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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Conte, scarica i sovranisti. Se sei furbo, prendi il MES”

 

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A una settimana dal Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo del prossimo 17 luglio, che si terrà sotto la guida di Angela Merkel, forse vale la pena fare il punto della situazione politica, economica e finanziaria del difficile processo di convergenza europeo sul piano di “Recovery” che interessa tutto il Vecchio Continente. Lo ricordiamo a noi stessi.

Faticosamente, ma ineluttabilmente, si sono messi in moto i 4 pilastri finanziari (Next Generation UE Fund, MES, SURE e BEI). Faticosamente ma inesorabilmente, come nello stile tradizionale della UE. Tutto ciò è stato chiamato “momento Hamilton” o “momento Merkel”. Sta di fatto che, con questi 4 pilastri, la UE sta cambiando pelle e sta evolvendo verso una Unione più responsabile, matura, capace di gestire le crisi, anche straordinarie, in un’ottica di redistribuzione e solidarietà. Non tutto è ancora compiuto, perché il dibattito è aperto tra le varie cancellerie. L’asse franco-tedesco sembra reggere e aspetta il 18 luglio per chiudere con un accordo. Su questo sembra che ci sia una forte condivisione di fatto, al di là dei tatticismi di maniera perché nessuno perda la faccia. Così come da settembre, con la presentazione dei singoli Recovery Plan da parte dei singoli Paesi, inizieranno i veri giochi, in parallelo alla definizione, già da questo luglio, del Quadro Pluriennale del bilancio comunitario, che dovrà individuare le risorse proprie necessarie per finanziare, soprattutto, il Next Generation UE Fund. Risorse proprie (strutturali o una tantum) che, ad oggi, non sono ancora state individuate con certezza.

In Italia, le argomentazioni contrarie all’utilizzo del MES sembrano ormai tutte archiviate, in ragione dell’opera di approfondimento che è stata fatta dal punto di vista giuridico e finanziario: l’obiezione dello “stigma dei mercati” in caso di utilizzo; l’obiezione sulla separazione tra debito senior e junior, con conseguente aumento dei rendimenti sul debito non senior (quello del MES); la destabilizzazione dei mercati dei BTP; il rischio dell’arrivo della Troika ex post, in virtù di quanto sarebbe stabilito dall’articolo 136.3 e dai relativi regolamenti europei sulla condizionalità ex post posta sulle linee di credito speciali del MES.

Bene su tutti questi punti, e altri ancora, sono state finalmente elaborate delle confutazioni decisive. È stato stabilito che la condizionalità “light” del MES è compatibile con l’attuale trattato istitutivo, senza bisogno quindi di modificarlo, come sostiene la componente sovranista di casa nostra.

Secondo il parere del Prof. Stefano Ceccanti, la tesi dell’assenza di condizionalità del MES, tranne quella sanitaria, ha un fondamento giuridico e non solo politico. Secondo il prof. Ceccanti, l’art. 136.3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, viene spesso invocato sia dai sostenitori di posizioni più rigide, sia da coloro che ne sono intimoriti. Pur tuttavia, si tratta comunque di una norma generica, suscettibile di essere sviluppata diversamente, a fisarmonica, a seconda delle norme ulteriori con cui essa venga fatalmente concretizzata. Il vincolo che sottende le linee di credito rafforzate del “MES light” è, infatti, sempre secondo il prof. Ceccanti, solo quello di raggiungere un’intesa tra il Paese che richiede e la Commissione europea su affidamento del Consiglio dei Governatori del Mes, in quanto i vincoli appaiono volutamente scritti in modo fluido (conformità alle “misure di coordinamento delle politiche economiche previste dal TFUE” e contenuto del protocollo conforme a “gravità delle debolezze da affrontare” e allo “strumento finanziario scelto”). Trattandosi di accordo bilaterale, esso non appare poi suscettibile di revisione unilaterale. Quindi, è la conclusione del prof. Ceccanti, non è che la politica abbia derogato ai Trattati, sono i Trattati che già consentono questa flessibilità politica.

L’idea, poi, dell’autonomia finanziaria basata esclusivamente sull’emissione di BTP da riservare alle famiglie italiane (oro alla patria) è fallita alla prova dei mercati, dal momento che l’emissione del “BTP futura” si sta rivelando un semi-flop, per il fatto che il mercato dei BTP retail vale pochi miliardi di euro e che il Tesoro sarà costretto presto a ritornare a chiedere risorse ai grandi investitori internazionali, che a quel punto avranno ancora più potere contrattuale di prima.

Inoltre, il caso di Cipro, che dopo aver dichiarato di voler accedere al MES, ha visto una forte riduzione dei suoi rendimenti sovrani, scesi al di sotto dei nostri, dimostra, ancora una volta alla prova del mercato, che la teoria della dicotomia esistente tra debito junior e senior è falsa: i mercati premiano chi chiede le risorse del MES e si impegna a usarle per finanziare le spese sanitarie.

A Bruxelles sembrano, invece, maturi i percorsi per i fondi SURE e BEI, in attesa di capire bene tecnicamente e politicamente l’entità e le regole di funzionamento del Next Generation, sia come ammontare complessivo (750 miliardi di euro), che la sua divisione tra grants e loans, con le relative tecnicalità. Così come sembra essersi avviata a risoluzione la questione sul ruolo che la BCE deve avere in questa crisi, dopo la sentenza di Karlsrhue, in seguito alla risposta della BCE al parlamento tedesco, e dopo la presa di posizione di quest’ultimo di ieri. Ne è emerso, da questo lungo dibattito, che la BCE ha svolto correttamente il proprio compito e che la “capital key rule” non è stata modificata opportunisticamente rispetto ai vari Stati. Tuttavia, la BCE ha anche ribadito l’eccezionalità e la natura temporanea del programma d’acquisto denominato PEPP, che durerà fino a metà 2021, se non ci saranno altre circostanze eccezionali, e che da metà 2021 i bond detenuti saranno progressivamente venduti. Ne deriva un monito per quei Paesi che, in cuor loro, avevano ipotizzato l’uso del PEPP e del QE all’infinito. Non sarà così. Altro monito ai “sovranisti monetaristi” di casa nostra.

Il quadro giuridico, economico, finanziario e politico si sta, quindi, stabilizzando in Europa, mentre altrettanto non sta avvenendo all’interno del nostro Paese, dove prevale l’ideologia sul senso di responsabilità. Non ha neppur inciso, sul necessario senso di responsabilità, la diffusione dei dati macro di ieri, in cui si vede tutta la drammaticità della crisi economica per il nostro Paese. Una crisi che nasce simmetrica, dalla quale si uscirà in modo asimmetrico, in ragione delle debolezze e delle virtù dei singoli Paesi e dell’efficacia-inefficacia delle strategie attuate dai loro governi. L’Italia, non solo è ultima in Europa, quanto a capacità di ripresa. Siamo i primi quanto a entità di caduta del Pil (l’ultima previsione della Commissione Europea è del -11,2%, contro una media dell’Eurozona del -8,3%), i primi per livelli di deficit e debito, il che vuol dire che la pandemia ha impattato in un corpo economico, politico e sociale debole e fragile, con un Governo indeciso a tutto, formato da forze politiche troppo distanti tra loro per poter incidere con provvedimenti forti, selettivi e con opportuna tempistica. Da noi si è fatto troppo tardi, troppo poco e in maniera confusa. Troppo assistenzialismo, poche scelte, poche priorità.

Questo da parte del Governo, mentre da parte delle opposizioni sovraniste e di parte della maggioranza altrettanto estremista si continua ad insistere, per ragioni ideologiche e di posizionamento politico, tentando di fare il “cherry picking” dei fondi europei, evocando continuamente il “complotto MES”: irresponsabili e ridicoli. Rischiamo, con questo gioco, di perdere il “prestito ponte” che verrà erogato in autunno per quei Paesi che avranno rispettato regole e scadenze.

Con una crisi montante, che vedrà proprio in autunno esplicitarsi tassi di disoccupazione molto elevati (12,4% secondo le ultime previsioni OCSE), caduta degli investimenti a doppia cifra, un inabissarsi del reddito senza precedenti, deficit elevato e debito al 170% del Pil, dover assistere a inutili battaglie anti-europee di retroguardia, come quella che ci sarà, molto probabilmente, la settimana prossima in Parlamento, fa davvero piangere il cuore.

E a nulla serve, presidente Conte, buttare la palla in tribuna, dicendo che di Mes si parlerà solo dopo l’accordo sul Recovery Fund. Tutto si tiene in Europa, presidente Conte, e non è proprio il momento di fare i furbi, rischiando di far pagare caro agli italiani questo tipo di atteggiamento che in passato non ha mai premiato.