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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Caro Conte, è finito il tempo dei rinvii. E’ l’ora delle scelte”

 

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Un accordo fondamentale per il futuro dell’Europa e dell’Italia. Ma un accordo, al di là dei facili entusiasmi iniziali, molto complesso, dettagliato, che impone il rispetto di rigide regole e di un altrettanto rigido calendario di scadenze. Insomma, tante luci apparenti, ma molto probabilmente anche tanti diavoli nei dettagli.

È questo il significato più profondo del compromesso raggiunto la notte scorsa dai capi di Stato e di governo, riuniti nel più drammatico Consiglio Europeo della storia europea, con l’intento di trovare una soluzione alla devastante crisi economico e finanziaria che ha colpito il Vecchio Continente per effetto della pandemia. Alla fine, grazie alla determinazione del presidente del Consiglio Charles Michel e della cancelliera tedesca Angela Merkel, e nonostante molti leader europei ci abbiano seriamente messo del loro per far fallire il summit, l’accordo si è trovato. Una decisione che consentirà ai paesi della UE di uscire in maniera auspicabilmente simmetrica e sincronica dalla crisi, e di continuare a giocare tutti nello stesso campo di gioco, evitando ingiustificabili fughe in avanti da parte dei paesi più ricchi e con le finanze pubbliche più in ordine.

Il Next Generation UE Fund, il veicolo finanziario principale che dovrà consentire la ripresa del continente europeo, è stato finalmente approvato e si andrà ad aggiungere agli altri tre pilastri (MES, BEI e SURE) già approvati in precedenza. Il fondo affiancherà, dapprima, e poi, di fatto, sostituirà il programma straordinario di acquisto di titoli di Stato della BCE (PEPP), che scadrà il prossimo giugno 2021, salvo rinnovo.

La dotazione sarà quella proposta inizialmente (750 miliardi di euro), ma la suddivisione tra grants e loans è stata modificata: i trasferimenti a fondo perduto sono stati ridotti da 500 miliardi a 390 miliardi, e i prestiti aumentati a 360 miliardi, per venire incontro alle richieste dei paesi cosiddetti ‘frugali’. Per raccogliere queste risorse la Commissione potrà indebitarsi sui mercati finanziari attraverso l’emissione di Eurobond fino al 2026. I pagamenti saranno effettuati fino al 2058. Inoltre, l’ammontare dei limiti alle risorse proprie dell’Unione sarà temporaneamente aumentato dello 0,6% per il solo scopo di coprire tutte le passività dell’Unione risultanti dall’indebitamento, in attesa, si legge nel comunicato finale, che la stessa Commissione provveda alla riforma del sistema delle “risorse proprie”, introducendone di nuove, a partire da quella sulla plastica che sarà introdotta dall’inizio del 2021 e di altre come la tassa sul carbone, la digital tax e una possibile tassa sulle transazioni finanziarie, che potrebbero essere introdotte successivamente.

L’Italia sarà il paese che più beneficerà del fondo, grazie ad una dotazione prevista di 209 miliardi di euro. Di questi, 81 miliardi saranno grants, quasi 4 miliardi in meno rispetto alla proposta iniziale, mentre è stata aumentata la componente di loans a 127 miliardi. Le risorse provenienti dagli Eurobond arriveranno nel secondo trimestre del 2021, ma saranno utilizzabili anche retroattivamente per le spese coperte a partire da febbraio 2020. Con queste cifre, l’Italia passerà, molto probabilmente, da contribuente a percettore netto all’interno dell’Unione Europea, ovvero prenderà più risorse rispetto a quelle che sarà tenuta a dare.

L’accordo è stato trovato anche sul tema che più ha creato frizioni all’interno del Consiglio, soprattutto tra il presidente Giuseppe Conte e il premier olandese Mark Rutte, quello della governance del fondo, ovvero dei controlli su come i finanziamenti saranno spesi dai singoli Stati. Il compromesso trovato prevede che quando un governo presenterà il suo Recovery Plan, il prossimo autunno, la Commissione dovrà decidere entro due mesi se promuoverlo (tenendo conto di una serie di elementi, come la digitalizzazione e le politiche ambientali ma non solo), sulla base della congruenza dello stesso con le “Raccomandazioni Paese”, e poi sottoporlo a una votazione da parte dei ministri europei, a maggioranza qualificata, entro quattro settimane dalla proposta. Una ottima soluzione che elimina il pericolo di veti incrociati, e il rischio di maggioranze opportunistiche che si sarebbero create se fosse passata la proposta del premier olandese Rutte.

Il programma di risanamento non sarà un “pasto gratis”. Come ricordato dalla presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, è stato approvato un “pacchetto senza precedenti: il Recovery and Resilience Facility è stabilito in una maniera molto chiara: è volontario, ma chi vi accede deve allinearsi con il semestre europeo e le raccomandazioni ai Paesi. Finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti”.

Volontarietà e condizionalità. Queste, quindi, le due caratteristiche del fondo europeo per la ricostruzione. Una opportunità senza precedenti per l’Italia di ottenere risorse (tante) dall’Europa, con la condizionalità positiva di doverle utilizzare per realizzare tutte quelle riforme strutturali ritenute vantaggiose, necessarie per ricucire il gap con gli altri paesi europei, che quelle riforme hanno fatto ormai da anni.

Le ricordiamo: riforma del mercato del lavoro, del sistema pensionistico, liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma della burocrazia e della pubblica amministrazione, riforma della giustizia, investimenti nella green economy e nella digital economy. Ecco. Per ricevere i fondi europei il nostro Paese, finalmente diciamo noi, sarà costretto ad imboccare, senza se e senza ma, la strada della modernizzazione. Rimandare non si può più.

L’Europa quindi ha fatto la sua parte. Coraggiosa, niente affatto scontata. Ora toccherà all’Italia fare la propria. Ovvero dovrà immediatamente scrivere e presentare il Recovery Plan, entro il prossimo ottobre, Recovery Plan su cui il Governo è ancora in alto mare. E dovrà farlo avendo bene in mente le priorità strategiche per il nostro Paese e declinandole in funzione delle “Raccomandazioni Paese” inviate dalla Commissione Europea lo scorso maggio. Dovrà, inoltre, dire subito e chiaramente quali altre risorse europee utilizzare, tra MES, BEI e SURE, evitando un pericoloso ‘cherry picking’, che farebbe perdere all’Italia reputazione agli occhi dei partner europei.

Da questo punto di vista, spiace dover leggere subito dopo il raggiungimento dell’accordo che il presidente Conte ha rilasciato dichiarazioni ambigue sulla necessità di attingere alle risorse del MES. L’ambiguità, in questo momento, è la prima cosa da evitare. Come pensa, infatti, il premier Conte, di arrivare al 2021, primo anno di erogazione dei fondi del Next Generation UE Fund, senza ottenere nessuna risorsa europea già disponibile come quella del MES, dal momento che non sembrano esistere delle risorse “bridge” europee anticipate nel 2020?

Ancora una volta, l’impressione è che il premier voglia giocare da solo, ostaggio della sua maggioranza che lo condiziona negativamente sulle grandi questioni europee. Avevamo consigliato al premier di andare a Bruxelles con spirito europeista e considerare la cancelliera Angela Merkel come la principale alleata, anziché come la nemica da battere. I fatti ci hanno dato ragione. Non vorremmo che ora, passato il Consiglio, la componente antieuropeista della sua maggioranza (facendo sponda, magari, coi sovranisti di destra) prendesse di nuovo il sopravvento.

Il 2020, lo ripetiamo, è un anno sabbatico. Dal 2021, però, tornerà in vigore il Patto di Stabilità e Crescita, con i relativi trattati fiscali (Two Pack, Six Pack, Fiscal Compact), cesserà il Temporary Framework della Commissione Europea sugli aiuti di Stato e cesserà, soprattutto, il quantitative easing della BCE. Per questo motivo non c’è tempo da perdere. Una volta ottenute le risorse, il Governo deve subito impegnarsi per programmare come spenderle e presentarsi credibilmente in Europa. Altrimenti, per l’Italia sarebbe un disastro economico e politico, nel pieno della crisi sociale che molto probabilmente colpirà il nostro Paese. Caro presidente Conte, è finito il tempo dei rinvii e comincia, inesorabilmente, quello delle scelte. L’Europa ci ha fatto credito, adesso dobbiamo meritarlo. Tutti.