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R.BRUNETTA (Intervista a ‘La Stampa’): “Passi in avanti, ma è il virus il miglior ministro di sempre”

 

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La ministra della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, nell’intervista pubblicata ieri su questo giornale chiedeva di abbandonare il feticcio del cartellino da timbrare, abbracciando nuove forme di lavoro, come lo smart working. E Renato Brunetta, che nel 2009, da ministro, fu il padre del cartellino identificativo per i dipendenti pubblici, ci mette la firma: «E’ superato». Ma il merito di questo passo in avanti, dice, «è solo del coronavirus, che si è dimostrato il miglior ministro della Pubblica amministrazione di sempre, perché ha costretto a innovare».

Brunetta, il cartellino fu un errore?

«Un male necessario. A nessuno piaceva, ma era utile in regimi di scarso controllo. Questo non vuol dire che sia sufficiente: non misura la qualità o l’intensità del lavoro, ma solo la presenza».

Lo smart-working può sostituire il lavoro d’ufficio?

«Nel privato sta funzionando. Ci siamo tutti resi conto della fatica che comporta: non ci sono orari, ma obiettivi da raggiungere, e si può misurare la quantità e la qualità di quello che viene fatto».

Sembra quasi che lei apprezzi il lavoro della ministra Dadone.

«L’ho già detto a Dadone: io credo molto nella continuità delle istituzioni. Nel filo conduttore che deve unire gli sforzi della politica, di legislatura in legislatura. Finora, da parte sua, non ho visto nessuna continuità».

Dove si è rotta questa continuità?

«Nel non voler dare voce ai cittadini. La Pa non subisce le regole del mercato, dove chi offre un servizio scadente perde i suoi clienti. Il cittadino non può scegliere di non affidarsi a un ente pubblico, come il catasto o l’ospedale. Possono farlo solo i ricchi, affidandosi al privato, e questo aumenta le disuguaglianze sociali».

Questa è la teoria. Nella pratica, cosa manca?

«La chiave è l’amministrazione digitale, ma servono anche incentivi e sanzioni per i dipendenti. La prima riforma dovrebbe riguardare l’obbligo di reciprocità all’invio di una pec. Si dia il diritto al cittadino di avere una risposta esaustiva, in tempi certi, quando invia una pec. E che ci siano premi e sanzioni per il dipendente, in base alla sua capacità di risolvere i problemi».

Una Pa più vicina a un’azienda privata, in sostanza. Non crede ci sarebbero resistenze interne fortissime?

«Assolutamente. Sindacati e dirigenti hanno sempre combattuto ogni cambiamento, mantenendo un sistema di connivenze e giustificazioni circolari. Qui però manca soprattutto la volontà politica di voltare pagina».

Si obietta che la lentezza della macchina amministrativa sia dovuta proprio a responsabilità troppo forti in capo a chi firma un atto pubblico. E così si delega, producendo uno spezzatino per cui, se sono tutti responsabili, nessuno è il responsabile. Come se ne esce?

«L’obiezione è corretta, ma da qualche parte si deve iniziare. Il ponte Morandi è stato finito in tempi mai visti perché da una parte lo abbiamo pagato il doppio, ma dall’altra abbiamo cambiato le regole. Se invece tutto è funzionale al mantenimento dello status quo, restano le ingiustizie».