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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): “GAME OVER. SUL MES IL GIOCO DEI RINVII È FINITO – All’Eurogruppo di lunedì l’attesa riforma. È il tempo della decisione per l’Italia, senza inutili pregiudiziali ideologiche”

 

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Game over. Il gioco dei rinvii e delle inutili pregiudiziali ideologiche è finito. È arrivato il tempo della decisione per il nostro Paese. Infatti, nella riunione dell’Eurogruppo di lunedì 30 novembre, i ministri delle finanze dei paesi membri dell’eurozona dovranno esprimersi sulla tanto attesa riforma del trattato MES, il fondo cosiddetto “Salva Stati”, diventato famoso in questa crisi per via della sua linea di credito pandemica creata e messa a disposizione degli Stati per finanziare le loro spese sanitarie dirette ed indirette da pandemia. Il tema sarà poi discusso dai capi di Stato e di Governo nel prossimo Consiglio Europeo del 10-11 dicembre, e il nuovo trattato firmato dai governi a gennaio 2021. Per completare il processo di riforma occorrerà attendere le ratifiche nazionali, che dovrebbero concludersi entro la fine del 2021.

La riforma del MES è attesa da anni. Il MES è stato messo in piedi in fretta e furia dall’Europa nel 2012 con l’intento di arginare la crisi dei debiti sovrani nata per effetto della Grande Recessione del 2008 che ha portato stati come la Grecia ad un passo dal default.

Il MES è un trattato intergovernativo tra i Paesi dell’Eurozona che ha l’obiettivo di stabilizzare la zona Euro in periodi di turbolenza dei mercati, fornendo assistenza finanziaria agli Stati con problemi di accesso ai mercati finanziari. L’assistenza viene fornita attraverso (i) l’erogazione di prestiti a tassi di interesse agevolati, (ii) il sostegno all’emissione di titoli di Stato, e (iii) la ricapitalizzazione diretta di istituti di credito di importanza sistemica. A qualsiasi piano di assistenza finanziaria concesso dal MES è associata una rigorosa condizionalità, più severa dell’ammissibilità all’Eurozona.

Il meccanismo di intervento è pensato per mantenere il rischio finanziario all’interno dei singoli Stati membri, esattamente come nel caso del piano di acquisiti di titoli di Stato della BCE (Quantitative Easing), che non prevede la condivisione di ipotetiche perdite tra le banche centrali dell’Eurosistema.

La riforma del MES serve a prevenire l’effetto contagio tra i vari paesi dell’Eurozona, assicurando di ridurre al minimo il rischio aggregato per l’area dell’Euro nel suo complesso, rischio dovuto alle debolezze macroeconomiche e finanziarie degli Stati membri che si trovano in difficoltà.

Il nuovo MES, questa è la più importante novità, non si limiterebbe ad intervenire soltanto per il salvataggio degli Stati ma anche nei casi di crisi del sistema bancario, creando, attraverso un “backstop”, una cintura di sicurezza attorno alle banche dell’Eurozona, facendo da supporto comune al Fondo unico di risoluzione, finanziato privatamente dagli istituti di credito privati, che si attiva dopo l’innesco del bail-in degli istituti in risoluzione, scaricando gli oneri di salvataggio sui risparmiatori privati.

Per quanto riguarda il rapporto tra MES e Stati sovrani, invece, la riforma rafforza la rilevanza della sostenibilità delle finanze del debitore. In pratica, il nuovo MES potrà intervenire attraverso due distinte linee di credito. La linea di credito condizionale precauzionale, limitata ai Paesi in grado di soddisfare una serie di criteri che, a differenza di quanto previsto dal regime vigente, vengono individuati in dettaglio. Per i Paesi “ammissibili”, la condizionalità si tradurrebbe nella necessità di firmare una lettera di intenti con la quale essi si impegnerebbero a continuare a soddisfare tali criteri, il cui rispetto dovrebbe essere valutato almeno ogni sei mesi. Alla Commissione europea sarebbe affidato il compito di valutare se le intenzioni politiche contenute nella lettera di intenti sono pienamente coerenti con il diritto dell’UE.

Per accedere alla linea di credito a “condizionalità semplificata”, lo Stato richiedente dovrebbe, tra le altre cose, non essere soggetto alla procedura per disavanzi eccessivi e rispettare i seguenti parametri quantitativi di bilancio nei due anni precedenti alla richiesta di assistenza finanziaria: un disavanzo inferiore al 3% del PIL; un saldo di bilancio strutturale pari o superiore al valore di riferimento minimo specifico per Paese; un rapporto debito/PIL inferiore al 60% del PIL o una riduzione di questo rapporto di 1/20 all’anno.

La linea di credito soggetta a condizioni rafforzate, invece, sarebbe aperta ai membri del MES che non possono accedere alla linea semplificata a causa della non conformità rispetto ai suddetti criteri di ammissibilità, purché la loro situazione economica e finanziaria rimanga comunque forte e presenti un debito pubblico considerato sostenibile.

Per tali Paesi, l’accesso alla ECCL e agli altri strumenti di sostegno si tradurrebbe nella necessità di firmare un protocollo d’intesa (memorandum of understanding). Nel caso in cui un Paese membro chiedesse la concessione di un sostegno diverso dalla PCCL, il Consiglio dei governatori dovrebbe incaricare il direttore generale del MES e la Commissione europea, di concerto con la BCE, di negoziare con il membro interessato (insieme e ove possibile anche con il FMI) un protocollo d’intesa che precisi le condizioni cui è associata la concessione dello strumento di sostegno, rispecchiando la gravità delle carenze da colmare.

L’altra principale novità della riforma è il passaggio dalle clausole di azione collettiva a due livelli a quelle a singolo livello, con l’obiettivo di rendere più ordinata e prevedibile la ristrutturazione dei debiti sovrani, finora un processo molto delicato. E questo è forse il punto più caldo politicamente, perché potrebbe riguardare proprio l’Italia. L’introduzione della clausola di azione collettiva a un solo livello, infatti, aprirebbe la porta a ristrutturazioni del debito (cioè default) pilotati, rischiando di allontanare gli investitori. Ma la sola idea che un grande Paese come l’Italia non escluda di poter andare in default rischia di aumentare l’instabilità finanziaria piuttosto che ridurla.

La riforma del trattato MES, è bene ricordarlo, è iniziata in una fase storica dell’Europa antecedente questa pandemia che, neanche a dirlo, ha completamente cambiato tutto. Con questa crisi, l’Europa si è dotata, ad esempio, di strumenti finanziari come il Next Generation UE Fund che prima non aveva. Anche la Banca Centrale Europea ha modificato la sua strategia di intervento. Di conseguenza, anche la riforma del MES andrebbe contestualizzata alla luce della nuova Europa e se riforma deve essere, questa dovrebbe essere inserita all’interno di un “package approach” europeo con il quale si ridisegni la nuova Europa 2.0, attraverso una seria modifica dei processi decisionali delle istituzioni europee e dei meccanismi di trasferimento delle risorse finanziarie tra i Paesi membri, in un’ottica federale.

Durante la crisi, si è anche parlato molto dell’utilizzo della linea pandemica messa a disposizione dall’istituzione del Lussemburgo, che per l’Italia ammonterebbe a ben 37 miliardi di euro. Ma non è su questa linea di credito, che l’Italia finora ha deciso purtroppo di non sfruttare, che i ministri si dovranno esprimere lunedì prossimo. La questione è ben più importante e riguarda, come dicevamo, la funzione del MES come meccanismo di backstop per la risoluzione delle crisi bancarie. Crisi che quasi sicuramente riemergeranno alla fine della pandemia, quando gli istituti di credito si ritroveranno nei loro bilanci un quantitativo enorme di nuovi crediti inesigibili (i famosi “NPLs”), che sono poi quelli non pagati dalle milioni di imprese fallite o che, per via del credit crunch e della assenza di liquidità, non sono in grado di ripagarli. Un fenomeno che potrebbe valere qualcosa come circa 1,5 trilioni di euro, secondo le recenti stime della Banca Centrale Europea.

Contro questo rischio, è bene che la riforma del MES venga portata a compimento al più presto.

Chiariamoci bene, una volta per tutte, in maniera da tranquillizzare anche i più strenui antagonisti della riforma, i sovranisti di casa nostra: riformare il trattato MES non è sinonimo di accedere automaticamente alle sue linee di credito rafforzate. La possibilità che ciò avvenga per l’Italia, da questo punto di vista, è molto remota. Eppure, è dovere dell’Italia partecipare a questa riforma epocale.

Dotare l’Europa di una rete di protezione per il complessivo sistema bancario dell’Unione è un segnale fondamentale da dare a milioni di risparmiatori e ai mercati finanziari.

Per questo motivo, sarà bene che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri esprima, già dal prossimo lunedì, una posizione chiara e univoca su questa riforma, e che il premier Giuseppe Conte ne confermi la posizione al prossimo Consiglio Europeo del 10-11 dicembre, perché essa rappresenta uno dei pilastri fondamentali per la ricostruzione dell’Europa post-pandemia. Game over. Il gioco dei rinvii e delle inutili pregiudiziali ideologiche è finito. È arrivato il tempo della decisione per il nostro Paese.