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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): “PERCHÉ IL PIANO “CIAO 2030” È IRRICEVIBILE IN UE, FUORI TEMPO E FUORI LUOGO – Per valutare il documento di Renzi bisogna conoscere le regole del gioco. Stiamo parlando di 209 miliardi. E se smettessimo di giocare col fuoco?”

 

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E se la smettessimo di scherzare col fuoco? Per ottenere i 209 miliardi di fondi del Next Generation Eu destinati dalla UE all’Italia, suddivisi tra sussidi (grants) e prestiti (loans), ormai lo sappiamo tutti, il Governo italiano è tenuto a presentare a Bruxelles il famoso Piano Nazionale di Resilienza e Riforma (PNRR), entro il termine del 30 aprile 2021. Questo piano è diventato nelle ultime settimane il terreno di scontro (reale o metaforico) tra il partito Italia Viva e il resto della maggioranza di Governo, con Matteo Renzi, leader di IV, che ha accusato apertamente, tra le altre cose, il premier Giuseppe Conte di non aver presentato un PNRR all’altezza delle sfide che attendono l’Italia nei prossimi anni, e che quindi tale piano è tutto da rifare. Per rendere la sua posizione più convincente, ha quindi presentato un proprio controdocumento programmatico che elenca le priorità strategiche secondo Italia Viva, prendendo come modello di riferimento, tra l’altro, il piano “France Relance”, presentato lo scorso autunno dal presidente francese Emmanuel Macron, e sostenendo che quello è il modo giusto di presentare la strategia nazionale italiana all’Europa.

A prescindere da considerazioni strettamente politiche, e lasciando per il momento da parte lo scontro tra Renzi e Conte, che francamente non ci appassiona in questo momento, tentiamo di capire le regole del gioco e cioè come va presentato il PNRR a Bruxelles.

In attesa che i legislatori europei (Consiglio e Parlamento) approvino definitivamente il nuovo Regolamento sul NGEU, la cosa più importante da considerare è che tutti gli Stati membri che presenteranno i loro piani nazionali alla Commissione lo devono fare secondo obiettivi e modalità di presentazione rigidamente prestabiliti da Bruxelles. Questi piani sono caratterizzati da elementi di forte formalismo e condizionalità (assolutamente condivisibili e necessari all’interno della complessità degli interessi nazionali). In sintesi, gli spazi decisionali a disposizione degli esecutivi nazionali (con la sponda dei relativi parlamenti) non sono così ampi come si potrebbe pensare.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, sugli obiettivi strategici di lungo periodo, non c’è niente di nuovo da inventare. Questi sono già stati selezionati a livello comunitario nel Piano Strategico Annuale, che vede le “transizioni digitali e green” come driver principali della crescita europea per il prossimo decennio: questi sono obiettivi semplicemente non negoziabili. L’Italia, nel suo PNRR, deve quindi limitarsi a spiegare come intende raggiungerli. Ci sono poi le condizionalità imposte dalle “Raccomandazioni Paese” inviate all’Italia negli ultimi due anni, ovvero un elenco di riforme strutturali da attuare (ampiamente disattese dal nostro Paese) che rappresentano condizioni necessarie (anche se non sufficienti) per ottenere le risorse del NGUE.

La lista delle condizionalità da seguire passa poi per il rigido impianto sul quale sono state emanate le Linee guida comunitarie per la presentazione delle “schede progetto”, pubblicate sul sito della Commissione lo scorso 17 settembre. Decine di pagine dove Bruxelles ha spiegato alle burocrazie nazionali, nei minimi dettagli, con tanto di terminologia e schemi vari, come il PNRR deve essere scritto. Come definire gli obiettivi, le riforme, gli investimenti, il monitoraggio, le tempistiche, le azioni correttive.

Anche la ripartizione delle risorse è già stata prestabilita. L’intesa raggiunta nel Consiglio europeo del 21 luglio scorso ha, infatti, modulato le allocazioni complessivamente previste a livello europeo per i 3 pilastri di intervento.

Il “Primo pilastro” è volto ad aiutare gli Stati membri a recuperare il terreno perso a causa dalla crisi economica e sociale generata dall’emergenza Covid-19, tramite i seguenti programmi: Recovery and Resilience Facility (RRF) – dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza (672,5 miliardi di cui 312,5 sussidi e 360 prestiti); REACT-EU – dispositivo finalizzato all’assistenza alla ripresa e alla resilienza per la coesione dei territori d’Europa (47,5 miliardi di sussidi); Rural development – dispositivo per i programmi di sviluppo rurale rafforzato (7,5 miliardi di sussidi); Just transition fund– dispositivo finalizzato al sostegno per una transizione giusta (10 miliardi di sussidi).

Il “Secondo pilastro” punta a rilanciare l’economia degli Stati membri e a sostenere gli investimenti privati con il programma InvestEU rafforzato (5,6 miliardi di sussidi).

Il “Terzo pilastro” stabilisce che gli Stati membri favoriscano interventi funzionali a contrastare l’insorgenza e la gestione delle crisi sanitarie, tramite i programmi: RescEU rafforzato (1,9 miliardi di sussidi); Horizon Europe che comprende i programmi rafforzati per la ricerca, l’innovazione e l’azione esterna (5 miliardi di sussidi). Gran parte delle risorse del programma NGEU sono assorbite dal dispositivo RRF (circa 90%). Una bella gabbia, quali-quantitativa da cui sembra molto difficile fuggire.

Riguardo alla struttura, la Commissione ha dettagliato tutte le sezioni che il Piano, redatto dallo Stato membro, debba contenere, specificandone i relativi contenuti. Innanzitutto, il Piano è preceduto da un Executive Summary, che ne descrive le caratteristiche salienti. L’Executive Summary, a sua volta, è suddiviso in sotto-sezioni.

Ad esempio, la sotto-sezione 1.1 contiene le considerazioni e gli elementi informativi che motivano le scelte operate nel Piano, inclusi i dati statistici, le valutazioni di impatto economico, l’effetto atteso su specifici gruppi di popolazione a cui le misure sono rivolte. Inoltre, bisognerà fare riferimento ai quattro obiettivi individuati per il programma che consistono nel: promuovere la coesione economica, sociale e territoriale (Promoting the Union’s economic, social and territorial cohesion); rafforzare la resilienza economica e sociale (Strengthening economic and social resilience ); mitigare l’impatto sociale ed economico della crisi (Mitigating the social and economic impact of the crisis); incentivare la transizione verde e digitale (Supporting the green and digital transitions). E qui ci fermiamo.

Ma non è finita, perché rispetto a tali obiettivi, gli esecutivi nazionali devono indicare gli aspetti di criticità che stanno affrontando e le misure che stanno mettendo in campo per farvi fronte, oltre che le modalità con cui il Piano contribuirà a rafforzarle. Ogni riferimento alle difficoltà e alle misure intraprese, per ognuno degli obiettivi, dovrà essere corredata da una dettagliata descrizione fattuale del contesto e da una puntuale valutazione d’impatto delle misure già pianificate e, quindi, anche dell’impatto addizionale derivante dalla realizzazione del Piano.

La sotto-sezione 1.2 (Flagship initiatives), ovvero la parte finale dell’Executive Summary, deve fornire informazioni riguardo alle specifiche componenti del Piano che contribuiranno alle sette priorità indicate dalla Comunicazione della Commissione europea sulla Strategia annuale sulla crescita sostenibile per il 2021. E così via. Non ne possiamo più neanche noi.

Quanto ad un altro tema delicato, quello della governance, il Governo dovrà prendere decisioni su come garantire tempi certi e rapidi di approvazione dei progetti presentati, uno degli elementi di valutazione del PNRR da parte della Commissione. E’ utile la creazione di poteri sostitutivi? O di un organismo di compensazione tra le varie amministrazioni interessate alla fase esecutiva? E’ utile il silenzio-assenso sulle procedure autorizzative a meno di parere motivato? Anche su queste domande l’Europa attende risposte.

È evidente che, davanti ad un impianto così rigido, estremamente complesso e predefinito, al quale il Governo italiano si sta adattando da mesi, non senza difficoltà e qualche resistenza, appare molto discutibile e strumentale, da parte di una componente della maggioranza, la presentazione di un controdocumento analitico che ha sì caratteristiche politiche e comunicazionali, ma che non può rappresentare affatto una alternativa strategica al PNRR, redatto già in decine di schede progetto dal Governo e già discusso ampiamente informalmente, sempre dal Governo, con le autorità di Bruxelles. Certamente, si può opinare nel merito dei singoli progetti, sulla necessità di aggiungerne o toglierne, ma la questione incontestabile è che un programma come quello presentato da Italia Viva, certamente brillante, pieno di idee intelligenti e condivisibili, sarebbe però dichiarato irricevibile dall’Europa, perché del tutto disallineato, come dicevamo, con la rigidità degli obiettivi e dei criteri di presentazione che Bruxelles ha imposto.

Mettiamoci l’animo in pace, le scelte politiche strutturali sono state già fatte dall’Europa, ed è cosa buona e giusta. Agli Stati tocca ora solo il compito di tradurre tali scelte in progetti coerenti. D’altronde, anche il piano “France Relance” di Macron era stato scritto lo scorso autunno come iniziale documento politico per elencare le priorità francesi con l’obiettivo di portare a casa i 100 miliardi destinati a Parigi dall’UE. Nel frattempo, però, il governo francese è andato avanti e sta anch’esso compilando le schede progetto coerentemente con le Linee guida della Commissione Europea. Il piano “Ciao 2030″ presentato da Italia Viva, con relative slides, può sicuramente essere considerato un utile cronoprogramma politico e strategico, ma, lo ripetiamo, non serve a nulla, in questo momento, per il nostro dialogo con l’Europa. Non è quello che le istituzioni europee hanno chiesto, né come contenuti, né come struttura di presentazione. Può essere usato solamente in una ottica di partito, di legittima contrattazione all’interno della maggioranza, ma niente più. Insomma un fatto interno al Governo e alla maggioranza.

Stante il PNRR del Governo, allo stato progettuale avanzato in cui si trova, il Ciao 2030 si presenta come un contributo fuori tempo (avrebbe avuto senso al massimo se presentato a settembre, quando ancora non c’erano linee guida europee) e fuori luogo (perché presentarlo soltanto a pochi giorni dalla scadenza del PNRR ufficiale, sapendo che l’Italia rischia di non rispettare il cronoprogramma imposto dall’Europa?). Aveva senso presentare schede progetto integrative anziché delle slides su temi come la cultura, la lotta al sovranismo, che sono temi politici, non progetti da finanziare nell’ambito del piano europeo.

Ancora un po’ di pazienza per favore. Le Linee guida del PNRR italiano sono state approvate dalla Camera e dal Senato il 13 ottobre scorso e, agli inizi di dicembre, è stata diffusa la prima bozza informale di PNRR. Bozza che ha sostanzialmente confermato l’impianto delle Linee guida, dettagliandone alcune parti e fornendo indicazioni più precise sulla distribuzione delle risorse. In particolare, la bozza del PNRR, fatta circolare il 6 dicembre scorso, descrive un programma di allocazione delle risorse che risponde a quattro sfide (macro-aree), ed è articolato in 6 missioni, a loro volta suddivise in 17 componenti omogenee che raggruppano un totale di 54 progetti. Una ulteriore versione consolidata della proposta del PNRR è stata pubblicata il 21 di dicembre e probabilmente una ultima bozza vedrà alla luce il 4-5 del corrente mese.

Più recentemente, tra le altre questioni ancora aperte, si pone il problema dirimente di stabilire quante risorse utilizzare per finanziare il PNRR, soprattutto nella componente di prestiti (loans) del NGUE. Come sappiamo, poi, l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia altri 3 pilastri finanziari (SURE, MES e fondi BEI), con risorse per altri complessivi quasi 100 miliardi di euro, dei quali solo una parte (SURE) ad oggi utilizzata. Se richiedere anche il resto dei fondi oppure no è, ancora una volta, una scelta strategica che deve compiere il Governo. Così come un’altra scelta fondamentale dovrà essere fatta sul se richiedere tutti i loans del NGUE Fund per finanziare progetti già definiti da tempo, oltre a quelli di nuova cantierizzazione, e quindi ricorrere al funding comunitario come a una sorta di “roll-over” del debito pubblico italiano a tassi convenienti, oppure se seguire la linea più prudente del ministro dell’Economia Gualtieri, il quale sostiene che non è opportuno richiedere l’intero ammontare dei loans NGUE per non incrementare ulteriormente il già gigantesco debito pubblico italiano. Molto probabilmente, questo atteggiamento del ministro non è una sua invenzione, ma risponde a condizionalità precauzionali, rispetto alla sostenibilità del nostro debito manifestate a Bruxelles e al quale il nostro Governo è stato graziosamente richiamato.

La scelta su quali progetti finanziare a prestito e quali finanziare con trasferimenti a fondo perduto dipende, tra le altre cose, dal tipo di ‘fallimento di mercato’ che si intende risolvere con l’intervento pubblico. Un fallimento completo, come l’assenza totale di un mercato, ci insegna la teoria economica, dovrebbe essere finanziato con una sovvenzione, mentre i prestiti potrebbero utilizzarsi nelle logiche di Partenariato Pubblico e Privato per “first loss absorption”, su specifici interventi che poi incentivano l’uso di risorse private (ad esempio, per il finanziamento delle fonti di energie rinnovabili). Anche se, sempre la teoria economica e il buon senso suggerirebbero che gli investimenti andrebbero fatti (e quindi i prestiti richiesti) se e solo se in grado di creare un moltiplicatore positivo sul Pil italiano. Ovvero, che per ogni euro investito, il ritorno in termini di Pil sia superiore ad uno. Condizione che probabilmente non è rispettata per tutti i progetti presentati. Più in generale, sarà fondamentale che si discuta del ruolo che lo Stato dovrà assumere nella fase esecutiva del PNRR, ovvero se da protagonista-imprenditore, o se più semplicemente, come è auspicabile, nel ruolo di arbitro che lascia molto spazio al settore privato nella fase di esecuzione dei progetti. E su tutti questi temi è necessario che il Parlamento eserciti la sua funzione di controllo nel tempo.

E torniamo alla stretta attualità. Il PNRR è un inedito per Governo e Parlamento italiani, e con tutta probabilità assumerà la forma dell’atto di Governo e non dell’atto legislativo, atto di Governo da sottoporre poi a un parere parlamentare da parte delle commissioni Bilancio ed Affari Europei al Senato (solo Bilancio alla Camera). Le commissioni (auspicabilmente maggioranza e opposizione alla pari) dovranno articolare un dibattito con valutazione di tutti i profili e l’atto del Governo sarà così portato all’approvazione dell’Assemblea sottoforma di relazione da parte delle commissioni stesse. Successivamente, in Aula, molto probabilmente sarà presentata una mozione da parte dei capigruppo di maggioranza, con o senza la sottoscrizione dei capigruppo di Italia Viva, dato il livello dello scontro in atto col Governo. Su questa mozione, molto probabile attendersi la apposizione della questione di fiducia da parte del Governo, il cui PNRR sarà quindi promosso o bocciato.

Da quel momento in poi si capirà la nuova agenda politica e se un nuovo PNRR andrà riscritto da un possibile nuovo Governo. Con l’Europa che, nel frattempo, preoccupata sta ad osservare e gli italiani con le mani nei capelli. Se siete arrivati fino in fondo, e magari fuori piove, e il vostro umore non è dei migliori, anche dopo aver finito di leggere questo articolo, pensate positivo rileggendo l’invito solenne fatto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a fine anno: “ora dobbiamo preparare il futuro. Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte”.

Sine ira ac studio