituzioni europee per risolvere i gravi problemi di liquidità di famiglie e imprese che l’Europa sta sperimentando. Dal momento che nessun paese può dirsi estraneo a questa situazione pandemica, le cancellerie europee e i policy-maker si sono presto accorti che nessuno stato, nemmeno la forte Germania, può permettersi di affrontare da solo, né dal punto di vista finanziario né da quello politico, questa crisi. Per tornare al punto di partenza, immaginiamo per un momento cosa sarebbe accaduto all’Italia se anziché avere adottato l’euro avesse ancora la lira, con l’enorme debito pubblico che la caratterizza. La valuta sarebbe colata sicuramente a picco, come a picco sono colate negli ultimi giorni valute ritenute storicamente molto solide come la sterlina britannica e la corona norvegese. E immaginiamoci con quali risorse il nostro paese avrebbe potuto affrontare la ricostruzione. Non avendo liquidità sufficiente, avrebbe dovuto sicuramente chiederla alle grandi istituzioni finanziarie internazionali, a partire dal Fondo Monetario Internazionale. Ovvero ad uno dei tre componenti della tanto invisa Troika, che avrebbe prestato quelle risorse soltanto in cambio delle classifiche e ben note riforme draconiane che chiede a tutti i paesi che hanno bisogno dei suoi fondi.

Invece, avendo aderito alla Unione Europea e all’euro, l’Italia può permettersi di chiedere linee di credito e fondi che sono in parte anche quelli che ha versato nel corso degli ultimi anni per capitalizzare istituzioni quali il MES, la BEI, il bilancio dell’Unione e, dal punto di vista monetario, la Banca Centrale Europea. Risorse sul cui utilizzo può avere voce in capitolo, poiché è contribuente e membro della governance, mentre non ne avrebbe in egual misura se chiedesse pari linee di credito al FMI. Sottolineiamo con vigore il fatto che la sola politica monetaria da parte della BCE non è sufficiente per risolvere la situazione che si è venuta a creare. Occorre, infatti, un ottimo policy mix nel quale rientrino politiche di bilancio di rango europeo, che attingano a fondi europei disponibili attraverso le istituzioni finanziarie appena citate, le quali hanno, tra le altre cose, la possibilità di emettere strumenti di debito. Questo per fare in modo che la maggior liquidità immessa nel sistema dalla banca centrale possa trasferirsi fisiologicamente all’economia reale. L’idea proposta dall’ex premier Mario Monti, dall’economista Guido Tabellini e ripresa anche dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi di emettere bond irredimibili (senza rimborso del capitale) finalizzati al contrasto della pandemia, a basso tasso e di lunga durata, tipicamente usati in una economia di guerra (quella attuale, per certi versi, lo è) potrebbe essere quella giusta.

Ora, tutti questi strumenti, che fino a questo momento sono sempre stati messi in secondo piano, assumono una importanza fondamentale per fornire a tutti i paesi le risorse necessarie. Ciascuna con il proprio ruolo. La BCE attraverso le politiche monetarie espansive, il QE e i LTRO, la Commissione attraverso i propri fondi, il MES (in teoria per il momento), attraverso un toolkit che va dall’acquisto dei titoli di stato alla concessione di linee di credito ad hoc, la BEI attraverso la concessione di finanziamenti per investimenti infrastrutturali e di ricerca. Le istituzioni finanziarie hanno la possibilità di emettere bond specifici per fronteggiare la situazione, a condizioni di mercato estremamente favorevoli, ovvero a tassi pari a zero, sfruttando l’elevato rating assegnato loro, in quanto risorse garantite dai bilanci di tutta l’Europa, invece che il rating quasi “junk” come nel caso italiano. Questi sono, sulla carta, i vantaggi finanziari di fare parte dell’Unione Europea e dell’euro. Considerando che le cancellerie dei vari paesi hanno finalmente deciso di rinunciare, chi più chi meno, alla loro tradizionale reticenza a utilizzare in forma comunitarie e solidale queste risorse, si potrebbe dire che sta per nascere un sistema di politiche fiscali di livello europeo, assistito dal bazooka della politica monetaria della BCE.

Ci auguriamo che questa crisi segni un Nuovo Corso Europeo di rafforzamento politico dell’Unione, e venga meno la tradizionale distinzione tra paesi ‘cicala’ del Sud e paesi ‘formica’ del Nord. Probabilmente i primi, tra cui l’Italia, dovranno imparare a spendere meno e meglio, mentre i secondi ad essere meno egoisti e a reflazionare di più in ragione del loro enorme surplus, figlio dell’euro. D’altronde il cedere qualcosa per ottenere qualcosa in cambio fa parte della natura compromissoria della politica, senza la quale nessun accordo può essere raggiunto.