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R.BRUNETTA (Editoriale su ‘Huffington Post’): “PRIMA LA RICONCILIAZIONE, POI LA FIDUCIA – E se cambiassimo gioco? Abbiamo bisogno di un grande patto di riconciliazione tra la rappresentanza politico-istituzionale e il Paese reale”

 

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E SE CAMBIASSIMO GIOCO? DALLA FIDUCIA ALLA RICONCILIAZIONE, O MEGLIO ANCORA: PRIMA LA RICONCILIAZIONE E POI LA NUOVA FIDUCIA

 

In questi giorni, la percezione che si ha è che il Paese si stia allontanando sempre più dalla politica, dalle sue regole, dal suo linguaggio. Che non ne possa più né della maggioranza, né dell’opposizione. Che non creda più al gioco democratico, al Parlamento, ai tanti inutili e rissosi talk show. L’amara percezione che si ha è che sia in atto un pericoloso allontanamento progressivo dai meccanismi del consenso. La gente è totalmente disaffezionata non tanto (sarebbe comprensibile) nei confronti del teatrino della politica, quanto (è la cosa più grave) dalle regole stesse della democrazia, così come l’abbiamo conosciuta finora nel nostro Paese. Se le cose stanno così, e tutti i segnali che stiamo vedendo vanno in questa direzione, abbiamo bisogno di un grande patto di riconciliazione tra la rappresentanza politico-istituzionale e il Paese reale. E questa riconciliazione passa, inevitabilmente, per tre cose: la messa in sicurezza degli italiani dal punto di vista sanitario; l’immediata sopravvivenza economica; la certezza di avere un futuro per sé e per i propri figli.

Al momento, queste tre sicurezze non esistono. Il piano di vaccinazione fa acqua da tutte le parti; ai lockdown non corrispondono né ristori, né indennizzi adeguati; totale è lo sconforto sulla possibilità di ritornare a crescere e ad avere un futuro. Per questa ragione, non solo l’attuale crisi di Governo viene vissuta come una insopportabile violenza, ma la stessa dinamica politico-parlamentare di questi giorni viene mal sopportata, se non frettolosamente condannata.

Occorre che questa riconciliazione, tra istituzioni democratiche e popolo, si realizzi subito, con il concorso di tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione. Lasciando da parte le ideologie, gli interessi di parte, gli egoismi e gli opportunismi.

Per questo, occorre che ciascuno degli attori in campo (governo, parlamentari, cittadini di ogni orientamento politico) si dispongano, come capitò nel dopoguerra, ad un nuovo inizio.

Realisticamente si può presumere, ed è una previsione riferita dalla maggioranza degli analisti, che Giuseppe Conte ottenga la fiducia relativa e risicata domani alla Camera e dopodomani al Senato. Non è qui il luogo di discutere del come. Di sicuro, qualunque considerazione possa scaturirne, un istante dopo la fiducia, ritengo sia un imperativo morale assoluto attuare la più ampia convergenza in Parlamento, tra maggioranza e opposizione, in ottica pienamente bipartisan sulla messa in sicurezza del Paese.

In termini più specifici, dovremmo avere un sì unanime al prossimo discostamento e successivamente al relativo decreto ristori, per 32 miliardi di euro. E questo – con grande senso di responsabilità – è già stato assicurato dalle forze di centrodestra. Ma si impone un passo ulteriore: un sì unanime alla riscrittura insieme del Recovery Plan in linea con le nuove regole europee, da mandare in Europa, rispettando i tempi prescritti, per avere subito dopo i 27 miliardi di euro di anticipi. Un sì, infine, ad un nuovo piano di vaccinazione, che faccia della vaccinazione di massa l’obiettivo principale e strategico. Premessa a qualsiasi altra azione di Governo.

Tutto questo impone un atto di umiltà da parte anzitutto del Presidente del Consiglio, il quale riconosca come indispensabile l’apporto di tutte le componenti del Parlamento, con l’ammissione leale che oggi, senza un clima e un metodo di coinvolgimento delle famiglie politiche in cui si raccoglie il popolo italiano, non si esce dal buio in cui il Covid e le sue conseguenze di ogni tipo ci hanno precipitato.

Non è un cedimento da parte di nessuno, nessuno deve rinunciare al proprio ideale, ma oggi c’è una guerra da vincere, e lo si può fare solo insieme. Sono certo che la grandissima maggioranza della nazione anela a tutto questo e darà corpo in ogni ambito sociale a questo sforzo collettivo, come già ha dimostrato nei momenti decisivi della storia repubblicana.

Ma analizziamo questi percorsi punto per punto.

Il primo passaggio parlamentare, dopo la fiducia di lunedì e martedì, riguarderà, nei  giorni successivi, già da mercoledì 20, il voto alle Camere della nuova richiesta di discostamento per 32 miliardi di euro, che il Consiglio dei Ministri ha approvato nel corso della sua ultima riunione di giovedì 14 gennaio. Trentadue miliardi che dovranno essere approvati sulla base di quanto prescritto dall’articolo 81 della Costituzione (votazione a maggioranza assoluta delle Camere) per finanziare un nuovo decreto Ristori, contenente indennizzi, rifinanziamenti di cassa integrazione ed altro, valevole fino alla fine di giugno, quando scadrà la proroga del Temporary Framework comunitario sugli aiuti di Stato. Ristori, indennizzi, cassa integrazione, altri ammortizzatori sociali, ovvero tutto quanto è necessario per far arrivare gli italiani e le loro attività economiche vivi alla prossima primavera-estate, con l’approvazione di un unico grande decreto strutturale definitivo per dare il segno che la crisi è sotto controllo e per avviare la nuova fase.

Ci sono tutte le condizioni, già anticipate con il discostamento di novembre e i decreti che da esso sono derivati, per riequilibrare, dal punto di vista dell’equità, le tutele tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Il prossimo decreto Ristori dovrebbe avere una potenza di fuoco rilevante, appunto, di 32 miliardi, ma anche una capacità di penetrazione e di intervento rispetto alle più importanti aree di crisi, in grado di stabilizzare la tenuta delle imprese e dei redditi degli italiani. L’entità di quanto stanziato lo certifica ampiamente.

Quindi, occorre non solo un voto unanime sul discostamento, ma anche un lavoro bipartisan sul decreto Ristori e un voto da considerare, anch’esso scontato, sul conseguente decreto da parte delle Camere. Questo è il primo punto di riconciliazione.

Il secondo punto dovrebbe essere il passaggio parlamentare del PNRR. Il presidente Conte ha già inoltrato alle Camere il documento approvato dal Consiglio dei Ministri, molto discusso e contrastato all’interno del Governo. Adesso, il Parlamento ha la grande occasione di migliorarlo, riscriverlo, completarlo, aggiornarlo. Anche in questo caso, occorre farlo tutti insieme, maggioranza e opposizione: non è impossibile.

Ormai cosa fare è chiaro, e in quali tempi. Abbiamo un mese di tempo per applicare il nuovo Regolamento RRF appena approvato dalle commissioni competenti del Parlamento europeo, Regolamento che sarà definitivo a metà febbraio, dopo l’approvazione definitiva dell’assemblea di Strasburgo, prevista appunto per quel periodo. Abbiamo un mese di tempo per ascoltare il Paese: parti sociali, istituzioni, grandi centri di analisi e di progettazione economica, imprese, commercianti e altri. Non è soltanto un auspicio, è un preciso dovere imposto proprio dall’Europa, in maniera da avere la certezza che il Piano Nazionale abbia un supporto trasversale dei vari livelli di governo e attori sociali.

Insomma c’è il tempo, se si fa presto e bene, per fornire al Governo tutti gli indirizzi e le linee guida in grado di far riscrivere e mettere a punto il PNRR nella sua versione definitiva, in linea con quanto ci chiede l’Europa. Ma soprattutto come ci chiedono gli italiani. Per indicare quali riforme si vogliono fare, da quella fiscale a quella della giustizia, da quella della pubblica amministrazione a quella del mercato del lavoro. Occorre decidere quali riforme fare subito per accompagnare, in una ottica di produttività ed efficienza, la grande massa di investimenti prevista dal PNRR, mettendo insieme pubblico e privato, gli oltre 209 miliardi dell’Europa tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto, finalmente adottando le regole per sbloccare gli investimenti già finanziati e mai realizzati, che valgono almeno altri 100 miliardi e per coinvolgere, in una sorta di “blending strategico”, il resto dell’economia, in questo “Piano Marshall” di resilienza, reattività, efficienza e produttività.

Ecco, anche questo passaggio è di riconciliazione intergenerazionale, che riguarda il futuro nostro e dei nostri figli.

Il terzo momento della riconciliazione tra rappresentanza e popolo riguarda il piano vaccinale. Terzo perché lo descriviamo dopo i primi due; in realtà sarebbe il primo, quello della sopravvivenza. Qui bastano poche parole. Così non va: questa è la percezione di tutti. Questi non sono i tempi coerenti con la sopravvivenza del Paese. Il modello strategico da utilizzare è quello israeliano: vaccinazioni ventiquattro ore su ventiquattro, ovunque, certamente controllate dallo Stato, ma con il massimo del decentramento e dell’articolazione, senza code e, soprattutto, con l’acquisizione di vaccini e personale in funzione di un obiettivo di immunizzazione di gregge a 100 giorni. Se ce la fa Israele, ce la può fare anche un ricco, grande e straordinario Paese come l’Italia. Sul raggiungimento di questo obiettivo, gli italiani giudicheranno e saranno senza pietà.

Questa strategia di riconciliazione dovrebbe guidare il Governo dopo il voto di fiducia alle Camere, in un’ottica bipartisan, con un Parlamento che torni ad avere un ruolo centrale e con tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, tornate protagoniste.

L’Italia ne potrebbe risultare riconciliata: non più paura, ma fiducia per il presente e per il futuro. In caso contrario, se prevalessero l’opportunismo e la miopia di tutti, il caos attuale si trasformerebbe ineluttabilmente in una crisi irreversibile della nostra democrazia.

Ecco, io mi aspetto che questi impegni non solo li prenda il presidente del Consiglio Conte in Parlamento domani nelle sue comunicazioni alla Camera, ma che questa offerta di riconciliazione venga accolta dai leader politico-parlamentari tutti, di maggioranza e di opposizione. Questo sarebbe il più bel regalo che la politica potrebbe consegnare al Paese, un Paese stremato che non ne può più. Sarebbe il più bel regalo alla nostra democrazia.