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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Giornale’): “Zero investimenti sul lavoro: Conte ha bruciato 100 miliardi”

 

Rassegna Il Giornale

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Non capire, sbagliare, arrivare tardi è certamente umano; perseverare, non riconoscere gli errori, incartarsi, è, non tanto diabolico, quanto semplicemente masochista. Con in più un cattivo pensiero. Che invece sia tutto intenzionale, voluto, scientifico, con il solo obiettivo di comprarsi il consenso. In altri termini, non fare le cose giuste, semplicemente perché quelle sbagliate ti fanno salire nei sondaggi, ti danno una effimera ragione, anche se hai torto. Tanto consenso nel breve periodo, in cambio di 100 miliardi di deficit, di maggior debito per le nuove generazioni. E il sentimento comune dalle parti del Governo delle 4 sinistre sembra essere quello del “echisefrega’. Ecco il motivo perché il Governo continua a perseverare nel voler affrontare la crisi prodotta dalla pandemia dal lato sbagliato del mercato, contromano, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. E continua imperterrito a perseverare. Il diavolo non c’entra. C’entra piuttosto Casalino.

Con il bel risultato di cento miliardi di euro buttati via, economia ferma, addormentata, società sgomenta, allontanamento progressivo e sempre più evidente dalle regole di funzionamento del libero mercato, dall’efficienza, dalla produttività, dalla competitività, dalle regole del buon senso. Possibilità di ripartenza ridotte al lumicino. Il tutto proprio perché, per mere ragioni ideologiche e di calcolo politico, il Governo continua a scegliere misure inutili dal solo lato della domanda. E il decreto Agosto varato venerdì sembra diabolicamente, casalinianamente, perseverare proprio in questa direzione.

Ma torniamo ai fondamentali dell’economia. La crisi economica e finanziaria nella quale si trova l’Italia, per effetto della pandemia, è una crisi di tipo “supply-side”, ovvero che ha colpito prima di tutto il lato dell’offerta (gli investimenti e il processo di accumulazione del capitale fisico, umano, sociale, il mondo delle imprese, della produzione e dei servizi che ruotano attorno alla produzione), causando poi effetti avversi, a cascata, anche sul lato della domanda (famiglie, lavoro, consumatori). A questa crisi di tipo “supply-side”, il Governo delle 4 sinistre ha scelto dapprima in forma meramente emergenziale, poi via via con crescente consapevolezza, di intervenire con misure di tipo “demand-side”, ovvero volte a sostenere prevalentemente il lato della domanda, con provvedimenti a pioggia di tipo difensivo, assistenziale. Un errore madornale, che sta provocando, e provocherà, danni enormi alla nostra economia e alla nostra società. Questa politica economica (che potremmo chiamare non senza una amara ironia “Contenomics”) fatta dal lato sbagliato del mercato non è, tuttavia, casuale, bensì sembra essere il frutto avvelenato di una precisa visione ideologica che caratterizza il Governo delle 4 sinistre, in particolare il Movimento Cinque Stelle, erede di quel pensiero marxista straccione anti capitalista, anti efficienza, anti mercato, della decrescita felice. Pensiero che speravamo fosse stato abbandonato definitivamente, dopo le batoste elettorali del movimento, ma che adesso troviamo rivivere, moltiplicato per dieci, nella Contenomics. L’ideologia che ha sotteso tutti gli interventi posti in essere dall’Esecutivo giallorosso negli ultimi mesi, nei 4 decreti di intervento per un valore complessivo pari a 100 miliardi di extra deficit, è stata infatti quella di non salvaguardare tanto gli interessi strutturali del Paese (gli investimenti, la crescita, la potenzialità di produrre ricchezza, il valore delle imprese, la loro tecnologia, la loro organizzazione, il capitale fisico e umano) ma esclusivamente quelli di chi la ricchezza la consuma. Senza preoccuparsi che il reddito, prima di essere consumato, deve essere prodotto. Ma questa semplice constatazione sembra lontana dal situazionismo grillino. Il Governo non ha certo colpa per la crisi economica e finanziaria che ha investito l’Italia per effetto della pandemia, ma ha colpe gravissime per il ritardo sistematico e le scelte volutamente sbagliate e devianti con cui la sta affrontando.

Facciamo quattro conti. Per contrastare gli effetti della crisi, l’Esecutivo ha finora deciso interventi emergenziali per 100 miliardi di extra deficit, più altri 30 di saldo netto di finanziare (sulle spalle dei prossimi Governi). Una cifra monstre che non è stata però stanziata tutta e subito, attraverso una politica di “front-loading”, più volte richiesta, ma che si è concretizzata in tre scostamenti di bilancio: 20 miliardi nel Decreto Cura Italia di marzo, 55 miliardi nel Decreto Rilancio di maggio e 25 miliardi nel Decreto Agosto. Tra i primi due sono trascorsi due mesi sabbatici che stiamo già pagando carissimo, quelli che hanno prodotto la farsa del Decreto Liquidità, “a saldo zero”.

Sono stati 100 miliardi spesi bene? Al netto della decina di miliardi destinati al potenziamento della spesa sanitaria, possiamo dire tranquillamente di no. L’extra-deficit è infatti quasi tutto servito per finanziare interventi assistenziali di natura corrente: casse integrazioni; redditi di emergenza; indennità per parasubordinati e autonomi; limitati contributi a fondo perduto e abolizione “una tantum” del saldo 2019 e del primo acconto 2020 IRAP; garanzie pubbliche per moratorie sui prestiti bancari e per il rilascio di nuovi finanziamenti bancari, i cui effetti sul PIL, misurati dai moltiplicatori fiscali sono stati praticamente nulli.

Anche il Decreto Agosto si conferma come una grossa delusione, un’altra serie di interventi di natura assistenzialista e contrari alla crescita, fuochi di paglia, in ossequio alla scelta perversa del Governo di tralasciare l’aspetto della “supply”, per venire incontro solo a quello della “demand”, emarginando così i produttori, ai quali prima il Governo ha imposto di chiudere per legge, procurando loro perdite di fatturato enormi, e poi, sempre per legge, impedendo loro di ristrutturare per reagire alla crisi (blocco dei licenziamenti) portandoli di fatto alla chiusura. L’ultimo capitolo di una serie di scelte in cui è evidente l’intenzione di far assumere allo Stato un ruolo sempre più di controllo della economia, della società e delle imprese.

In questo filone di pensiero, l’infinita sequenza di bonus e misure presenti nell’ultimo decreto, molti dei quali cervellotici se non discriminatori, come il contributo a fondo perduto in favore degli esercenti del settore turismo dei centri storici che abbiano registrato un calo di turisti stranieri rispetto ai residenti, e che abbiano registrato un calo del 50% del fatturato rispetto agli stessi periodi del 2019, misura accettabile in se ma che rischia di diventare discriminatoria tra categorie più o meno disastrate. O come l’inutilmente complesso cashback o l’effimera fiscalità di vantaggio per il Sud, o l’insufficiente proroga dei versamenti delle tasse, o ancora l’assunzione di quasi 100.000 nuovi insegnanti, totalmente ingiustificata dai dati demografici.

Nel frattempo, il mercato del lavoro italiano sta conoscendo continue perdite di occupazione, cadute dei contratti a tempo indeterminato e crescita della inoccupazione. Solo il dato della disoccupazione è meno negativo, ma ciò solo perché i lavoratori in Cassa Integrazione non sono considerati statisticamente disoccupati: risultano occupati. Il mercato del lavoro è stato così progressivamente congelato dal Governo nella convinzione che occorra passare la “nottata”. Come sempre in economia, però, nascondere la polvere sotto il tappeto ed attendere non contribuisce a risolvere i problemi. Purtroppo, il Governo Conte si dimostra incapace di fare riforme strutturali, aspettando solamente i soldi dell’Europa. Il rischio è che, nel frattempo, il Paese collassi definitivamente. Nessuno nell’Unione sta adottando le politiche del lavoro come le nostre, nella convinzione che non si possono protrarre per troppo tempo sussidi e bonus, né bloccare i processi di aggiustamento delle imprese.

Per non parlare di quelle sullo smart-working. Sono altrettanto folli e pericolose. Dal punto di vista definitorio, quello che stanno vivendo più di tre milioni di dipendenti pubblici e molti altri milioni di dipendenti privati è in realtà una trappola, una soluzione temporanea e costosissima per consentire ai genitori di rimanere a casa a curare i figli e a garantire il distanziamento sociale in attesa che riaprano le scuole. Una trappola semantica che vuole spacciare per smart-working ciò che smart-working non è. Non è accettabile avere una pubblica amministrazione che lavora, si fa per dire, al settanta per cento da casa, senza una definizione di obiettivi, senza un sistema di controlli adeguato, senza piattaforme ad hoc, senza né strumenti adatti né formazione, senza libera contrattazione. Insomma, lo smart-working una foglia di fico che nasconde il collasso regolativo che pesa sulle famiglie. In questo modo, la pubblica amministrazione chiusa in casa farà perdere ancora più produttività al resto del Paese.

Continuando a leggere le norme sul lavoro del Governo Conte, norme dal forte impatto dirigista, viene da chiedersi come mai, se il Governo è così sicuro del loro perfetto funzionamento, per paradosso, il divieto di licenziamento non venga esteso permanentemente, la cassa integrazione non diventi la regola, lo smart-working definitivo. Perché non immaginare una società dove le imprese non possono mai licenziare, i lavoratori possono starsene tutti a casa propria senza alcun controllo a svolgere le proprie funzioni e immaginare che per ogni problema c’è lo Stato che interviene con un bonus, un monopattino, un banco con le rotelle, un cashback o con un voucher per tutto?

Il fatto che il Governo abbia varato con grave ritardo le misure di risposta prettamente emergenziali di breve periodo, senza una visione di insieme della fase di crisi, vivendo alla giornata e anteponendo la salvaguardia dei propri equilibri politici interni alle esigenze di famiglie e imprese, costituisce la colpa più grave. Non vi è infatti nessun merito nello stanziare, con il nulla osta dell’Europa, 100 miliardi di extra-deficit, se il risultato, finita la crisi, è quello di avere una Italia indebitata ancora più di prima, con un rapporto debito/Pil che viaggerà verso la soglia monstre del 200,0% e senza alcuna prospettiva per il futuro.

Cosa si doveva fare allora? Bisognava utilizzare tutte le energie possibili per mettere sotto pressione la caldaia della locomotiva Italia, per far ripartire il convoglio. Tutte le energie e la potenza di fuoco del deficit dovevano essere usate per far ripartire le imprese, per la crescita e gli investimenti. Mantenendo il reddito ai lavoratori attraverso gli ammortizzatori sociali, ma facendo una scelta drastica di semplificazione. Basta inutili bonus, che inseguono i problemi e non li risolvono, e che dispendono solo risorse e non le concentrano. E far ripartire, soprattutto, la produttività della macchina pubblica.

Occorreva evitare una ulteriore strutturale perdita di produttività e di impoverimento del capitale umano. Invece, sta vincendo la falsa illusione della sinistra (una volta luddista, poi massimalista, oggi grillina, ma sempre culturalmente la stessa araba fenice) che è quella di fermare il progresso, fermare il mercato, assoggettare tutto alla mano pubblica. Con una pioggia di trasferimenti per comprare il consenso, promuovere l’assistenzialismo, cancellare il mercato. Non ci vuole molto per comprendere che bloccare i licenziamenti significa ingessare per sempre il sistema produttivo, abbassare la qualità del capitale umano, creare uno spaventoso tappo nel mercato del lavoro sul quale la pressione diventerà sempre più forte e che ad un certo punto travolgerà tutto e tutti. Al contrario, era questa l’occasione per promuovere incentivi che potessero incentivare le imprese a passare dalla CIG a riassunzioni controllate, per rafforzare il sistema della Naspi coniugato con robuste azioni di formazione, orientamento e ricollocazione (non era questo il Governo delle politiche attive e dei navigator?), per sviluppare un piano delle competenze legato a nuove e più produttive attività. Le crisi possono essere il momento migliore per rompere con paradigmi consolidati ed avviare riforme strutturali per essere più produttivi e competitivi. Il perverso ideologismo delle quattro sinistre, invece, rischia di affondarci nella palude della Italia più vecchia e oscura.

In conclusione, se la funzione obiettivo del Governo Conte era ed è quella dell’acquisizione del consenso nel breve periodo, è chiaro che le politiche della domanda come realizzate dalla Contenomics sono perfettamente coerenti e, infatti, il consenso del Governo delle quattro sinistre non ha fatto che aumentare durante la crisi, come ci ricorda sempre l’ottimo Casalino. Tante risorse in deficit, attraverso bonus segmentati in tutte le categorie, assistenzialismo, moratorie fiscali incerte ma ripetute, divieti continui di licenziamento, lo Stato come partner occulto, l’idea che tutto questo sia gratis, lasciando le dolorose riforme al dopo e con il Parlamento e le opposizioni ad inseguire tristemente e inutilmente il Governo. All’Italia servivano politiche opposte, da subito, dal lato dell’offerta: investimenti, produttività, semplificazioni, accumulazione del capitale pubblico e privato. Tutte le riforme che ha chiesto l’Europa e per le quali ha messo sul tavolo più di 300 miliardi per noi. Ma le riforme, si sa, non portano consenso nel breve periodo, semmai lo fanno perdere. I risultati del buon riformismo si vedono solo nel medio e lungo periodo. Questa è l’amara verità. Proprio per questo temiamo che questo Governo continui la Contenomics questa volta con le risorse dell’Unione. Sarebbe il disastro sul disastro, l’isolamento e la nostra bancarotta. Sosteneva De Gasperi che la differenza tra un politico e uno statista è che il primo guarda alle prossime elezioni, il secondo alle prossime generazioni. Ecco, la Contenomics ha guardato solo al giorno per giorno e al consenso, lasciando il Paese alla deriva. Forse è il caso che la buona politica, tutta insieme, di destra e di sinistra, dica basta.