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R.BRUNETTA (Intervento su ‘Il Giornale’): “L’Italia si salva solamente se ripartono offerta e investimenti”

 

Rassegna Il Giornale

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“La salvaguardia dell’integrità delle conquiste in termini di progressiva integrazione sulla quale si basa anche la prosperità di tutte le economie europee ha motivato il cambio di paradigma sul debito pubblico. Ma alla base di queste coraggiose scelte di bilancio c’è l’esigenza di proteggere ciascun cittadino dell’Unione, indipendentemente dalla nazionalità. Questa consapevolezza, che nessuno si salva da solo, ha in questo modo aperto un processo di integrazione con risvolti nuovi. La pandemia ha posto in evidenza la nostra comune vulnerabilità, a fronte di una comune crescente interdipendenza. Ebbene, appare davvero paradossale pensare che mentre a livello internazionale le società sono sempre più interconnesse, per catene di valore e per culture, gli Stati possano essere percorsi da tentazioni in direzioni opposte. Sono realtà contrastanti e risulterebbe del tutto impossibile giustificare e sostenere”. Come non essere d’accordo con le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella?

Un po’ di teoria. La crisi da pandemia può essere catalogata come di tipo simmetrico (ha colpito indistintamente tutti i paesi, europei e non, allo stesso modo. Una crisi di liquidità e di tipo supply-side, che ha colpito il lato dell’offerta, rappresentato dalla produzione e dalle imprese.

Nel dopo coronavirus (speriamo vivamente che ci sia un dopo), che potrebbe iniziare con l’avvento dei vaccini, e cioè entro quest’anno, durante la fase strategica dell’utilizzo dei fondi europei, fase che durerà almeno 3-5 anni, a competere in Europa saranno i sistemi-paese, vale a dire le burocrazie, i settori industriali, le regole, le società civili, le leadership di governo e le loro politiche economiche. L’Unione europea ha fatto la sua parte con l’istituzione dei quattro pilastri finanziari di finanziamento. Nei limiti della sua storia e delle sue ossessioni, ha comunque cercato di riequilibrare il campo di gioco, tenendo una possibile uscita asimmetrica dalla crisi dei singoli paesi.

La sospensione delle regole sugli aiuti di Stato (Temporary Framework), così come la sospensione del Fiscal Compact, del Six Pack e del Two Pack, hanno consentito, ad oggi, ai governi dell’Unione una vera e propria moratoria di regole che finirà però presto; molto probabilmente con l’approvazione dei Recovery Plan, nella prima metà del 2021, e con il ridimensionamento, se non la conclusione, del PEEP, vale a dire del Quantitative Easing pensato dalla Bce per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani. Finirà molto probabilmente anche con la dissolvenza progressiva del “Temporary Framework”, e con la reintroduzione, per fasi, delle regole di finanza pubblica conseguenti a Maastricht.

È in questa fase che si “parrà la nobilitate” dei singoli Paesi.

A mo’ di esempio, le scelte del Governo francese, annunciate due giorni fa, con grande chiarezza, consapevolezza e forza mediatica, nei confronti dell’Europa e del resto del mondo, ci sembrano il modo giusto di procedere. Priorità, scelte, un impianto di tipo metodologico teorico chiaro: il tutto da comunicare a cittadini, imprese, mercati. L’idea sulla quale il presidente francese Macron ha puntato è stata quella di far ripartire il sistema nazionale di produzione, attraverso una significativa riduzione della pressione fiscale. A “tout azimut”, direbbero i francesi, con al centro l’impresa, rispetto ad un impianto teorico che vede nella ripartenza dell’offerta (supply side) la chiave per far ripartire l’economia nazionale. Una politica economica, quella della supply-side, teorizzata da grandi economisti come Robert Mundell, Arthur Laffer e Martin Feldstein, che punta tutto sul taglio delle tasse per aumentare il risparmio privato e gli investimenti, il Pil e, di conseguenza, le risorse per lo Stato (il famoso effetto Laffer).

Ecco, noi dovremmo fare una scelta simile a quella della Francia, con altrettanta chiarezza di priorità, con in più l’avvio di grandi riforme strutturali e priorità negli investimenti, dosando ovviamente in maniera opportuna le risorse europee (300 miliardi), nei 5 anni di straordinarietà della politica economica. Pensando anche alle risorse endogene, vale a dire quelle che si possono ancora ricavare dal bilancio dello Stato, soprattutto per quanto riguarda la riforma fiscale che, come sappiamo, non può essere finanziata dall’Europa.

Ecco, se il buongiorno si vede dal mattino, i 100 miliardi già spesi in deficit dal Governo Conte, a parte quelli destinati agli ammortizzatori sociali, finora sono stati un buco nell’acqua. Si doveva concentrare tutto sulla semplificazione, sulla ripartenza dei settori produttivi, delle filiere, delle catene del valore, per poi far seguire l’intendenza dell’occupazione. Con l’assorbimento progressivo degli ammortizzatori sociali.

100 miliardi spesi male, dunque, buttati, fuochi di paglia. C’è stata solo una rincorsa ai problemi, magari con il retropensiero di comprarsi il consenso. Quella che noi abbiamo chiamato Contenomics, con la variante Casalinomics. Per il bene di tutti, questa fase deve finire al più presto, perché da adesso in poi non si scherza più.

Non ci sarà più l’emergenza (si spera) con la discesa in campo dei vaccini. Dall’anno prossimo (ma da subito sui programmi), la competizione sarà sulle grandi scelte, sulle grandi riforme, sulle grandi strategie. Si dovrà competere, in altri termini, sulla capacità di governare per davvero. Nessuno si salva da solo.