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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): IL GRANDE AZZARDO MORALE IN EUROPA – “I paesi del Sud, Italia compresa, stanno “obbligando” la Bce a comprare loro titoli. La Merkel fa i suoi interessi e la Germania uscirà dalla crisi più forte. Si torni al “momento Hamilton” della solidarietà”

 

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Qualche giorno fa, la presidentessa della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha chiesto ai leader dell’Unione che “i fondi europei per la ripresa vengano erogati già all’inizio del 2021” e ha proposto che “il Recovery Fund diventi uno strumento permanente”, per sostenere l’economia del Continente, in maniera che si possa affiancare, e nel lungo termine sostituire, alle politiche monetarie ultra espansive intraprese da Francoforte per contrastare gli effetti della crisi economica. Il timore (fondato) della Lagarde è quello che l’istituto centrale debba continuare a stampare moneta e tenere bassi i tassi d’interesse ancora a lungo, e che su questo scommettano i governi nazionali per evitare di ridurre i loro deficit e debiti come il Patto di Stabilità e Crescita, attualmente sospeso, imporrebbe. Un azzardo morale, noto nella letteratura economica come “fenomeno di cannibalizzazione della politica monetaria da parte della politica fiscale”, che la BCE vorrebbe scongiurare in tutti i modi.

Abbiamo sempre sostenuto, sin dallo scoppio della crisi sanitaria, economica e finanziaria che ha colpito l’Europa e non solo, che questa appartiene alla categoria di crisi di tipo simmetrico, ovvero a quelle crisi che colpiscono tutti i paesi indistintamente. Abbiamo anche sostenuto che il rischio fosse quello che, da questa crisi di tipo simmetrico, l’Europa potesse uscire in modo del tutto asimmetrico, ovvero con alcuni Paesi in grado di cavarsela meglio e prima di altri, in barba a quel principio di “level playing field” sul quale la solidarietà (e la coesione) europea si basa.

Osservando le mosse fatte dai vari Stati durante le ultime trattative sul Recovery Fund e sul Temporary Framework, siamo sempre più convinti di non esserci sbagliati.

Recovery Fund e Temporary Framework sono, infatti, i due strumenti di punta scelti dai leader europei per fornire una risposta immediata alla crisi economica che ha investito l’Europa come conseguenza della crisi pandemica.

Il primo si dovrebbe (e purtroppo il condizionale è ancora del tutto d’obbligo) concretizzare in una messa in comune di risorse finanziarie per 750 milioni di euro complessivi, suddivisi tra grants e loans. Risorse che dovrebbero servire per rilanciare le economie nazionali, puntando soprattutto sugli investimenti nel campo ambientale e digitale.

Il secondo (il Temporary Framework) è un regime di sospensione temporanea della normativa sugli aiuti di Stato, statuita dagli articoli 107-109 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che dovrebbe consentire ai governi di venire incontro alle imprese che hanno sofferto una forte riduzione della loro attività economica e del loro fatturato. Nell’intento europeo, il Recovery Fund dovrebbe aiutare soprattutto le economie del Sud Europa (Italia e Spagna per prime), mentre il secondo non dovrebbe, almeno in teoria, favorire nessuno Stato. Purtroppo, l’evoluzione delle trattative su entrambi questi strumenti sta dimostrando come questo non stia affatto accadendo.

Lo scorso 13 ottobre, la Commissione Europea ha emanato il quarto emendamento al Temporary Framework, introducendo una sezione ad hoc che consente ai governi nazionali di coprire i “costi fissi scoperti” delle aziende nazionali che hanno subito un calo del fatturato superiore al 30% nell’ultimo periodo di riferimento. I costi fissi scoperti sono quelli che non rientrano direttamente nel ciclo di produzione. Ad esempio, i costi degli affitti, delle assicurazioni, del personale amministrativo, di marketing, gli ammortamenti, eccetera.

Ecco, con questa norma, gli Stati potranno intervenire per coprire questi costi fino al 90%, con un massimo di importo di 3 milioni di euro ad impresa. Spulciando nel database delle misure approvate dalla Commissione all’interno delle precedenti versioni del Temporary Framework, notiamo che la Germania aveva presentato una norma del tutto simile la scorsa primavera. Dal 13 ottobre, la best practice tedesca è stata assorbita pienamente nel regime delle esenzioni del quadro temporaneo. Non è evidentemente una mera coincidenza. L’emendamento è stato introdotto grazie al lobbying fatto dai funzionari tedeschi a Bruxelles (a proposito, i nostri dov’erano?). Il risultato della mossa è semplice da intuire. La Germania, sfruttando i suoi enormi spazi di bilancio, dovuti ad anni di surplus fiscale e commerciale accumulati nel periodo d’oro dell’industria tedesca, potrà permettersi di versare denaro contante alle sue imprese, pagando loro i costi fissi. Alla fine, gli imprenditori tedeschi avranno potuto contare su un partner occulto, il governo di Berlino, che inietterà decine di miliardi di euro. Una politica che l’Italia potrebbe fare sì per legge, ma che non può realizzare nel concreto per il semplice fatto che non dispone delle ingenti risorse da bilancio pubblico delle quali può disporre, invece, Berlino.

Facendo due conti sul retro di una busta, se Germania e Italia pagassero 10.000 euro di costi fissi a 5 milioni di piccole imprese, la manovra costerebbe 50 miliardi di euro, ovvero pochi punti percentuali di deficit per Berlino, ma l’equivalente di due manovre finanziarie per Roma. Con la differenza che Berlino ha un rapporto debito/Pil pari a neanche la metà di quello italiano. Ecco che allora, alla fine del processo, la Germania uscirà dalla crisi con un sistema imprenditoriale completamente ricapitalizzato dallo Stato, mente l’Italia con uno cosparso di fallimenti e chiusure.

Eppure, non è certamente la Germania da biasimare, anzi. Se le trattative per la modifica del Temporary Framework, utile alla Germania, non hanno avuto ostacoli e quelle sul fondo europeo di ricostruzione, utile all’Italia, sì, non è certamente per colpa del governo di Berlino.

Angela Merkel, al contrario, ha esortato diverse volte sia i Paesi “frugali”, da sempre riottosi a mettere in comune le risorse in Europa, sia il gruppo di Visegrad, che sulle questioni dei diritti democratici ha ancora parecchia strada da fare, a rinunciare in parte alle loro posizioni e a fare un passo indietro. Ha anche invitato il Parlamento europeo a non chiedere ancora più soldi di quanti proposti dal Consiglio, a presidenza tedesca. Ma niente, ognuno sembra voler fare orecchie da mercante e procedere dritto con le proprie richieste. Che non saranno esaudite, con la certezza di rimandare sine die l’accordo sul Recovery Fund.

Recovery Fund che rischia, tra le altre cose, di essere affossato anche per via degli egoismi nazionali dei singoli Stati membri. A quelli già noti dei Paesi “frugali” si sono aggiunti ora anche quelli di Spagna e Portogallo, i quali governi hanno dichiarato a chiare lettere, nei giorni scorsi, che non intendono ricorrere ai prestiti (loans) del Recovery Fund e del MES. Tanto da non averli inseriti nemmeno come fonte di finanziamento dei loro Draft Budgetary Plan inviati a Bruxelles, a differenza dell’Italia che, invece, ha scritto nella sua bozza di manovra, di volere utilizzare tutti (?) quelli del Recovery Fund (ma non quelli del MES).

Troppo alto il costo politico da pagare per Pedro Sanchez e Antonio Costa, con la certezza di un aumento certo dei loro già elevati debiti pubblici, in caso di ricorso ai prestiti europei. Meglio contare, secondo la loro posizione, solamente sul finanziamento interno, da effettuare esclusivamente tramite titoli di Stato, sfruttando il minimo storico offerto dai loro rendimenti. Senza ricordare, però, che quei bassi rendimenti sono solo l’effetto delle politiche monetarie espansive intraprese dalla BCE, e senza riconoscere (come onestà vorrebbe) che comportandosi in questo modo, si ricatta l’istituto di Francoforte, obbligandolo a farsi carico di tutti i costi della crisi e togliendo così ai governi nazionali qualsiasi responsabilità e oculatezza nell’utilizzo delle risorse.

E qui torniamo al monito di Christine Lagarde, che già fu di Mario Draghi, più volte espresso di recente: politica monetaria (con relativa emissione di liquidità) e politica di bilancio devono essere considerate due facce della stessa medaglia. La prima, da sola, non è sufficiente ad arrivare e, quindi, impattare sull’economia reale.

In altri termini, non è possibile delegare alla sola politica monetaria la crescita e, più nello specifico, la ricostruzione della disastrata economia dell’Unione.

I paesi che la pensano in questo modo, e tra questi temiamo che ci sia anche l’Italia, realizzano soltanto un gigantesco azzardo morale, inteso come “comportamento opportunistico post-contrattuale”. Insomma, fanno i furbi o barano al gioco. Quegli stessi paesi che, dopo aver approvato la strategia del Next Generation EU Fund, stanno facendo ora marcia indietro, pensando di ricorrere solo ai grants, vale a dire alle risorse a fondo perduto messe loro a disposizione dai paesi “ricchi” e, nel contempo, diciamocelo con chiarezza, obbligando la Banca centrale europea a continuare ad emettere moneta, visto che gli stessi paesi miopi ed egoisti (a questo punto quelli del Sud Europa) non vogliono attingere con pienezza alle risorse del Next Generation EU Fund per fare le riforme necessarie, a beneficio di tutto il Vecchio Continente.

Ecco, questo azzardo morale, di tutti contro tutti, non è accettabile. Così salta l’intera strategia europea, e a questo punto come dar torto alla Germania, che punta sulla sua forza interna in termini di ristrutturazione e di recovery, mandando in malora tanto le formiche egoiste del Nord, quanto le furbe cicale del Sud, per non parlare dei sovranisti autoritari dell’Est? La Germania, quindi, sarà la sola ad uscire bene dalla crisi, “più forte e più splendente che pria”. E tutti gli altri satelliti, noi compresi, a leccarsi le ferite, politiche ed economiche, e a recriminare su una grande occasione sprecata. Siamo ancora in tempo per evitare il disastro. Si torni al “momento Hamilton” della solidarietà e della responsabilità. Nel pieno della seconda ondata pandemica, servono statisti, capaci di guardare lontano. Astenersi furbi e perditempo.