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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Smettiamola con la retorica, servono 50 miliardi in 100 giorni per salvarci”

 

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E se la smettessimo con la retorica? All’Italia servono 50 miliardi in 100 giorni, per salvare la propria economia, il proprio sistema imprenditoriale, il proprio tessuto produttivo e distributivo. Altrimenti, in autunno, una impresa su tre rischierà di chiudere definitivamente e gli effetti negativi su produzione, lavoro e reddito potrebbero essere devastanti, molto più gravi di quanto già negativamente stimato. Ma dove andare a prendere tutti questi soldi? Come fare con i tempi assolutamente stretti ma altrettanto necessari? E come fare ad allocare e spendere in maniera mirata una quantità così rilevante di fondi, che a vario titolo dovranno essere assorbiti dalla nostra economia? L’appello di industriali e mondo bancario lanciato l’altro giorno all’Esecutivo parla chiaro in modo brutale e se qualcuno se ne è risentito vuol dire che non ha capito nulla della gravità della situazione e ha la coscienza sporca. Quanto stanziato dal Governo con gli ultimi tre decreti (Cura Italia, Liquidità, e Rilancio) per 80 miliardi non solo non è sufficiente per dare una risposta credibile a famiglie e imprese, ma ha la caratteristica di essere trasferito col contagocce, intermediato da una insopportabile burocrazia che fa letteralmente uscire fuori di testa famiglie e imprese. La politica di froant-load da noi invocata, consistente nello spendere subito tutto il maggior deficit necessario in quest’anno sabbatico, non c’è stata, a differenza di quanto successo in altri paesi come Germania, Stati Uniti e Francia. Un anno così non va sprecato. Un anno in cui tutto è possibile, dal più deficit, quasi senza limiti, agli aiuti di Stato, alla deregolamentazione in campo bancario. Un anno così non andava però sprecato, soprattutto attraverso la concreta immediatezza di fare entrare decine di miliardi nelle tasche degli italiani colpiti dalla pandemia, senza se e senza ma.

Le parole chiave dovevano essere trasparenza, effettività e tempestività. Dal Governo, invece, solo un peloso assistenzialismo (sempre in ritardo), solo fantamiliardi offerti in garanzia, ma la liquidità, quella vera, non è arrivata, stenta ad arrivare, ragion per cui, sulla base di numerose fonti statistiche di settore, degli 80 miliardi di discostamento votati dal Parlamento, solo una parte (20-25%) è stato concretamente speso. A più di cento giorni dell’inizio dello stato di emergenza. A questo riguardo, come controprova, è sufficiente controllare il calendario delle aste del Tesoro, da qui fino al prossimo agosto, per vedere che non ci sarà un incremento di funding sul mercato dei titoli di Stato. E, diciamolo apertamente, è anche impossibile riprogrammare in pochi giorni, al rialzo, un calendario di emissioni che si rivelerebbe tanto costoso e inopportuno a causa del BTP Italia di inizio Maggio sulla curva dei rendimenti, considerando anche che la domanda per tutti questi extra titoli da emettere sul mercato attualmente non sembra esserci.

In assenza di soluzioni nazionali, con le risorse provenienti dal Tesoro, l’unica alternativa, dunque, diventa quella di guardare all’Europa. Ma anche per questa opzione la strada non è facile. Gli unici fondi attualmente disponibili, come abbiamo sostenuto da subito (e non ci siamo sbagliati), sono quelli del Meccanismo Europeo di Stabilità per le spese sanitarie dirette e indirette (circa 37 miliardi), e quelli della Banca Europea degli Investimenti per le imprese (circa 20 miliardi). In tutto, più o meno 60 miliardi sotto forma di prestiti e garanzie a tassi estremamente convenienti che il Governo dovrebbe chiedere, nei modi e nelle forme dovuti, entro metà Giugno, in maniera da averli a disposizione nell’arco di qualche settimana. Si muova il Governo, dunque, mentre gli altri paesi non hanno fatto ancora richiesta. Se dovessero farla, i fondi attualmente disponibili presso il MES (circa 65 miliardi di euro) non sarebbero sufficienti per tutti e il Fondo dovrebbe indebitarsi sul mercato emettendo bond. Una operazione che impiegherebbe almeno tre mesi. Troppi.

Inoltre, i fondi del SURE, 20 miliardi per le politiche di salvaguardia del lavoro, dovrebbero essere erogati in autunno, e quelli del Next Generation Fund a partire addirittura dal 2021, con uno scadenziario lungo e articolato che deve prima passare per le negoziazioni tra i vari paesi europei della proposta Von der Leyen, poi la ratifica da parte dei parlamenti nazionali, affatto scontata, e ancora l’analisi dei programmi presentati dai governi e, infine, l’erogazione vera e propria che andrà avanti, secondo il piano indicato dalla Commissione, fino al 2026. Tanto per essere chiari, nel 2021 gli esborsi saranno pari soltanto al 5,9% dell’intero pacchetto, vale a dire per noi pochi miliardi di euro tra grants e loans. Per avere a disposizione le risorse del Next Generation Fund, dunque, bisognerà quindi aspettare anni. E saremo già morti.

Non abbiamo tempo: ci sono solo cento giorni per salvare l’Italia. Stando così le cose, cento giorni per decidere del nostro destino e futuro. Cento giorni in cui dobbiamo fare innanzitutto un esame di coscienza. Cosa vogliamo fare del nostro Paese, della nostra economia, della nostra impresa e della nostra società. Cosa vogliamo fare con l’Europa, che tipo di dialogo vogliamo avere. E, soprattutto, da parte di questo Governo non certamente votato alle ultime elezioni dal popolo sovrano, che tipo di volontà politica intende manifestare nei confronti dei fondi messi a disposizione dalla UE e che rapporto intende avere con l’opposizione in Parlamento. Perché non è più possibile andare avanti così. Non è possibile chiedere all’opposizione di votare gli scostamenti, come avvenuto nei mesi scorsi per 80 miliardi di euro, in cambio di nulla. Nessun dialogo, nessuna convergenza su decisioni strategiche. Nessuna condivisione sul futuro. Perché, una volta incassati i voti sugli scostamenti, la maggioranza di Governo è rimasta chiusa, impenetrabile, sorda nei confronti dell’opposizione.

Cento drammatici giorni perché le imprese non ce la fanno più. Se non entra subito liquidità, se non arrivano risorse a fondo perduto come risarcimenti per il lockdown, i grants e i loans europei e le risorse garantite dallo Stato entro questi fatidici cento giorni, l’autunno vedrà o la chiusura o la non riapertura di un terzo delle imprese italiane. Dicevamo all’inizio, facendo quattro conti sul retro di una busta, che servono 50 miliardi subito. Facile a dirsi, difficile a farsi. 50 miliardi veri in 100 giorni richiedono una rivoluzione copernicana, nel processo decisionale, nella burocrazia, nelle banche, nel modo di scrivere le leggi, nel rapporto fiduciario tra Governo e Paese, che vuol dire, la necessità di mettere in piedi una azione credibile ed efficace, che veda nel Parlamento il primo e fondamentale passaggio condiviso. Da subito, dunque, si discuta e si approvi il Piano Nazionale delle Riforme, che avrebbe dovuto essere allegato al Documento di Economia e Finanza di Aprile, cosa mai avvenuta in virtù della deroga consentita da Bruxelles, ma che ora diventa lo strumento chiave per dialogare con l’Europa, ma anche lo strumento istituzionale di dialogo e condivisione con tutta l’opposizione, con le parti sociali, con le Regioni, con i Comuni. Ragionare assieme su come uscire dalla crisi nei prossimi tre anni significa scrivere insieme il futuro dell’Italia attraverso le riforme. E questa è la chiave di volta di questo drammatico momento. E’ in grado questo Governo, al di là della retorica, di discutere e approvare in Parlamento un PNR condiviso con l’opposizione? Di farlo con piena apertura, trasparenza e onesta volontà politica? E’ in grado questo Governo di condividere nero su bianco alla Camera e al Senato, tutte le leggi di riforma, di cui il Paese ha bisogno, dalla giustizia alle infrastrutture, dal lavoro al fisco, alla scuola, al welfare, alla sanità? Perché da queste riforme passa la nostra salvezza. In questi cento giorni noi dovremo dialogare con l’Europa, in occasione dei due Consigli di capi di Stato e di governo di giugno e di luglio. Dovremo anticipare la Legge di Bilancio, entro l’estate, con relativi collegati (giustizia, appalti, fisco, sanità, burocrazia) e un nuovo discostamento, in termini di deficit, per contabilizzare le risorse che l’Europa ci mette a disposizione.

Cento giorni per fare i conti con la nostra storia, ma anche con la nostra volontà di rinascita. Se la crisi, come dice il presidente Mattarella, esige unità, responsabilità e coesione, abbiamo la possibilità di dimostrarlo subito. Domani sarebbe troppo tardi.