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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “Cento miliardi di fuochi di paglia”

 

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E se facessimo 4 conti sul retro di una busta? Sei mesi di stato di emergenza, sei mesi tra decreti legge e DPCM tanto prescrittivi, quanto cervellotici, spesso inutilmente lesivi delle nostre libertà. Oggi, dunque, parliamo di soldi: deficit, debito, qualità della spesa, conseguenze prevedibili. Ma andiamo per ordine.

La politica economica del Governo attuata durante la crisi economica e finanziaria che ha investito l’Italia per effetto della pandemia rischia di risolversi, a ben vedere, solamente in molti fuochi di paglia che possono, forse, servire ad attenuare la carenza di liquidità di famiglie e imprese nel breve termine, ma che certamente non aiuteranno il Paese a risolvere i suoi problemi vecchi e nuovi. Il risultato più probabile, alla fine di questa crisi, sarà quello di avere una Italia indebitata ancora di più rispetto a prima, con un rapporto debito/Pil che viaggerà verso la soglia monstre del 200%, ma con una struttura economica e produttiva, nonché sociale, se possibile ancor più squilibrata e fragile.

Per contrastare gli effetti della crisi, lo ricordiamo, il Governo ha approvato tre scostamenti del valore complessivo di circa 100 miliardi di extra deficit. Una cifra enorme che è stata usata per finanziare le misure dei quattro decreti che, almeno nelle intenzioni dell’Esecutivo, avrebbero dovuto costituire i presupposti per rimettere l’economia italiana sulla giusta carreggiata: il Cura Italia, il Liquidità, il Rilancio e il Decreto Agosto (vedremo che nome assumerà secondo la fantasia del Presidente del Consiglio Conte).

Nel dettaglio: il DL Cura Italia ha stanziato 20 miliardi di deficit; il DL Liquidità non ha stanziato deficit; il DL Rilancio ha stanziato 55 miliardi di deficit; il DL Agosto stanzierà 25 miliardi di deficit.

Ai 100 miliardi di deficit già decisi e stanziati andranno poi aggiunti gli ulteriori miliardi di deficit che si manifesteranno nei prossimi anni, quando una parte delle imprese che hanno ottenuto finanziamenti con garanzia statale tramite SACE andranno in difficoltà finanziaria e le garanzie statali saranno escusse dalle banche: il Governo, con un poco commendevole giochetto contabile, ha infatti contabilizzato i 30 miliardi a copertura delle garanzie rilasciate da SACE per intero solo a “saldo netto da finanziare” e non a deficit, spostando sui futuri Governi l’inconsistenza di dover fronteggiare il corrispondente onere al manifestarsi delle insolvenze.

L’azione del Governo è stata tanto lenta quanto di brevissimo respiro. Lenta, perché al totale di 100 miliardi di stanziamento si sarebbe dovuti arrivare già ad inizio aprile, adottando la strategia del “front loading”, mentre invece è stato varato un surreale decreto “a saldo zero”, rinviando fino a metà maggio il Decreto Rilancio per ritrovarsi, ancora adesso, “in corso d’opera” con il Decreto Agosto. Di brevissimo respiro, perché i 100 miliardi di euro di maggiore deficit, al netto della parte direttamente riconducibile alla spesa per fronteggiare l’emergenza sanitaria, hanno affrontato i risvolti economici della crisi in un’ottica di spesa corrente, di brevissimo periodo, con un impatto elevatissimo sul deficit e debito pubblico, ma con effetti quasi nulli sull’economia di lungo periodo. Una sorta di riedizione delle scelte fatte dal Governo gialloverde, che decise di varare quota 100 e il reddito di cittadinanza, due misure assistenzialiste che non hanno avuto alcun impatto positivo sui moltiplicatori fiscali. Il Governo giallorosso ha fatto altrettanto adottando solo misure inutili per la crescita, con impatto nullo sul reddito. Nessuna riforma strutturale fatta, nessun rafforzamento delle spese in conto capitale. Solo demenziale “smart working” (soprattutto pubblico, ma anche privato), foglia di fico tragica per la produttività e l’efficienza del nostro sistema-Paese.

Pochissimo è stato fatto anche sul fronte degli incentivi veri ai consumi e al sostegno della domanda: il super-bonus per l’edilizia e gli ecobonus per gli acquisti di autovetture sono piccole isole di buon senso (tutte ancora da implementare in termini di copertura adeguata) in un mare di assistenzialismo, senza una strategia per il domani. Il cashback per chi farà acquisti con il bancomat, allo studio nel Decreto Agosto, potrà avere un senso solo se lo sconto sarà consistente e non escluderà chi sta sopra determinate soglie di ISEE, come fatto con lo scellerato bonus vacanze: speriamo il Governo abbia capito almeno questa lezione.

Per il resto le norme hanno riguardato cassa integrazione, bonus, incentivi fiscali, garanzie per le imprese, differimenti (non cancellazioni) delle imposte, statali e locali, che sono servite certamente a venir incontro alla tragica riduzione di reddito delle famiglie e imprese in seguito alla pandemia. Ma cosa succederà poi, quando queste misure verranno meno? Perché una cosa deve essere chiara. Questo, il 2020, è da considerarsi un anno sabbatico, dove – almeno dal punto di vista della finanza pubblica – l’Unione Europea lascerà fare ai Governi tutto quello che vogliono, lascerà spendere loro tutto quello che vogliono spendere. Ma dal 2021 le cose cambieranno radicalmente. Il percorso di riduzione del deficit e del debito, infatti, dovrà essere ripreso, come impone la prima Raccomandazione Paese inviata da Bruxelles al Governo italiano, che dovrà essere rispettata se l’Italia vuole ricevere i fondi del NGUE Fund. Così come cesserà il Temporary Framework sugli aiuti di Stato, usato dai Governi europei per fornire aiuti diretti alle imprese in crisi. Cosa significa questo? Significa che tutte le misure temporanee messe in campo dal Governo quest’anno non potranno essere più rifinanziate e verranno meno. Le uniche risorse alle quali il Governo potrà attingere saranno quelle messe in campo dall’Unione Europea, ovvero dei 4 pilastri finanziari (MES, SURE, BEI e NGUE).

Tante risorse, pari a circa 300 miliardi di euro per l’Italia, per le quali, però, il Governo dovrà mettere per iscritto (secondo rigorosi parametri) come volerle spendere. Perché, infatti, quelle risorse non saranno un pasto gratis. Ogni risorsa che arriverà nel nostro Paese sarà infatti soggetta ad una rigida e virtuosa condizionalità. Le risorse del MES saranno condizionate alle spese sanitarie dirette ed indirette, quelle del SURE per il sostegno al lavoro, quelle della BEI agli investimenti delle imprese e quelle del NGUE alla stesura di un Recovery Plan nazionale da inviare alla Commissione Europea entro il prossimo 15 ottobre, scritto sulla base delle Raccomandazioni Paese inviate da Bruxelles al Governo. Questa condizionalità, tuttavia, non va letta in senso negativo, anzi, come è stato più volte erroneamente scritto. Esiste infatti una condizionalità potenzialmente negativa, che è quella adottata appunto dalla Troika nel caso greco, consistente in misure macro finanziarie e di tagli indiscriminati alla spesa pubblica da adottare per un certo numero di anni, e una condizionalità positiva, che subordina l’erogazione di risorse finanziarie all’adozione di riforme virtuose e pro-crescita. È questo il caso del Recovery Fund, come previsto dall’Unione Europea.

A proposito delle Raccomandazioni Paese, il Governo e la stampa nazionale si sono soffermati, quasi esclusivamente, su quelle che riguardano le famose riforme strutturali, ovvero tutte quelle riforme che il nostro Paese è sempre stato invitato da Bruxelles a fare e che, per un motivo o per l’altro, non ha mai fatto. Queste riforme sono note ormai da tempo: semplificazione delle procedure burocratiche, riforma della giustizia civile, riforma del mercato del lavoro, privatizzazioni, liberalizzazioni, aumento degli investimenti nella green economy e nella digital economy, e nelle infrastrutture. Alcune riforme sono a costo zero per lo Stato, come quella relative alla semplificazione burocratica o alla riforma della giustizia civile. Altre sono molto costose, come quelle relative alle infrastrutture. Ma grazie al piano europeo, il conto di queste ultime lo pagherà l’Unione Europea, almeno per la parte dei “grants”, o le anticiperà comunque Bruxelles nel caso dei “loans”, con il notevole vantaggio dei tassi di interesse vicini allo zero.

Quello che invece non viene mai scritto o ricordato è che le Raccomandazioni Paese contengono anche degli impegni precisi da rispettare, che non sono “onerosi” per l’Unione Europea, ma soltanto per l’Italia. In particolare, si fa riferimento alla prima raccomandazione, che poi è quella più importante, che nella versione delle Raccomandazioni 2020, pur più blande di quelle 2019 causa pandemia, afferma testualmente che il Governo italiano dovrà “perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito”. Cosa significa tutto ciò? L’Obiettivo di medio termine (OMT) è un obiettivo di saldo di bilancio strutturale, definito al netto della componente ciclica e degli effetti delle misure una tantum e temporanee, che in base al regolamento (CE) n. 1466/1997, uno Stato membro della Unione Europea si impegna a realizzare in un certo orizzonte temporale. L’OMT, secondo il disegno comunitario, preserva un Paese membro dal rischio di superare la soglia del 3,0% del rapporto deficit/PIL prevista dai trattati europei nell’arco del ciclo economico, e garantisce la sostenibilità a lungo termine delle sue finanze pubbliche. Al di fuori dei tecnicismi, l’OMT prevede quindi la forte riduzione del deficit strutturale di un Paese membro, fino al suo azzeramento, da realizzarsi con tagli alla cattiva spesa pubblica, in particolare a quella corrente, o con aumenti di tasse. A questo obiettivo si deve aggiungere poi quello della riduzione strutturale del debito.

Ecco, stante queste Raccomandazioni, il Governo italiano dovrà, nel Recovery Plan da consegnare entro metà ottobre a Bruxelles, come prima cosa, ancora prima di indicare la lista delle riforme strutturali da fare, indicare come intende tagliare credibilmente e riqualificare il proprio budget: quali spese tagliare, quali proventi da privatizzazioni iscrivere in bilancio, quale pressione fiscale. Senza tutto ciò, la Commissione Europea non erogherà alcun fondo del NGUE, per via della violazione all’adesione alle Raccomandazioni Paese del Recovery Plan nazionale. Le riforme strutturali sono le benvenute. I fondi europei per finanziarle anche. Ma tutto questo, è bene esserne consapevoli, non avverrà fin quando il Governo, prima ancora di pensare a come spendere i fondi europei, non avrà spiegato come intende attuare la prima raccomandazione della Commissione. Quella più sgradita, ma, che lo si voglia o no, quella senza la quale la vittoria al Consiglio Europeo (i 209 miliardi all’Italia) potrebbe essere soltanto una vittoria di Pirro, dentro una crisi economica e sociale d’autunno senza precedenti, nella caotica incertezza politico-istituzionale post elettorale e referendaria.

Fuochi di paglia, ma anche fuochi fatui, quelle tristi fiammelle che nelle calde sere di agosto esalano dalle paludi.