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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): “NON POSSIAMO PIÙ PERMETTERCI UN’EUROPA INCOMPIUTA – Ripartire da Next Generation Eu, Conferenza sul futuro dell’Europa e modello Ursula. “Non c’è tempo da perdere”

 

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Non c’è più tempo da perdere, non possiamo più permetterci un’Europa incompiuta. Serve una nuova fase costituente, che indirizzi la Nuova Europa, formatasi dopo lo storico Consiglio dello scorso 10-11 dicembre, sulla necessaria visione federale e comunitaria sognata dai Padri fondatori, in opposizione alle regressioni nazionaliste e sovraniste ancora presenti nel Vecchio Continente, e all’anacronistica idea del rilancio del fallimentare modello intergovernativo che i sovranisti di casa nostra continuano ad avanzare.

Purtroppo, l’inizio della Conferenza sul futuro dell’Europa, che avrebbe dovuto segnare il cambio di passo in tal senso, in origine previsto per la prima metà del 2020, è stato rinviato sine die dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Tuttavia, la grave crisi sanitaria e le sfide che l’UE sta tuttora affrontando, hanno reso ancor più evidente l’urgenza di iniziare un processo di riflessione costituzionale, “tout azimut”, che consenta all’Unione di avviare a soluzione le disfunzioni alla base del suo sistema di governance, da riformare una volta per tutte.

Dopo aver superato lo scoglio dell’incremento del proprio bilancio pluriennale, collegato al Next Generation EU, ci attendiamo ora, come scrive giustamente Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo – Italia, che il Parlamento europeo ”(im)ponga” nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa il tema della trasformazione dell’Unione europea da una comunità sui generis, in uno stato di diritto, aprendo la strada verso un processo costituente di una Comunità federale”. In maniera da completare, finalmente, diciamo noi, le quattro unioni ancora colpevolmente incomplete dell’Europa (la bancaria, la fiscale, l’economica e la politica), affinché il Vecchio Continente, lasciato definitivamente da parte lo spirito egemonico ed egoistico dell’asse franco-tedesco e dell’infausta passeggiata di Deauville (ottobre 2010) con la conseguente divisione della UE in insopportabili dualismi (frugali contro spendaccioni, formiche contro cicale, virtuosi e viziosi, protestanti e cattolici, Nord e Sud, l’Europa di chi fa i compiti a casa e chi no, del “sangue, sudore e lacrime”, del “debito come colpa”, ecc.), il Vecchio Continente, dicevamo, possa dotarsi di quella struttura decisionale in grado di farlo competere con successo nell’economia e nella società della globalizzazione.

L’idea di avviare una Conferenza sul Futuro dell’UE non è nuova, perché risale almeno al marzo 2019, quando il Presidente francese Emmanuel Macron – in una lettera aperta scritta in tutte le lingue ufficiali dell’UE – si rivolse ai cittadini dell’Unione proponendo un nuovo Rinascimento per il Vecchio Continente, tramite una “Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati”. Un’idea assolutamente condivisibile e corretta, che ci sentiamo di sposare in pieno, soprattutto oggi, dopo la prova estrema della pandemia ancora in corso. Ricordiamo anche che, su mandato dei capi di Stato o di governo della zona euro, riuniti nell’Eurosummit del 24 ottobre 2014, l’allora Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker – in stretta collaborazione con il Presidente dell’Eurosummit (Donald Tusk), il Presidente dell’Eurogruppo (Jerome Dijsselbloem), il Presidente della Banca centrale europea (Mario Draghi) e il Presidente del Parlamento europeo (Martin Schultz) – aveva predisposto un Rapporto sul completamento dell’Unione economica e monetaria. Il Rapporto, reso pubblico il 22 giugno 2015 e noto come “Rapporto dei 5 presidenti”, si concentrava sulle modalità di approfondimento dell’UEM nell’ambito della zona euro, pur riconoscendo che tale processo avrebbe dovuto preservare l’integrità del mercato unico in tutti i suoi aspetti. Il documento indicava i progressi che occorreva realizzare su quattro fronti (l’Unione economica, l’Unione finanziaria, l’Unione di bilancio e l’Unione politica) e illustrava la relativa roadmap suddivisa in tre fasi, da concludersi entro il 2025.

Queste iniziative sono state ritardate dal rinvio della Brexit, dal 27 marzo 2019 inizialmente previsto al 31 gennaio 2020. In ogni caso, la proposta di istituire una Conferenza sul Futuro dell’Europa venne rapidamente sostenuta dalle figure di vertice del nuovo ciclo istituzionale dell’UE, Von der Leyen in testa. Poi, non se ne è più parlato.

Che fine ha fatto ora quella Conferenza, che rappresenta, a ben vedere, il parallelo strategico e più intrinsecamente politico del Next Generation EU, appena approvato, e che come mandato potrebbe avere proprio la piena attuazione di quel famoso Rapporto dei 5 presidenti? Nel 2020, come risposta alla pandemia, l’Europa ha fatto un enorme sforzo verso una maggiore integrazione e mutualizzazione delle risorse e del debito, così da rendere la Banca Centrale Europea il prestatore di ultima istanza, sul modello degli Stati Uniti d’America; l’Europa ha sospeso, inoltre, le troppo rigide regole sulle finanze pubbliche del Patto di Stabilità e Crescita, tornando di fatto a Maastricht e all’idea di Guido Carli degli “andamenti tendenziali” piuttosto che dei “parametri numerici”. Così facendo l’Unione, in ragione dell’emergenza, ha quindi rotto storici tabù sulla mutualizzazione del debito, aprendo così una nuova fase. E’ stato chiamato, non senza involontaria retorica, “momento Hamilton”, dal nome del primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti che, alla fine della Prima guerra d’indipendenza, mutualizzò i debiti dei singoli Stati americani, costruendo così il più grande collante per la loro unione, o più semplicemente “momento Merkel”, per la straordinaria capacità della cancelliera tedesca di interpretare l’attuale fase storica, consistente nell’assorbimento della più grande crisi mai vista dal Dopoguerra nel Vecchio Continente, unitamente al rilancio dell’intera economia continentale.

Molte decisioni importanti sono già state prese, ivi comprese quelle su Ungheria e Polonia per quanto riguarda la questione dello stato di diritto, della libertà di stampa e della giustizia ancora in discussione in alcuni Stati europei, nonostante su questi riconoscimenti nemmeno l’Eurosummit del 10 dicembre sia riuscito ad arrivare a conclusioni definitive. Decisioni tutte, in ogni caso, da collocare in un necessario alveo strategico di rilancio dell’Unione per un nuovo soft power, anche alla luce della faticosa Brexit appena formalizzata. In altre parole, non basta il Next Generation EU in positivo, e non basta lo shock della Brexit: occorre una nuova spinta propulsiva che non può che essere data, appunto, da una nuova Conferenza costituente sul futuro del nostro Continente.

Anche se l’anno che verrà si prospetta, purtroppo, come un anno fragile e pieno di incertezze macroeconomiche, considerando che, per effetto del secondo lockdown, anche il quarto trimestre del 2020 farà segnare una decrescita del Pil, il quale potrebbe toccare un calo annuale di circa il -9,0%, con effetti di trascinamento negativo anche sul Pil del 2021 e con conseguente aumento del rapporto debito/Pil, come ipotizzato di recente dal nostro Ufficio parlamentare di bilancio nel suo Rapporto sulla politica di bilancio 2021. Altro che discesa sistematica del nostro debito sotto la soglia del 160,0% del Pil. Il rischio è quello che, dopo una probabile discesa nel corso del 2021, dal 2022, il nostro rapporto debito/Pil riprenda a salire. Anche la Banca d’Italia ha rivisto al ribasso le sue stime di crescita per il 2020 e 2021, spiegando come il rimbalzo atteso per l’anno prossimo si limiterà soltanto ad un insufficiente +4,0%. L’agenzia di rating Fitch ipotizza un calo superiore, pari al -9,1% nel 2020. Insomma, difficile poter prevedere un rimbalzo significativo della nostra economia l’anno prossimo, in un contesto europeo fatto di poche luci e molte ombre.

A questo generalizzato quadro di forte incertezza macroeconomica, bisogna aggiungere il rischio di un’uscita asimmetrica dalla crisi delle varie economie del Continente, e un probabile ripristino delle regole comunitarie sulla finanza pubblica e sulla normativa relativa agli aiuti di Stato, ovvero della cessazione del Temporary Framework della Commissione Europea a partire dal prossimo giugno e del ritorno in campo del Patto di Stabilità e Crescita, con i suoi “annessi e connessi” (Two Pack, Six Pack, Fiscal Compact) che erano stati sospesi, come abbiamo visto, a causa della crisi da pandemia. Su questo punto, siamo sicuri che vedremo un nuovo scontro acceso tra Paesi del Nord, che usciranno prima e meglio dalla crisi, e quelli del Sud (il famoso “Club Med”) che sconteranno una più forte recessione economica, accompagnata da un più forte aumento del debito pubblico. I primi spingeranno per ripristinare le regole del gioco, i secondi per continuare a mantenerle sospese. Difficile prevedere quale sarà l’esito dello scontro, ma una cosa sembra scontata: le regole di finanza pubblica dovranno, in ogni caso, essere ripristinate (auspicabilmente in forma più intelligente). In caso contrario, saranno i mercati finanziari a punire l’aumento del debito provocato dalla crisi con un maxi sell off di titoli sovrani.

Al problema della crisi economica si affiancherà poi quello di una nuova, possibile crisi del sistema bancario del Vecchio Continente. Crisi purtroppo oggi sottostimata e della quale non si parla abbastanza, ma in realtà molto probabile, se si considera che, secondo gli ultimi dati forniti dall’Autorità di vigilanza bancaria della Banca centrale europea, l’ammontare totale degli NPL presenti nelle banche dell’eurozona ammonterebbe alla cifra “monstre” di 1.400 miliardi di euro, per la maggior parte non contabilizzati correttamente a bilancio. Gli NPL (Non Performing Loans), lo ricordiamo, sono i crediti inesigibili presenti nei portafogli degli istituti di credito non più riscuotibili, perché i debitori, nel frattempo, sono falliti o si trovano nell’impossibilità di ripagarli, causa crisi di liquidità. L’Italia, neanche a dirlo, è uno degli Stati membri, assieme a Grecia e Portogallo, che detiene il rapporto più alto degli NPL in rapporto al Pil (6,8% nella prima parte del 2020, ma in aumento dopo la crisi da pandemia). Le stime per l’Italia sono di un aumento tra i 60 e i 100 miliardi di nuovi NPL solo per effetto della crisi. Intendiamoci, non che gli altri Paesi siano esenti da problemi, con il caso Deutsche Bank piena zeppa di strumenti derivati a creare preoccupazioni tra i regolatori europei. Ma l’Italia, sul tema di NPL ha per anni fatto finta di niente, nascondendo la polvere sotto il tappeto, che è il peggior modo per affrontare la realtà. Quando ci sono dei problemi nei bilanci bancari, occorre farli subito emergere alla luce del sole e trovare un modo (risorse) per fronteggiarli, anziché appellarsi alla teoria “dello stigma”, vale a dire l’idea che l’autodichiararsi in una situazione di difficoltà comporti automaticamente un giudizio negativo dei mercati finanziari, piuttosto che, all’opposto, un riconoscimento di correttezza da parte di questi, meritevole di aiuto.

Senza dimenticare il pericolo sempre concreto del “doom loop” tra titoli sovrani iscritti a Bilancio e valore azionario delle banche, dovuto al rischio default che gli Stati a basso rating registrano. O, ancora, delle problematiche che nasceranno in Italia per via delle nuove regole europee sulla classificazione degli NPL, la nuova definizione di “default” e sul “calendaring provisioning” a partire dal 1 gennaio 2021. Un problema enorme, che capita in un momento estremamente difficile: potremmo dire con un amaro sorriso “piove sul bagnato”, ma che per troppo tempo non si è voluto affrontare con soluzioni pubbliche o di mercato (o entrambe).

A fronte di questi rischi, quali strumenti hanno a disposizione le istituzioni comunitarie nel difficile anno 2021? In verità, molto pochi. Perché, l’anno che verrà, sarà tutto dedicato al processo di ratifica della riforma del Trattato MES, come approvato dall’ultimo Consiglio europeo del 10-11 dicembre. Come sappiamo, però, il nuovo MES riformato entrerà in vigore soltanto dall’inizio del 2022, con il nuovo meccanismo di common backstop sul Fondo di Risoluzione dei depositi, lasciando così completamente scoperto l’anno che abbiamo davanti. Anno che, come abbiamo detto, potrebbe essere proprio l’anno orribile delle banche europee, tanto quelle del Nord che quelle del Sud, in una logica di potenziale crisi ad effetto domino. Troppo poco, dunque. Troppo tardi, il nuovo MES. E troppo pericoloso affrontare un anno cruciale come il 2021 con le sole ratifiche. Anzi, proprio i dibattiti parlamentari sulle ratifiche potrebbero innescare pericolose reazioni a catena, con l’intrecciarsi delle stesse con i tanti cicli politico-elettorali.

Per questo, sarebbe opportuno lanciare l’idea di una linea di credito emergenziale all’interno del MES, creata ad hoc per intervenire in caso di crisi degli istituti di credito dell’Eurozona, sul modello della linea di credito rafforzata, istituita proprio in sede MES, lo scorso maggio, per far fronte alle spese sanitarie dirette ed indirette da pandemia, sfruttando l’articolo 136 del TFUE.

Occorre che di questo si discuta al più presto, però, prima del 27 gennaio, quando i ministri degli Esteri dell’Eurozona daranno mandato al Coreper (Comitato dei Rappresentanti Permanenti dei 19) di avviare il processo di ratifica del nuovo trattato da parte dei parlamenti nazionali. Prima di allora, sarebbe auspicabile che il governo italiano, alla prossima riunione utile dell’Eurogruppo (18 gennaio), fosse in grado di presentare una proposta concreta per mettere in sicurezza nel 2021 le banche del Vecchio Continente. Mancano solo pochi giorni. Sarebbe il caso che il ministro Gualtieri ci riflettesse in fretta.

Proprio per questo scenario, occorre puntare, lo ripetiamo ancora, sul rilancio, da subito, della Conferenza sul futuro dell’Europa, che, come abbiamo evidenziato all’inizio di questa nostra riflessione, pensiamo valga molto di più dei 2 milioni di euro stanziati dal nostro Governo nell’ultima Legge di Bilancio per l’organizzazione della stessa.

Next Generation EU e Conferenza sul futuro dell’Europa rappresentano le due facce della stessa medaglia del necessario momento costituente della Nuova Europa. L’obiettivo è sempre quello di rafforzare e velocizzare il processo di integrazione avviato nell’Eurosummit del 10-11 dicembre. Per creare un’Europa federale, con risorse finalmente mutuate, anche oltre la “gobba della crisi”; un’Europa del tutto opposta alla retrograda e anacronistica, oltre che inverosimile e pericolosa, idea di Unione solo “intergovernativa” lanciata di recente dai sovranisti di casa nostra. A ben vedere, la nuova chiave della collocazione delle grandi famiglie politiche europee non potrà non consistere che in un semplice “o di qua o di là”: o sovranisti, e quindi intergovernativi allo stato puro, impotenti rispetto alle nuove sfide economiche e politiche; oppure federalisti e comunitari, in grado di governare la complessità politica, economica e finanziaria che ci aspetta.

Con una nuova riaggregazione delle vecchie categorie storico-politiche: liberali, popolari e socialisti da una parte, e destre, più o meno estreme e sovraniste, dall’altra. O di qua o di là, appunto. Con sinistra e destra che a livello politico, dopo il 10-11 dicembre 2020, assumono un significato completamente nuovo. D’altra parte, il modello “Ursula” e la grande coalizione tedesca sono due esempi che anticipano i tempi e forniscono un nuovo paradigma per il governo dell’Europa. Chi sta con l’Europa e chi è contro, chi sta con l’Europa federale, comunitaria e solidale e chi sta (con più o meno ipocrisia) contro questo modello culturale e valoriale. Prima ne prendiamo atto, meglio sarà. Non possiamo permetterci più di rincorrere il passato e arrivare in ritardo con gli appuntamenti del nostro futuro.