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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Il ‘momento Merkel‘, una prova per l’Ue e l’Italia”

 

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Per capire qual è la lista delle riforme che l’Italia dovrà presentare obbligatoriamente alla Commissione Europea entro la fine dell’anno per ottenere i fondi europei, non bisogna tanto leggere le conclusioni degli Stati Generali di Villa Pamphili o le decine di pagine del piano Colao. È sufficiente, invece, scorrere la lista delle “Raccomandazioni Paese” inviate da Bruxelles al Governo italiano lo scorso maggio. Sono quelle, infatti, che riassumono le riforme strutturali che l’Europa ha sempre chiesto all’Italia e che l’Italia, per un motivo o per l’altro, non ha mai saputo realizzare. Adesso, complice gli sviluppi della crisi economica e finanziaria e il “momento Hamilton” (mutualizzazione futura del debito) che si sta vivendo, fortunatamente, in Europa, quelle riforme diventeranno, per l’Italia, non solo obbligatorie, ma la salvezza rispetto al declino.

Ha stabilito, infatti, la stessa Commissione Europea, che per aver accesso alle risorse del Next Generation UE Fund, il governo Italiano dovrà obbligatoriamente presentare la lista delle riforme che intende fare, riforme che saranno valutate secondo criteri stabiliti da un apposito allegato al Recovery Plan. In quell’allegato si specifica che per veder approvato il piano, il Paese che presenta le riforme dovrà ottenere il punteggio massimo (nell’allegato identificato dalla lettera “A”), relativamente alla congruenza del piano delle riforme con le “Raccomandazioni Paese” formulate dalla Commissione.

Ma quali sono, quindi, le riforme strutturali che l’Italia dovrà realizzare necessariamente per ottenere i fondi europei (grants e loans)? Nelle ultime Raccomandazioni specifiche per Paese, la Commissione ha precisato, innanzitutto, che la deviazione dal Patto di Stabilità è “temporanea”. Quindi, si prevede, per le finanze pubbliche del nostro Paese, il rientro nell’obiettivo di medio termine, ovvero un percorso di riduzione del deficit pubblico verso il pareggio di bilancio. Alla fine di quest’anno “sabbatico” (in cui tutto è possibile o quasi in termini di deficit, debito aiuti di Stato…), in sintesi, l’Italia dovrà mettere per iscritto una riduzione certa del deficit e del debito, per rimetterli sul sentiero della sostenibilità.

Ancora, si invita l’Italia a meglio definire la divisione delle competenze tra potere centrale e regioni, e attuare un sistema di protezione sociale “per i lavoratori atipici”, attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione, anche mediante modalità di lavoro flessibili e sostegno attivo all’occupazione e migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione. Una lista impegnativa e, soprattutto, non negoziabile.

Per far questo, Il Governo italiano dovrebbe presentare e approvare immediatamente in Parlamento un Piano Nazionale delle Riforme auspicabilmente condiviso, scritto sulla base delle “Raccomandazioni Paese” della Commissione, anticipare la Legge di Bilancio a prima della fine dell’estate e poi dialogare con l’Europa con tutti questi strumenti validati dal Parlamento entro il prossimo settembre.

Incredibilmente ha, invece, il Governo Conte, deciso (ma sarà davvero così?) di inviare subito un pessimo segnale all’Unione, proponendo la riduzione delle aliquote IVA, andando così contro ad un’altra riforma strutturale da sempre invocata dalla UE, quella di ridurre la tassazione diretta in cambio dell’aumento di quella indiretta, IVA compresa. Uno switch fiscale suggerito anche dall’OCSE e che oggi il Governo dimostra di non voler seguire, facendo tutto l’opposto. Vogliamo essere chiari su questo punto: avanti così e l’Italia non vedrà neanche un euro delle risorse europee.

Tra pochi giorni incomincerà il semestre di presidenza tedesca dell’Unione Europea. Leader di questo semestre di fondamentale importanza per il futuro dell’Unione sarà Angela Merkel, che farà di tutto per utilizzarlo come definitiva consacrazione del suo ruolo di statista che ha riformato profondamente le regole di funzionamento dell’Unione, secondo i criteri della crescita, della solidarietà finanziaria e della mutualizzazione delle risorse. Questo obiettivo, impensabile fino a pochi mesi fa, può essere raggiunto soltanto attraverso la “reflazione” dell’economia tedesca e di tutti i Paesi del Nord, che con l’euro hanno accumulato centinaia di miliardi di euro di surplus commerciale, centinaia di miliardi che fino ad oggi non sono stati impiegati per lo sviluppo e la crescita dell’Unione.

Adesso, la cancelliera lo sa bene, è arrivato il momento di farlo. Se il piano riuscirà, l’Unione avrà finalmente un sistema di redistribuzione tra i paesi più ricchi, che con l’euro sono diventati ancor più ricchi, e tra i paesi più poveri, che con l’euro sono diventati ancor più poveri e dipendenti. Altrimenti, sarà la fine dell’Unione.

Affinché il piano riesca, è tuttavia necessario il contributo di tutti gli Stati membri. Sia di quelli “frugali” (egoisti, miopi e opportunisti), sia dei paesi “cicala” (anch’essi egoisti, miopi e opportunisti), per usare due espressioni ormai entrate nel gergo collettivo.

Angela Merkel tenterà di bloccare le richieste dei primi, convincendoli ad accettare i trasferimenti verso i paesi più in difficoltà, dimostrando che è anche nel loro interesse avere un Sud d’Europa prospero, stabile e dalle finanze sostenibili, e le resistenze dei secondi nel realizzare le riforme, inducendoli a fare quello che finora non hanno fatto, e farlo nel loro interesse. Questo è il “momento Merkel” e su questo passaggio l’Italia è e sarà decisiva. Per il suo bene. Per il bene dell’Europa.