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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): “Toh, i sovranisti d’Italia cederebbero la sovranità alle banche”

 

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Il sovranismo monetario, attraverso la doppia irresponsabilità della banca centrale e dei governi, porta alla fine del mercato e della democrazia

La nuova frontiera del pensiero dell’intellighenzia sovranista è quella di credere che l’unica istituzione che possa risolvere la crisi finanziaria senza precedenti nella quale l’Italia (ma non solo, perché un ragionamento analogo è fatto anche in altri paesi del mondo, come Stati Uniti e Regno Unito) è piombata sia la Banca Centrale Europea o le altre banche centrali e che l’unico strumento, esaustivo, totalizzante, in grado di farlo, sia la politica monetaria ultraespansiva che esse, banche centrali, possono mettere in atto. Una tale “teoria sovranista” è tanto semplice, quanto pericolosa. Nel caso europeo, la politica di acquisto illimitato di titoli di Stato da parte di Francoforte, meglio nota con il termine di Quantitative Easing, sarebbe sufficiente, sempre a detta dei sovranisti, per garantire tutte quelle risorse finanziarie di cui le economie europee hanno bisogno per finanziare il loro piano di ricostruzione e di rilancio. Il perché è molto semplice. Se gli Stati hanno bisogno di denaro, il Tesoro emette una quantità illimitata di titoli di Stato, gli investitori (finché hanno risorse) acquisteranno i titoli sul mercato primario (alle aste), per poi rivenderli alla BCE sul mercato secondario (transazioni tra investitori). Se la banca centrale è disposta a fare una operazione del genere (in pratica una monetizzazione del debito indiretta), perché chiedere aiuti finanziari (loans) all’Unione Europea, attraverso strumenti più o meno condizionanti come il MES, la BEI, il SURE o il Recovery Plan? Meglio emettere bond finché si può, e decidere in piena autonomia come spenderne i proventi, senza condizionamento alcuno da parte dell’Europa. Questa l’idea. Questa è la teoria.

L’idea, dunque, della Banca Centrale (delle banche centrali) vista come panacea di tutti i mali, una variante dell’helicopter money in quantità illimitata, dei prestiti gratis: una idea del genere è senz’altro affascinante e allettante. E nella sua semplicità convincente. Almeno quanto lo era l’idea che tutti i soggetti fossero uguali, che la società non dovesse avere né classi sociali né padroni, come nella cultura e nella prassi dell’Unione Sovietica per larga parte del secolo scorso. Cultura e prassi alla quale centinaia di milioni di individui hanno creduto (e in parte ancora credono in alcune parti del mondo). Sappiamo poi bene come è finita. Dittature, uomini soli al comando, povertà, discriminazioni, cancellazione dei diritti civili e umani, cancellazione del mercato. L’accentramento decisionale nelle mani di soggetti ideologico-tecnocratici ha creato i peggiori totalitarismi e con essi la perdita della libertà. Quello che propongono i sovranisti oggi è di fatto una deriva analoga che ha in più il paradosso terminologico. Sovranismo come sinonimo di perdita di sovranità. La creazione di una tecnocrazia finanziaria, diretta da pochi banchieri centrali illuminati, alla quale cedere progressiva sovranità da parte degli Stati che fanno parte dell’eurozona, non rappresenta altro che questo paradosso distruttivo. Forse i propugnatori di questa pericolosa teoria non si accorgono che, delegando, nel caso dell’Europa, alla BCE tutto il potere decisionale alla politica monetaria, e invocando la politica monetaria come sola soluzione ai problemi economici, si crea di fatto una situazione dove una ristrettissima oligarchia di banchieri, più o meno legittimati dal potere politico, ha in mano, di fatto, la potestà di decidere tutto per tutti. Si arriva così alla situazione paradossale, come abbiamo già detto, dove i sovranisti, contrari alle ingerenze decisionali delle istituzioni europee, finiscono per delegare ad un’unica istituzione sovranazionale le decisioni sul destino dell’Europa e dei suoi componenti.

Il ragionamento finanziario che i teorici di questa posizione fanno è che il programma di quantitative easing viene fatto dal Consiglio Direttivo dalla BCE, ma gli acquisti veri e propri sono poi fatti pro quota – a seconda della partecipazione al capitale della BCE – dalle banche centrali nazionali (Banca d’Italia per il nostro Paese), con i proventi dei titoli che poi vengono, alla fine del processo, restituiti dalla stessa Banca d’Italia al Tesoro. Una partita di giro conveniente, non solo all’Italia, quindi, perché i soldi tornano alla fine a chi li ha emessi, anziché restare nel portafoglio di chi li ha acquistati.

Questa assurda idea di creare un monopolio decisionale con i relativi strumenti finanziari a disposizione per risolvere tutti i problemi ha degli effetti collaterali, evidentemente, pesantissimi. Il primo è quello di rendere inutili in un colpo solo le politiche economiche degli Stati e la politica stessa che, per definizione, si basa appunto sulla libertà di decidere tra più opzioni a disposizione, in funzione del consenso che si intende ricevere. Rende, inutile, poi, nel nostro caso, l’Unione Europea, dal momento che, se ogni Stato avesse a disposizione risorse illimitate per finanziare i progetti a debito, che senso avrebbe, a quel punto, avere un bilancio comune, delle politiche comuni, un unico debito comune e strumenti finanziari comuni? Nessuno. La stampa di moneta senza ostacoli da parte della BCE creerebbe un gigantesco azzardo morale per i governi portandoli ad indebitarsi senza limiti, in barba alle politiche di mantenimento dei bilanci in ordine, sulle quali è basata la stessa Unione. Senza contare il crollo del valore dell’euro che una tale politica creerebbe. Gli europei avrebbero in mano, con l’euro, solo carta straccia.

E qui un altro paradosso. Il modello che hanno in mente i sovranisti è quello di una banca centrale europea sottomessa ai singoli governi, che acquista quanto serve per coprire il deficit e debito decisi a livello nazionale. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Un modello pre-divorzio 1981 al quadrato. Modello che però richiedeva un’inflazione elevata e funzionava con economie chiuse, soprattutto in assenza di mercati finanziari perfettamente integrati come quelli attuali. Per traslare questo modello a livello europeo occorrerebbe che vi fosse un accordo di tutti: non è questa l’Europa che gli altri paesi hanno in mente, non è questo quanto scritto nei trattati UE. Che in una crisi profonda la banca centrale copra il deficit è una cosa, che lo debba fare sempre è tutt’altra.

La politica monetaria del Quantitative Easing è necessaria data l’eccezionalità del momento. Ma, proprio per questo motivo, come ha sostenuto più volte Mario Draghi, deve essere temporanea e, in ogni caso, non può essere considerata efficace in assenza di politiche di bilancio virtuose decisi dai governi nazionali. Verifiche empiriche hanno mostrato che le politiche monetarie ultra espansive sono servite in tempi di crisi, ma è bene metterci in testa che queste sono destinate a lasciare il terreno alle più tradizionali politiche monetarie. A quel punto, i governi che non avranno sfruttato l’occasione di condizioni monetarie favorevoli per risistemare i loro bilanci e le loro economie, pagheranno un conto salato, così come il loro sistema bancario, che sarà pieno di titoli di Stato svalutati e le loro economie reali saranno ridotte al collasso.

Il punto cruciale è la differenza tra politiche monetarie effettuate in contesti solo nazionali (es. USA, Regno Unito, Giappone) dove la banca centrale può comprare titoli e il Tesoro può finanziare il deficit fino a che l’economia non riparte, e il contesto dell’eurozona, dove le economie hanno andamenti diversi e i deficit possono anch’essi avere livelli diversi. La politica monetaria deve tenere conto della situazione “media” dell’area euro. Quando l’area euro crescerà normalmente, la politica monetaria (e gli acquisti di titoli) cambieranno, anche radicalmente. L’Italia, allora, non potrà più contare sugli acquisti di titoli da parte di Francoforte.

Solo un bilancio federale può essere strutturalmente redistributivo, ovvero in grado di aiutare chi ha livelli di reddito più bassi o è colpito da shock asimmetrici. Il Next Generation UE Fund nasce per aiutare soprattutto paesi come l’Italia, attraverso l’emissione di bond comunitari a carico di tutti i contribuenti europei. Certo l’aiuto offerto è condizionato, ma con condizioni di buon senso: ‘ti pago gli investimenti che possono farti crescere’. A patto, lo ricordiamo, che il Paese in questione abbia presentato un piano di riforme che vuole finanziare. E non è ancora il caso dell’Italia.

Inoltre, un bilancio federale (anche quello della UE) riflette direttamente le scelte politiche del Consiglio dei governi europei e del Parlamento di Strasburgo. Nel caso della BCE, la legittimazione politica c’è (per i meccanismi di nomina, per l’aderenza ai trattati, per la rendicontazione al Parlamento UE, ecc.) ma non vi è un coinvolgimento politico diretto nelle scelte.

La teoria della sufficienza della politica monetaria nella risoluzione delle crisi finanziarie è stata proposta sia dai sovranisti di destra (Alberto Bagnai della Lega è il principale propugnatore), sia dai sovranisti di sinistra, dal Movimento Cinque Stelle alla componente comunista della maggioranza di Governo. Questo, che potrebbe sembrare un grande paradosso, è in realtà l’avveramento di quanto sosteneva il filosofo ed economista premio Nobel Friederich August Von Hayek, quando affermava che tra destra e sinistra non vi è in realtà alcuna differenza, in un “continuum” generato da una esacerbazione negativa del socialismo reale. Cambiano solo i nomi, la sostanza è la stessa. Come nel caso del sovranismo. Non esiste differenza tra il sovranismo proposto dalla Lega o dal Movimento Cinque Stelle. Tutti sostengono le stesse tesi, pericolose per la società italiana, perché portano a credere che un super policy-maker, come la banca centrale, possa consentire tutto subendo l’arbitrio dei governi. In definitiva è la fine del libero mercato, ma anche la fine della democrazia così come l’abbiamo conosciuta, mercato e democrazia che sono i due pilastri sui quali è fondata l’Europa moderna.