Socialize

R.BRUNETTA (Il mio commento su ‘Il Giornale’): “L’autogol su bond patriottici”

 

Rassegna Il Giornale

LEGGI IL MIO COMMENTO

 

Basta coi luoghi comuni antieuropei, è l’ora della coesione nazionale

Per favore, patti chiari e amicizia lunga, non prendiamoci in giro. Sosteneva qualcuno che una bugia ripetuta cento volte finisce con diventare una verità. Temiamo che sia così anche nel caso della recente emissione del BTP Italia, il bond “patriottico”, così come è stato definito dalla stampa, e dalla componente sovranista della politica italiana. Bond emesso dal Tesoro tra lunedì e giovedì scorso, per famiglie e investitori istituzionali. Gli organi di informazione nazionali e molti esponenti politici lo hanno definito “un successo storico, senza precedenti”, dal momento che l’asta ha raccolto 22,3 miliardi, molti di più rispetto a quello che il Governo stesso si attendeva. “E’ la prova che l’Italia non ha bisogno dei soldi dell’Europa, del MES, della BEI, del SURE, del Recovery Fund ma che può farcela benissimo da sola, se gli italiani danno generosamente il loro contributo”, è la narrativa che abbiamo sentito raccontare più volte. In effetti l’operazione di promozione e propaganda che ha preceduto questo evento è stata molto intensa ed efficace, visti i risultati. Collocare 14 miliardi di euro tra le famiglie italiane in una situazione di crisi finanziaria come questa (il resto l’hanno sottoscritto le banche) non è stata impresa da poco. E il Tesoro ci è riuscito.

Tutto bene, dunque? La vera domanda è la seguente: è stato un successo per chi? La risposta è semplice: per nessuno. Noi temiamo, infatti, che sia stato un autogol, sotto diversi punti di vista. Non è stato un successo innanzitutto per il Tesoro, dal momento che l’aver offerto un bond quinquennale al rendimento di un decennale, comporterà un esborso, in conto interessi, pari a ben 1,736 miliardi di euro, considerando il pagamento delle cedole per gli interessi all’1,4% annuo e il premio finale dell’8 per mille, per chi lo mantiene fino a scadenza. Ma l’aggravio è anche possibilmente maggiore per via dell’indicizzazione del titolo al tasso d’inflazione, anche se è impossibile fare i calcoli esatti di quanto costerà questa neutralizzazione, che però potrebbe essere salata, nel caso in cui il tasso d’inflazione aumenti fortemente nel corso dei prossimi 5 anni. Tanto per fare un paragone, nel caso il Governo italiano ricorresse nel prossimo futuro alla linea di credito prevista dal Mes per un analogo importo (22,3 miliardi), al tasso d’interesse chiesto dall’istituzione lussemburghese, pari a soltanto lo 0,1% marginale, il prestito costerebbe ai contribuenti italiani 111,5 milioni in interessi nei primi cinque anni, anche se a questa cifra andrebbe sommato l’importo per la up-front fee da pagare inizialmente e la commissione di gestione annuale. Il potenziale ricorso al MES potrebbe quindi costare ai contribuenti italiani soltanto un quindicesimo del costo di emissione del BTP Italia. Il Governo italiano ha però preferito, al momento, l’oro alla patria e ha scelto di emettere titoli di stato fatti su misura per gli italiani, i quali si sono illusi di aver fatto un affare nell’ottenere un rendimento quinquennale che non ha pari in questo momento sul mercato, mentre, invece, la realtà è che i maggiori rendimenti offerti dal Tesoro si risolveranno soltanto in maggiori tasse future, che le famiglie italiane stesse dovranno dolorosamente pagare di tasca loro. Una illusione monetaria che sarà svelata tra cinque anni, con il conto da pagare, magari a un Governo diverso che non saprà dove sbattere la testa per coprire la follia giallorossa.

A proposito di luoghi comuni divenuti verità, identifichiamone anche alcuni altri. Ad esempio, il no ad ogni condizionalità se viene dall’Europa: i sovranisti, di destra e di sinistra, dicono “no mai, no passaran”, tutti ad abbozzare e condividere. Ma è una stupidaggine perché, diciamo noi, c’è condizionalità e condizionalità. Una cosa è l’arrivo della Troika in casa, che di fatto commissaria un paese in crisi, come avvenuto con la Grecia. Altra cosa, ben più nobile, è definire insieme dei criteri, dei caratteri, delle linee guida, degli obiettivi di livello strategico europeo per, ad esempio, usare la linea speciale del MES per le spese sanitarie dirette e indirette legate alla crisi. Se l’Europa dicesse di utilizzare questi 37 miliardi in spese per progetti come la riqualificazione del personale, le infrastrutture sanitarie, il welfare sanitario dei nostri anziani, sarebbe una condizionalità giusta da condividere ed accettare. Lo stesso dicasi per il fondo SURE. Se questo fondo dovesse garantire all’Italia 20 miliardi per gli ammortizzatori sociali e se il Governo li mettesse subito nel fondo senza fine della cassa integrazione finirebbero in un mese. Altra cosa, invece, sarebbe se il Governo li impiegasse per riqualificare il mondo del lavoro, in ragione delle nuove tecnologie, dello smart working, della formazione professionale, dell’efficienza, della produttività. Lo stesso dicasi per i fondi della BEI, che anch’essi dovrebbero avere la loro condizionalità positiva e le loro regole, ma per garanzie in funzione di investimenti nel campo ambientale, biomedicale e sanitario. Quello che conta, dunque, è che le tanto famigerate condizionalità siano condivise e strategiche, e che non rappresentino un commissariamento per i paesi che useranno i fondi europei. Non sappiamo ancora in cosa consisterà il Recovery Fund, se si tratterà di grants o loans (trasferimenti a fondo perduto o prestiti). Anche in questo caso, però, sarebbe sbagliato usare queste risorse in maniera allegra e senza alcuna strategia. Noi pensiamo che questi fondi europei dovrebbero essere utilizzati per risarcire le imprese e le famiglie italiane, per ricostituire tanto capitale sociale e infrastrutturale perduto, magari con progetti di scala europea, così che tutta l’Europa possa ripartire in termini di produttività, efficienza, qualità della vita, rispetto dell’ambiente. Viva la condizionalità, dunque, se è strategica, condivisa e foriera di sviluppo, per riprodurre quello stesso “level playing field” che si aveva prima della crisi, perché il pericolo è che chi era più forte e aveva più risorse prima della crisi rischia di avere un ulteriore vantaggio competitivo per effetto della crisi stessa avendo potuto, come nel caso della Germania, usare il suo enorme surplus commerciale o il Temporary Framework contro gli altri paesi più deboli. Proprio per questo, l’Europa in questo momento per noi è una grande occasione, non solo per le risorse che può mettere a disposizione, ma anche perché può diventare un grande catalizzatore di riforme. E qui viene la domanda delle domande. Siamo noi in grado di condividere queste riforme? Questa è la sfida che investe maggioranza e opposizione oggi, per la ricostruzione del Paese. Siamo in grado di mettere in piedi un Piano Nazionale delle Riforme forte e condiviso a livello nazionale per essere credibili nei confronti degli italiani, dell’Europa e dei mercati, a fronte del disastro economico e sociale prodotto dal Corona virus? Siamo in grado di scrivere questo piano ed approvarlo in Parlamento nelle prossime settimane per essere interlocutori credibili nei confronti dell’Europa? E’ una grande occasione che non va sprecata, con inutili “aventini” o provocazioni, ma con un dialogo vero e onesto. Verità e onestà. Su questo misureremo la nostra capacità di uscire dalla crisi guardando al futuro.