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IL MIO INTERVENTO SU ‘MILANO FINANZA’: “Bene il pacchetto Ue anti-Covid, ma chi pagherà il conto?”

 

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C’è molta attesa per il Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo del prossimo 23 aprile, perché dovrebbe essere quello, almeno sulla carta, che deciderà come finanziare i 4 pilastri d’intervento individuati dall’Eurogruppo nella riunione del 10 aprile (SURE, MES, BEI e Recovery Fund) per risollevare l’economia europea dalla crisi economica conseguente alla pandemia. Si tratterà, quasi sicuramente, di un Consiglio non definitivo, dal momento che serviranno altre istruttorie, sia di carattere tecnico che di carattere politico istituzionale, per perfezionare tutte le questioni in campo. Ci sarà lavoro almeno fino all’estate.

Ricordiamo che, al momento, è stato trovato solo un accordo tra i vari paesi dell’eurozona sulle definizioni, sugli acronimi e solo in parte sulle modalità di intervento dei vari strumenti finanziari, così come ancora non definitive appaiono le dimensioni che, lo ricordiamo, dovrebbero ammontare a: 100 miliardi (SURE); fino al 2% del Pil dei paesi dell’Eurozona (MES); poco più di 200 miliardi (BEI) e 1.500 miliardi, ma la cifra oscilla anche verso i 500 (Recovery Fund). Non si è ancora capito, invece, come queste risorse-aiuti saranno erogati; da quali emittenti proverranno; e quali condizioni finanziarie saranno applicate.

Per il SURE, alcune domande si pongono: si tratta di trasferimenti a fondo perduto o di prestiti agli Stati richiedenti? Proverranno direttamente dal bilancio europeo o da un altro veicolo finanziario? Nel secondo caso, quale? E come quest’ultimo troverà le risorse? Dai singoli bilanci nazionali o ricorrendo all’indebitamento sul mercato? Nel secondo caso, con quali strumenti e condizioni?

Per il MES, stessa cosa. Nel caso le richieste eccedessero le risorse disponibili, la differenza come verrebbe colmata? Con i bilanci dei singoli Stati o, presumibilmente, tramite l’emissione di bond MES? In questo secondo caso, come avverrebbe il rimborso di questi bond?

Nel caso della BEI, i 200 miliardi stanziati sono in conto cassa o è l’ammontare complessivo attivabile grazie al leverage finanziario attivato tramite le garanzie sui prestiti alle imprese (per un importo non ancora precisato)?

Per il Recovery Fund, i 1.500 miliardi (o i più modesti 500) sono la disponibilità in conto cassa o, anche in questo caso, l’ammontare sarà attivabile da un sistema di prestiti, garantito dal bilancio della UE (e quindi dai bilanci di tutti i Paesi membri)? Sarà un fondo inserito nel bilancio dell’Unione o emesso da un veicolo finanziario da costituire (per trattato) ad hoc? Potrà indebitarsi? Se sì, a quali condizioni?

L’unica cosa certa, ad oggi, è che l’Unione Europea non dispone delle risorse necessarie a finanziare l’intero pacchetto di interventi, che vale più o meno circa 2.000 miliardi di euro. Per raccoglierli, delle due l’una: o vengono attinti dai singoli bilanci degli Stati membri, che a quel punto si dovranno indebitare a livello nazionale per raccoglierli; oppure gli emittenti comunitari dovranno necessariamente indebitarsi sul mercato. Lo possono fare, Commissione Europea compresa, secondo il dettato degli art. 112/122 del TFEU, nonostante per farlo occorrerà prima stabilire chi saranno i soggetti emittenti (la cosa richiederà probabilmente del tempo) e gli strumenti finanziari, che potrebbero essere quello dei perpetual bond ipotizzati da Mario Monti e, ovvero titoli di debito che pagano solo interessi senza scadenza. Oppure, in alternativa, titoli di debito con maturity prefissata. Oppure, altri strumenti che nei comunicati finali dell’Eurogruppo e nelle varie interviste delle ultime settimane ai leader europei, sono stati definitivi come “innovativi”. Sul chi poi dovrà ripagare questi strumenti obbligazionari considerati nel loro complesso nulla è ancora stato detto.

Le vere domande alle quali la prossima riunione del Consiglio Europeo dovrà trovare risposta sono: chi si indebita? Chi ripaga il debito? Con quali strumenti? Chi garantisce? Senza le risposte a queste domande, l’intero piano di intervento europeo rimarrà una mera dichiarazione d’intenti, di buona volontà. Ma, siamo sicuri che, alla fine, un compromesso sarà trovato anche su tutte queste questioni. Sui tempi, invece, nutriamo molti dubbi: sicuramente non saranno immediati, e sicuramente le misure non entreranno in vigore tutte insieme. Il che ci porta a riflettere amaramente sull’uscita asimmetrica dalla crisi. In altri termini, gli Stati più deboli dal punto di vista finanziario, o meno efficienti nella risposta alla crisi (sia dal punto di vista sanitario che economico), nelle more dell’effettivo intervento dei 4 pilastri europei, finiranno per pagare il prezzo più alto, in termini di crescita e di competitività relativa. Insomma, il ritardo temporale degli interventi non sarà neutrale. Una riflessione questa che nel nostro Paese dovrà essere fatta al più presto, al fine di trovare all’interno della nostra politica economica ma soprattutto della nostra coesione politica le risposte adeguate.

Quindi, sì all’accordo con l’Europa, come ha chiesto il vice presidente della Commissione Europea Frans Timmersmans, chiedendo all’Italia una risposta immediata, ma soprattutto sì ad una forte risposta nazionale, chiamiamola come vogliamo. Perché dovremo fare, cioè, da soli (con il solo scudo della Banca Centrale Europea, il suo Quantitative Easing), probabilmente per parecchi mesi ancora. Quello che noi abbiamo chiamato, “mettere subito il fieno in cascina”, con opportune emissioni raddoppiate del nostro debito da parte del Tesoro. Non possiamo permetterci più di perdere tempo e navigare a vista. Ne va questa volta, nel senso più pieno del termine, della nostra sovranità.