Socialize

R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Milano Finanza’): “Conte approvi l’intero pacchetto di aiuti Ue: il Mes ha reso l’euro più forte, ora renda più forti i paesi europei”

 

milano-finanza-mf

 

LEGGI IL MIO EDITORIALE

 

La polemica cui stiamo assistendo nel nostro Paese sembra proprio una inutile, masochistica, ideologica tempesta in un bicchiere d’acqua. Che fa solo male a borsa e spread. Per questo accogliamo con grande interesse l’interpretazione che la Francia dà di una linea di credito a condizionalità semplificata per il Salva-Stati

 

Ricordiamo a noi stessi che il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) non è uno strumento pensato tanto per salvare l’Italia, quanto per salvare l’Euro da shock economici asimmetrici, nonché da crisi finanziarie pesanti come quella che colpì l’Eurozona nel 2008. Dunque esso può e deve essere interpretato come una forma di garanzia che interviene proprio quando alcuni Stati membri che adottano la valuta unica sono in difficoltà finanziarie, non possono accedere ai mercati, e mettono così a rischio l’Eurozona nel suo insieme e l’efficacia delle politiche monetarie della Banca Centrale Europea. A questo riguardo, non dimentichiamoci che fu proprio dopo la pericolosissima crisi del 2008 che il Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo decise di dar vita a questa istituzione, a tutela della valuta unica, quando in molti, tanto in Europa che fuori, pensavano potesse saltare. Invece, pur con tutte le sue rigidità e gli errori fatti (soprattutto nel primo caso in cui fu utilizzato, quello greco), il MES ha contribuito a rendere l’euro una valuta più forte. Gli interventi compiuti in Spagna e Portogallo, ma non solo, per esempio, hanno favorito il miglioramento delle performance economiche dei due Paesi e della loro stabilità finanziaria. Perché ricordiamo, sempre a noi stessi, che stare nell’euro comporta il concorrere, anche finanziariamente, alla sua difesa, come avviene in qualsiasi serio club che si rispetti. Onori, ma anche oneri. Se non si vogliono questi ultimi è bene dirlo e uscire dal club.

Il MES è ora tornato protagonista in questa congiuntura storica ed economica, per contrastare non tanto una crisi asimmetrica (come quella di allora),  quanto gli effetti simmetrici potenzialmente devastanti a livello economico, sociale e finanziario della pandemia. E per questo motivo, l’ultimo Eurogruppo, dopo un non facile dibattito, nella sua riunione del 10 aprile, ha deciso di allentare i meccanismi di condizionalità nell’utilizzo delle linee di credito del fondo salva Stati, finalizzando la potenza di fuoco al finanziamento delle spese sanitarie dirette e indirette, necessarie per fronteggiare la crisi. Linee di credito che per l’Italia, con la regola del 2% del Pil, potrebbero ammontare fino a 37 miliardi di euro forniti a tassi molto bassi, vicini allo zero.

A questo riguardo, tutta la polemica cui stiamo assistendo nel nostro Paese sembra proprio una inutile, masochistica, ideologica tempesta in un bicchiere d’acqua. Che ci fa solo del male (basti guardare l’andamento degli spread e delle borse di questi giorni). Per questo accogliamo con grande interesse l’interpretazione che la Francia, attraverso il suo ministro delle finanze Bruno Le Maire, ha dato a questa versione “light” del MES, sostenendo che le spese che rientrano nel perimetro di quelle accettabili dalla linea di credito a condizionalità semplificata siano quelle applicabili ad un ampio spettro di interventi economici.

Come ricordato da Le Maire, in una intervista alla Stampa di oggi, sul Mes l’Eurogruppo ha concordato la possibilità di far accedere a linee di credito che non prevedano condizioni legate alla sostenibilità del debito del Paese richiedente. Tale opzione, secondo l’interpretazione francese, non sarebbe legata solo alle spese mediche, ma, indirettamente anche ad un ventaglio più allargato di interventi economici: “Un Paese che è stato costretto a imporre un lockdown, a chiudere alcuni negozi o aziende, deve considerare quei costi come costi sanitari indiretti”, ha detto Le Maire, “i costi legati alla decisione di chiudere parte dei settori economici devono far parte del perimetro di questa linea di credito; io non ci vedo alcuna ambiguità. So che alcuni contestano questa interpretazione ma è scritto nero su bianco: si parla di costi di prevenzione. E il lockdown lo è”.

Ma torniamo all’Europa. Nel Consiglio Europeo del 23 aprile, il nostro presidente Conte dovrebbe approvare (con buona pace dei 101 economisti che gli chiedono di non farlo) l’intero pacchetto dei pilastri messi a disposizione dei Paesi membri dell’Unione per contrastare la crisi: SURE, MES, BEI, Recovery Fund, per un totale potenziale a vario titolo di oltre 2.000 miliardi di euro, cui vanno aggiunti gli oltre 750 miliardi di euro della Bce con il suo Quantitative Easing entro quest’anno e, di fatto, illimitati. Avendo fatto, naturalmente, le opportune istruttorie di carattere tecnico (il diavolo sta nei dettagli). E su preciso, chiaro, esplicito, impegnativo mandato del Parlamento. Guardando unicamente agli interessi del Paese. Con l’Europa, o fuori dall’Europa. Dire “faremo da soli”, sarebbe una inutile e masochistica fuga dalla realtà. L’Europa perdona, i mercati no. Di questo dobbiamo esserne tutti consapevoli.