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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’) – TORNANO I FANTASMI DEL DIRIGISMO – “Che ridere l’economia giallorossa: Savona rilancia il modello Mao”

 

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Avevamo già avuto modo di esprimere tutta la nostra preoccupazione sul rischio di derive striscianti di sovietizzazione della nostra economia, ad opera di questo Governo giallorosso e della sua maggioranza, quando, tra il decreto Cura Italia e il decreto Liquidità, erano emerse linee teoriche, ma non solo, inneggianti alla partecipazione dello Stato al capitale di rischio delle imprese, in seguito alla crisi delle stesse, per effetto del lockdown da pandemia.

In altri termini, le imprese in crisi venivano aiutate dallo Stato non a titolo di risarcimento, delle perdite subite a seguito dell’obbligo di chiusura imposto loro dal Governo per ragioni di saluta pubblica, ma si utilizzava questa congiuntura eccezionale per “aiutare” le imprese con una partecipazione al capitale di rischio delle stesse. In altri termini, una espropriazione parziale giustificata dallo stato di necessità. In altri termini, lo Stato entra nel capitale e partecipa alla gestione delle imprese, con veri e propri azionisti. Una cosa folle e aberrante, una sorta di sovietizzazione postuma del sistema Italia e del sistema produttivo italiano. Della cosa, poi, non si era più parlato, in ragione delle reazioni suscitate, o meglio, il principio di partecipazione al capitale lo si era sopito nei processi legislativi, annacquato e negato. Come tutte le cattive idee, era però, evidentemente, un fuoco che covava sotto la cenere, dal momento che, nei giorni scorsi, il professor Savona, nel corso della sua relazione annuale come presidente della Consob, ha avanzato la proposta di prevedere forme di garanzie statali anche per il capitale di rischio delle imprese e non solo per i loro debiti.

Proposta questa, per fortuna, fortemente e giustamente stigmatizzata e criticata dal professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera che, ribattendo in punto di teoria economica, sosteneva: “In altre parole lo Stato dovrebbe garantire i guadagni degli investitori privati e farsi carico delle loro perdite. Una ricetta sicura per azzerare l’incentivo delle imprese a compiere scelte di investimento oculate. Un passo in più verso la decrescita felice”. Non si poteva dire meglio. Tuttavia, la polemica proseguiva sui social network, con il professor Savona che rispondeva al professor Giavazzi: “La mia proposta parte dalla concessione della garanzia statale sui debiti, già decisa, che squilibrerebbe la leva finanziaria delle imprese creando problemi futuri alle stesse. La garanzia sui debiti causerebbe comunque in prospettiva una perdita dello Stato, se non di più, perché volta a fronteggiare crisi di liquidità e meno responsabilizzante di una garanzia sul capitale di rischio. Ho inoltre sottolineato che questa garanzia sosterrebbe le iniziative produttive rispetto a quella sul debito, proponendo di cominciare dalle imprese più piccole esportatrici, quale componente solida e dinamica del nostro sviluppo”, scriveva il presidente della Consob. Una posizione, questa, estremamente interessante, talmente tanto che, ad oggi, nessun Paese pare l’abbia proposta e adottata. Ma questo ovviamente non è un problema.

Ma, a questo punto, sarebbe bene tornare un po’ ai fondamentali della teoria economica, così come ci vengono in questo momento. Non è la prima volta che il professor Savona avanza delle proposte eccentriche, fuori dalla teoria economica “mainstream”, come usano dire i dotti della triste scienza. E questo ce lo rende certamente simpatico e apprezzato. Già in precedenza Savona si era espresso a favore del sovranismo monetario sponsorizzato a destra e a sinistra del panorama politico-parlamentare italiano e, sempre il professor Savona, aveva caldeggiato la proposta di aumentare la quota di debito pubblico detenuta dalle famiglie italiane. Cosa che, quest’ultima, non appare assolutamente disdicevole se attuata correttamente e per finalità strategiche, finanziamenti delle imprese e la costruzione di pilastri di welfare pensionistico. Non certamente come oro alla patria.

Il rischio, però, è che la genialità del professor Savona, venga letta dai suoi meno geniali interpreti come una deriva autarchica e dirigista dell’economia, che torni a proporre lo Stato come il motore dello sviluppo economico. Nuovamente dunque lo Stato imprenditore, socio più o meno occulto nel capitale delle imprese e “deus ex machina” dei destini economici della nazione. Una interpretazione pericolosa del Savona pensiero che, se fosse ascoltata, porterebbe alla distruzione del libero mercato e del principio capitalistico, piaccia o meno, secondo il quale la sana competizione tra imprese ed idee, e non lo Stato, sono il vero motore del progresso economico.

In questa chiave, quella del professor Savona sulle garanzie dello Stato sul capitale delle imprese e non solo sui debiti appare, diciamo così, più una provocazione che una proposta, perché l’idea stessa di un “capitale di rischio garantito” suona come una palese contraddizione in termini. Purtroppo è esattamente quanto accadeva nell’Unione Sovietica e nei Paesi dell’Est (per non parlare di realtà come Cina e Cuba) durante il Novecento, dove lo Stato era l’unico imprenditore (o quasi), il libero mercato era cancellato, e il dirigismo economico veniva stabilito dai burocrati statali che avevano il monopolio delle decisioni.

Per fortuna, nel frattempo, rispetto al secolo breve, questi stessi Paesi qualche passo in avanti l’hanno fatto. L’Italia, invece, con queste proposte, di passi ne farebbe tanti, all’indietro. Pensavamo di non dover più sentire certe idee, bocciate senza appello dalla storia. Questa crisi, purtroppo, sta fornendo tanti pretesti per rispolverarle.

È del resto innegabile che il Governo, mentre tratta con l’Europa per ricevere un ragionevole bilanciamento tra prestiti a fondo perduto, nel rapporto con le imprese italiane non si è preoccupato di essere altrettanto ragionevole, con uno sbilanciamento macroscopico tra le due forme di aiuto, i cui effetti nefasti si faranno sentire negli anni prossimi, anche nel bilancio dello Stato.

Più che di garanzie pubbliche sul capitale proprio, sarà necessario mettere a punto sistemi incisivi, semplici e trasparenti di incentivazione e contributo alla ricapitalizzazione delle imprese, destinando a tal fine una parte di quel fondo perduto che lo Stato conta di ricevere dall’Europa. Qualcosa di molto diverso dal debole, complicato e a tratti incomprensibile meccanismo che questo Governo ha inserito nel decreto Rilancio.

La proposta del professor Savona, lo diciamo apertamente, in mano a questa maggioranza giallorossa, rischia di essere estremamente pericolosa in quanto, se attuata, creerebbe un modello economico dove lo Stato, lo ripetiamo, diventa socio occulto di tutte le imprese del sistema. Creerebbe, inoltre, un enorme incentivo all’azzardo morale per le imprese stesse, in quanto il rischio di realizzare progetti di investimento sarebbe azzerato e, quindi, si creerebbe una spinta ad intraprendere progetti di ogni tipo, soprattutto quelli in perdita, che porterebbe, alla fine, alla distruzione del capitale, tanto a livello di singola impresa, quanto a livello sistemico. Una sorta di selezione all’inverso che si aggiunge all’azzardo morale.

Una conclusione alla quale arrivano i modelli di asimmetrie informative, appunto, ben studiati dagli economisti Jean-Jacques Laffont e Jean Tirole. Esattamente quello che sostiene anche il professor Giavazzi, quando afferma che la proposta di Savona porterebbe alla decrescita, che poi è quella dello stock di capitale prima, del Pil poi. Ci permettiamo di ricordare al professor Savona quanto affermava Friederich August von Hayek nella sua teoria sui cicli economici che gli valse il Premio Nobel: i “malinvestimenti”, ovvero gli investimenti in perdita che vengono intrapresi dalle imprese solo grazie alle condizioni alterate del credito create dai policy-maker, creano bolle economiche e finanziarie che, alla fine, finiscono per scoppiare, lasciando l’economia nella recessione. Una follia da evitare in tutti i modi.

Solo il libero mercato e la sana competizione portano allo sviluppo di una economia, non la credenza che pochi burocrati illuminati possano, dall’alto, pianificare con successo la vita delle imprese. E se poi i burocrati sono quelli di casa nostra, affiancati da improponibili policy-makers, si capisce la nostra preoccupazione.