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LA MIA INTERVISTA ALL’HUFFINGTON POST: “Salvini non è il leader, serve una Costituente”

 

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“Matteo Salvini non è e non è mai stato il leader del centrodestra. Ha preso decisioni unilaterali, parlando solo per la Lega. Non ha mai seguito lo stile di Silvio Berlusconi e, ha ragione oggi Giovanni Toti, non si è mai fatto carico di fare la sintesi di un centrodestra plurale”. Renato Brunetta, economista, berlusconiano di ferro, ex ministro della Pubblica Amministrazione celebre per la battaglia contro i “fannulloni”, oggi è deputato di Forza Italia (di cui è stato capogruppo) e dirige il settimanale economico del lunedì del “Riformista”. Oltre a sparare “con simpatia” ma a zero sul Capitano, invoca subito una svolta a destra: “Il centrodestra unito è un’illusione. Serve una costituente, un congresso fondativo che definisca valori, anime e programma. Forza Italia ha uno straordinario gruppo dirigente, ma purtroppo in nome dell’unità del centrodestra non ha più una linea politica”.

Dopo le Regionali, la domanda obbligatoria per il centrodestra è: quanto è solida la leadership di Matteo Salvini?

Lo dico senza polemica, anche perché lo ripeto da oltre due anni: Salvini non è il leader del centrodestra. Non lo è mai stato. L’unica regola che il centrodestra si era dato alle scorse elezioni politiche era che il leader del partito che prendeva più voti, se la coalizione vinceva, diventava automaticamente candidato premier. Su queste basi, nel 2018 è stato indicato Salvini. Ma nonostante Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni glielo avessero chiesto con grande determinazione, lui non ha voluto cercarsi i voti mancanti per Palazzo Chigi: ha detto che non intendeva “andare per funghi”. E ha preferito allearsi con il M5S, ridandogli centralità dopo la sconfitta nelle urne, e rompendo il centrodestra.

Adesso, l’accusa di avere ridato centralità ai Cinquestelle viene rivolta al Pd.

Vero, ma il primo è stato Salvini diventando junior partner del governo Conte I. Con il risultato di grandi disastri: lo sfregio alla Costituzione, confermato dal referendum, era un punto fondamentale del loro contratto. In quell’occasione Salvini si dimostrò un leader non unificante: se ci avesse ascoltato, la legislatura avrebbe avuto un senso diverso. E con quel governo, Forza Italia cominciò a perdere voti cannibalizzata dalla Lega.

La scelta del governo gialloverde non fu condivisa da voi. E’ stato l’unico momento in cui il Capitano ha mostrato poca voglia di unità?

Ma no. La mozione che aprì la crisi di governo nell’agosto 2019 era firmata solo dal suo partito. Agli altri non ha chiesto niente. Sono state tutte decisioni unilaterali dicendo “se volete è così, sennò vado da solo”. I risultati li abbiamo visti. Ha ragione, oggi, Giovanni Toti: non si è mai fatto carico della sintesi, di un centrodestra plurale. Ha sempre parlato per la Lega: abbiamo un consigliere in più, una città in più. E se perde, è colpa degli altri.

E’ anche il leader del partito più grande e più esposto ai riflettori. Non è inevitabile?

Come ha sempre sostenuto Berlusconi, il centrodestra per vincere deve essere plurale e con pari dignità, senza leader leonini.

Berlusconi non è mai stato leonino?

E’ stato l’esatto contrario. Umberto Bossi con il 4% gli strappava tutto. E poi c’è un problema di offerta politica: se il centrodestra è solo sovranista rimarrà perdente.

Questo è un punto. Ma come può, in concreto, l’attuale centrodestra pensare di cambiare volto, avendo come punte due leader – Salvini e Meloni – che sono sovranisti e populisti?

Serve subito una costituente del centrodestra. Un congresso fondativo che definisca valori, anime, programmi. Una convention che decida cosa fare su Europa, Mes, politiche migratorie, utilizzo dei soldi del Recovery Fund.

Berlusconi è d’accordo sul fare una costituente del centrodestra?

Certamente, ne abbiamo parlato. Non si può più andare avanti così. Il centrodestra unito è un’illusione. Le interviste di Salvini e Meloni di oggi lo confermano. Ma lo sanno gli italiani che per il Sì al referendum i voti del centrodestra sono stati decisivi? Se Lega e FdI si fossero schierati per il No, quest’ultimo avrebbe prevalso. E il centrodestra avrebbe vinto gioco, partita, incontro: salvato la Costituzione, messo in crisi il governo andando verso elezioni a primavera, eletto subito dopo il presidente della Repubblica. Invece, ha prevalso il richiamo salviniano della foresta rispetto a un contratto con M5S già stracciato, che non ha senso.

Insomma, quella di Salvini è una storia di occasioni perse?

Non solo. E’ una storia di masochismo. Oggi avremmo i Cinquestelle azzerati e il governo in crisi.

Va bene. Ma la realtà non è che senza una componente moderata, liberale, la chiami come vuole, il centrodestra è destinato a non uscire dal recinto dell’opposizione? E che questa componente, con l’uscita dalla scena politica di Berlusconi, oggi è un buco nero?

Berlusconi ha fatto una scelta generosa di unità, mal ripagata da Salvini. Forza Italia ha dimezzato i voti dal 14 al 6-7%, indebolendo l’intero sistema. Certo, la coalizione che cannibalizza se stessa non può crescere né tantomeno vincere. E Salvini – lo dico senza astio – non è il leader: non lo ha mai voluto e non è mai stato deciso. Non ha mai seguito lo stile di Berlusconi. Del resto con la Lega, anche di Bossi, è sempre stato così: o i candidati sono leghisti, e allora non sbagliano mai, o devono essere subalterni. Io stesso ne porto le cicatrici: a Venezia, la Lega non mi ha votato. Come è successo adesso in Puglia e Campania. Questo voto, anzi, certifica la rinascita della Lega Nord.


 

Allora, come leader moderato vi toccherà Luca Zaia? O Toti come “federatore”?

Bisogna rimettere in moto un processo. Un rassemblement, una federazione. Con uno statuto che dia pariteticità. Poi il leader può essere Tajani, Zaia, Toti, Brunetta, Carfagna, Gelmini… Forza Italia ha uno straordinario gruppo dirigente politico e parlamentare. Purtroppo, in nome dell’unità del centrodestra, non ha più una linea politica.

Primo tema dell’agenda politica?

Il Mes: il centrodestra unito voti sì, per il bene del Paese. Poi bisogna ascoltare i ceti produttivi, essere europeisti e garantisti, rivedere il trattato di Dublino senza paraocchi né rigidità sovraniste. Poi, ci sono quasi 8 milioni di No trasversali al referendum, penso con prevalenza del centrodestra: facciamoli diventare materia di dialogo politico con il centrosinistra a favore della democrazia parlamentare, dei contrappesi istituzionali e della nuova legge elettorale. E’ un territorio straordinario per ripartire evitando derive grilline. Senza nessuna ambiguità a sinistra, solo per fare le riforme che servono all’Italia.