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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Il Riformista’): “LA SOLUZIONE È UNA SOLA: FLAT TAX E PACE FISCALE”

 

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SECONDA PUNTATA

 

LEGGI IL MIO EDITORIALE

 

Ieri abbiamo provato a spiegare perché le idee di riforma fiscale del ministro Gualtieri non funziona e non funzionano neanche le proposte dell’on. Marattin. Quali soluzioni andrebbero quindi sostenute?

 

Se l’approccio deve essere quello di una radicale rivisitazione dell’attuale sistema, senza però la volontà o la possibilità di pervenire ad una sua vera e propria rivoluzione integrale, chi conosce davvero il sistema fiscale italiano (e quello degli altri Paesi europei che sono il nostro benchmark naturale, come Germania e Francia) sa che le linee di intervento devono essere tre:

– un riequlibrio della progressività tra redditi bassi e redditi medi, a favore però dei redditi medi, non dei redditi bassi, perchè far pagare poco a chi ha poco è sacrosanto, ma fargli pagare nulla a prezzo di far pagare troppo a chi qualcosa ha, senza per questo essere addirittura “ricco”, è la cartina di tornasole di un Paese che confonde il nobile principio della progressività con l’ignobile pretesa di un livellamento verso il basso che trascina giù tutti;

– la riduzione del divario del prelievo tra dipendenti e autonomi in corrispondenza dei redditi bassi, perché fino a circa 20.000 euro di reddito questo divario, dopo l’introduzione del bonus 80 euro, ha assunto una dimensione che va al di là di ogni possibile giustificazione ed equità;

– una adeguata valorizzazione del “fattore famiglia”, con una intensità differenziale che deve permanere anche in corrispondenza dei redditi medi e alti, perché questa è la vera differenza tra l’Italia e paesi come la Germania e la Francia.

Se il lavoratore tedesco, invece che essere single e senza carichi di famiglia, ha un coniuge e 2 figli a carico, ha un trattamento fiscale profondamente diverso dal suo omologo che, con la stessa disponibilità di reddito, mantiene soltanto se stesso.

Fino a quasi 40.000 euro non paga e anzi riceve una integrazione di reddito per il tramite del meccanismo dell’imposta negativa.

E le enormi differenze permangono, giustamente, anche in corrispondenza di redditi elevati: con 100.000 euro di reddito, il lavoratore single paga circa il 36%, il lavoratore con coniuge e due figli a carico paga circa il 21%.

In Italia, invece, il “fattore famiglia” viene valorizzato assai meno in corrispondenza di redditi bassi e medi e addirittura scompare del tutto in corrispondenza di redditi alti, perché l’errore (da matita blu) del nostro sistema è quello di non capire che il “fattore famiglia” non può essere un elemento che concorre alla perequazione verticale (cioè riducendo il divario del “netto” tra livelli di reddito diversi), bensì deve essere un elemento che determina una perequazione anche orizzontale tra soggetti che hanno lo stesso livello di reddito, ma nuclei familiari assai diversi da mantenere con quel “reddito uguale”.

 

Se però l’approccio è quello di pervenire ad una vera e propria rivoluzione epocale del sistema fiscale, noi siamo sempre convinti che la strada maestra rimanga quella della flat tax, ovvero di un sistema di prelievo basato su un’unica aliquota uguale per tutti e con una no tax area fissata a 12.000 euro, in maniera da permettere il mantenimento del principio di progressività fiscale sancito dalla Costituzione.

Un vero e proprio patto fiscale tra Stato e contribuenti che permetta a tutti di pagare una aliquota più bassa, operando parallelamente, in un’ottica di semplificazione, una drastica riduzione delle tax expenditures che riempiono l’attuale sistema, creando distorsioni e inefficienze di vario tipo, in primis il disincentivo all’offerta di lavoro.

Per arrivare a questo si dovrebbe effettuare un passaggio intermedio, consistente nell’eliminazione per tutti i contribuenti delle aliquote IRPEF del 38% e 41% e nell’aumento da 75.000 a 150.000 euro della soglia a partire dalla quale scatta l’aliquota del 43%, in linea con la necessità di dare priorità nella scalettatura degli interventi alla fascia corrispondente ai redditi medi, tra 30.000 e 75.000 euro lordi, oggi massacrati da un sistema di iper-progressività filo-pauperistico che soltanto chi fa politica con i paraocchi dell’ideologia può continuare a definire addirittura “insufficiente”.

 

Per finanziare questa rivoluzione è evidente che, nella fase di avvio, non bastano da sole le riduzioni delle tax expenditures, sarà necessario estendere il nuovo patto fiscale tra Stato e contribuenti agli anni pregressi, in un’ottica di pace fiscale che produca nei primi tre anni di applicazione del nuovo sistema flussi di cassa idonei a concorre alla copertura finanziaria delle misure, dando così tempo ai sicuri effetti di emersione e crescita economica di consolidarsi e accrescersi in termini di maggiori flussi finanziari futuri.

 

Perché la serietà di un progetto sta non solo nella chiarezza della sua visione (quella che il centrodestra condivide, a differenza delle molteplici visioni dell’attuale finta maggioranza), ma anche nella chiarezza delle sue fonti di finanziamento; che possono piacere o non piacere, ma che devono essere enunciate.

 

Ed infatti anche la pseudo–rivoluzione epocale di cui parla il Ministro dell’economia, per quanto asfittica nella sua dimensione e ripetitiva nella sua povertà di visione, dovrebbe essere accompagnata da qualche indicazione sulle modalità di copertura che non sia la trita e ritrita “lotta all’evasione”; non perché la “lotta all’evasione” non sia importante, ma perché anche gli studiosi di storia e filosofia hanno ormai imparato, dopo 10 anni di dati in crescita comunicati con sempre maggiore trionfalismo dall’Agenzia delle Entrate, che non è da lì che possono arrivare le coperture finanziarie preventive per portare provvedimenti di riduzione delle tasse alla bollinatura da parte della Ragioneria dello Stato.

 

Viene da sé che, se le ipotesi, queste sì praticabili, di pace fiscale vengono respinte dalle “anime belle”, se la “lotta all’evasione” è cosa buona e giusta, ma fumo negli occhi rispetto alla copertura di queste misure, se la riduzione delle tax expenditures va bene, ma da sola non basta, ecco che le misure proposte dal Ministro dell’economia e dai partiti di maggioranza dovrebbero essere coperte attraverso maggior deficit di identico ammontare (in un contesto in cui il debito pubblico sta già viaggiando pericolosamente verso il 200% del PIL), non potendo essere finanziato con i fondi europei, in particolare quelli del Recovery Fund, avendo la UE categoricamente vietato l’utilizzo di tali risorse per finanziare tagli delle imposte o effettuare riforme fiscali.

 

Ecco perché diciamo che dal Governo e dai partiti di maggioranza arrivano troppe proposte divergenti, tutte confuse e nessuna finanziariamente sostenibile, laddove invece dal centrodestra arrivano proposte con sfumature diverse, ma tutte convergenti e con il coraggio di dire come attuarle sul piano finanziario.

 

Caro ministro Gualtieri, mi scuso per la trattazione un po’ lunga del tema, ma serviva per far capire che forse, quando si parla di riforme, sia quelle che si devono fare perché ce le chiede l’Europa, in cambio di quasi 300 miliardi dei 4 pilastri finanziari (MES, BEI, Sure e NGUE Fund), sia quelle che ci chiede da sempre il Paese, sarebbe il caso di non ballare da soli. Ballare da soli è noioso, triste, stanca e, alla lunga, ti fa cadere a terra. Ecco, non abbiamo bisogno né di un Presidente del Consiglio né, mi rivolgo a te, di un Ministro dell’economia che ballino da soli, seguendo la solita musica del costruttivismo fiscale di sinistra. Noi preferiamo l’esatto opposto della semplicità della flat tax, ritmo tanto semplice, quanto democratico. Ne vogliamo parlare? Perché in caso contrario, a cadere a terra sarebbe il Paese.