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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “FONDI UE ANCORA INCERTI E NUOVO INCUBO LOCKDOWN: CONTE, QUANDO TI SVEGLI?”

 

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Criticità ed incertezza. I mercati finanziari, si sa, non amano l’incertezza. Tendono infatti a punire gli Stati e gli operatori economici che non offrono garanzie di stabilità per il futuro. Per questo motivo, l’autunno che sta per arrivare si presenta molto critico, con gli investitori che potrebbero tornare ad evitare di acquistare le attività finanziarie made in Italy: titoli di Stato e mercati azionari. Ma se c’è proprio un paese europeo che meno ha bisogno dell’incertezza, che sta riaffiorando prepotentemente in questi ultimi giorni di agosto, quello è proprio l’Italia.

In questo ultimo mese d’estate, infatti, l’incertezza sembra la cifra di ogni comportamento, e assieme ad essa aumentano anche le criticità, vale a dire la caratteristica per cui la variazione anche minima di un parametro determina un effetto di grande entità, in una causazione circolare: quanto più aumentano le criticità, tanto più aumenta l’incertezza. E viceversa.

Le criticità dell’attuale fase, hanno diverse origini. Ci sono quelle legate alla risposta che l’Unione Europea ha inteso e intende dare alla crisi pandemica, criticità che non si risolvono ancora; ci sono le opacità e le indeterminatezze rispetto ai 4 pilastri finanziari messi in campo dalla UE (Mes, Sure, Bei e Recovery Fund), quanto al loro funzionamento, e alla loro entrata in vigore.

Più analiticamente, ad esempio, c’è poca chiarezza, sul fondo Sure, 100 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali e le politiche del lavoro, per il quale fondo il Governo italiano ha fatto richiesta per quasi 30 miliardi, sapendo che ne riceverà molti meno e a fronte di imprecisate e costose garanzie. Si è parlato poco dei fondi Bei, in termini di meccanismi di accesso, costi, tempi e finalità. Chi ne ha mai sentito parlare?

Paradossalmente, il pilastro finanziario più chiaro, su cui si sa già tutto, è il “famigerato” Mes, perché potenzialmente già operativo, con i suoi 37 miliardi di euro a disposizione per l’Italia, anche se dotato di “cattiva fama”. Cattiva fama che non è però frutto della natura dello strumento (nuovo in sè), condizionato solamente alle spese sanitarie dirette ed indirette a fronte di enormi vantaggi in termini di costi e immediata utilizzabilità, ma della grande operazione di propaganda che la componente sovranista e populista, di destra e di sinistra, ha sparso a piene mani sin dall’inizio dell’idea di un suo possibile utilizzo. E che non sembra ancora finita. Il presidente del Consiglio Conte, infatti, in omaggio ai pregiudizi ideologici del Movimento 5 stelle, continua a rinviare ogni decisione.

Ancora tutti da definire sono poi tanto il Recovery Fund quanto i relativi Recovery Plan su scala europea. Dal tema delle risorse proprie della UE, con relative conseguenze sull’aumento di tassazione dei singoli Stati, pochissimo affrontate sia a livello nazionale che comunitario; al tema dei calendari, tanto agli Action Plan che sono prodromici all’ottenimento delle risorse del Recovery Fund; quanto infine alle raccomandazioni da rispettare in tema di prerequisiti macroeconomici per ciascun paese in relazione alla presentazione degli Action Plan (entro il 15 di ottobre). In altri termini come devono essere rispettate le regole del deficit e debito. Su questo il Governo Conte ha voluto fare a meno del Parlamento, che pur per legge e Costituzione ha potere di indirizzo e controllo sulle risorse da spendere (circa poco meno 300 miliardi tra grants e loans per il nostro Paese), pensando, buon per lui, il Governo Conte, di farcela da solo, pur sapendo di non avere a disposizione certamente una tecnocrazia ministeriale efficiente ed efficace, in grado di definire entro 8-9 settimane uno scadenziario credibile di riforme, con relativi costi e priorità, secondo gli standard giustamente pretesi dall’Unione Europea. Ad oggi si sa solo di un confuso assalto alla diligenza a livello ministeriale. Ne vedremo delle belle. Ma anche l’Unione Europea appare opaca e produttrice di incertezza.

Che ne sarà del Patto di Stabilità e Crescita, con i suoi relativi corollari (Fiscal Compact; Two Pack, Six Pack), del Temporary Framework, che ha consentito finora di bypassare ogni vincolo sugli aiuti di Stato? Tutte aree assolutamente decisive, ma altrettanto indeterminate. Nessuno sa dire, infatti, quando l’intero set di regole europee tornerà in vigore. Tanto per fare un esempio: nella prossima Legge di Bilancio, da presentare in Europa entro il 16 di ottobre, la prima Raccomandazione Paese sul ritorno all’Obiettivo di medio termine dovrà essere o non essere rispettata? La Commissione, su questo punto, come su molti altri, non ha ancora fornito risposte.

Se a tutto questo si aggiunge il calendario (chiamiamolo così per carità di Patria) niente affatto rassicurante della pandemia, dal momento che in questo agosto stiamo osservando in tutti i paesi della UE, e non solo, una recrudescenza di focolai di contagi, con dinamiche certamente circoscritte, ma esponenziali e per questo preoccupanti, con effetti certamente e potenzialmente tragici sulla ripresa della vita economica e sociale, dalle scuole alle università, alla mobilità in genere, con la possibilità che il prossimo autunno ci possano essere tanti lockdown, se possibile ancor più costosi di quelli totalizzanti che abbiamo sperimentato nel recente passato. Se uniamo quindi l’incertezza economica, finanziaria, di policy, sui 4 pilastri, sulla risposta europea, con l’incertezza della pandemia, essendo i vaccini non ancora programmabili in termini di policy, ecco, sommando questi due gruppi di incertezze, otteniamo una incertezza all’ennesima potenza, che certamente non rassicura i mercati e la politica, con il rischio, in riferimento alla seconda, di vedere (Dio ce ne scampi e liberi) una recrudescenza di forze populiste, sovraniste ed estremiste, magari negazioniste.

Con l’ultimo esito che ci si rivolga, rispetto a tutte queste “incertezze e criticità”, all’unica certezza data che è quella della Bce, chiedendole di risolvere ogni disequilibrio: di politica economica, di liquidità, di crescita. La Banca Centrale come panacea di tutti i mali, pia illusione, però. Può la Bce essere sottoposta a questo stress, senza perdere del tutto la propria credibilità? Noi crediamo di no, perché il rischio è quello di avere una monetizzazione senza limiti dei debiti pubblici nazionali che porterebbe sicuramente al crollo dell’euro. Diciamolo francamente: spazio per fare altro deficit in Italia non c’è, dopo i 100 miliardi di titoli extra emessi quest’anno per finanziare i decreti anti crisi. È sufficiente guardare il calendario delle scadenze dei Btp per vedere come il 2023 sarà un anno da brividi per il nostro debito, con probabilmente circa 300 miliardi da ricoprire. Una cifra mai vista che probabilmente non ha mercato. Se per quella data (ma anche molto prima) la Bce avrà smesso il suo programma di acquisti straordinari, per il Tesoro italiano saranno dolori. Ecco che, allora, tutto torna in senso circolare al punto di partenza, ovvero ai mercati finanziari, i veri giudici di cassazione di ogni politica economica dei paesi dell’Unione; mercati per il momento tranquilli ma che in realtà nascondono molta preoccupazione e sentimenti assolutamente neri. E se non riceveranno le dovute garanzie in termini di certezze e soluzione delle criticità dalla UE e dagli Stati membri non potranno che fare una sola cosa: vendere Italia, a partire dal prossimo autunno, con un occhio al cambiamento dei forward guidance della Bce. E saranno dolori. Altro che la politica del rinvio di Conte e Gualtieri.