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R.BRUNETTA (Intervista a Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione): “Lo Stato assume: è la cura Brunetta. Lavoro da casa e basta burocrazia”

 

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Il piano per la riapertura dell’Italia è il primo atto. Ma le leve per la ripartenza del Paese, soprattutto per l’attuazione del Recovery Plan, passano in maniera decisiva dalla rivoluzione della Pubblica amministrazione. A spiegarlo è il regista dell’operazione, Renato Brunetta, tornato a Palazzo Vidoni come Ministro della Pa tredici anni dopo il primo incarico. «Ho riassunto il mio compito a bordo di questa nave di cui Draghi è il timoniere – avvisa – nelle prime quattro lettere dell’alfabeto: A come accesso, B come buona amministrazione, C come capitale umano e D come digitalizzazione. Con un avvertimento: senza una rivoluzione del reclutamento che premi merito e competenze, senza l’eliminazione dei colli di bottiglia che paralizzano le procedure, senza una massiccia opera di semplificazione, la digitalizzazione può fallire».

Un decennio fa lei incarnò la battaglia contro i fannulloni: con quale missione è tornato?

«La riforma del 2009 è rimasta in parte incompiuta, frenata dall’impossibilità di rinnovare i contratti e dalla crisi economico-finanziaria. Ho ritrovato una Pubblica amministrazione invecchiata e depauperata. La necessità è quella di non sprecare l’opportunità unica dei fondi europei del Next Generation Eu per salvare e cambiare l’Italia».

Il primo atto è stato riagganciare il sindacato: che cosa è cambiato?

«Il 10 marzo scorso abbiamo siglato a Palazzo Chigi con il presidente Draghi e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico. Come il Protocollo CiampiGiugni del 1993, anche questo accordo è figlio dello spirito del tempo: in entrambi i casi, il dialogo sociale è il pilastro per avvalorare una scelta strategica».

Con quale obiettivo?

«Rimettere al centro del rilancio il capitale umano pubblico è la mia missione. Lo meritano i dipendenti pubblici e che hanno rappresentato il primo fronte contro la pandemia: infermieri, medici, forze dell’ordine. Ma lo meritano soprattutto i cittadini e le imprese, che hanno diritto a servizi pubblici efficienti».

Cittadini e imprese, però, durante la pandemia hanno dovuto fare i conti anche con i disservizi: lo smart working non è stata una gran prova.

«Senza imbrigliarlo in percentuali, lo smart working dovrà restare uno strumento del lavoro pubblico e dovrà essere regolato dal contratto, per evitare ogni abuso a danno dei dipendenti. Ma dovrà anche essere ancorato a tre variabili: efficienza, produttività e customer satisfaction. Se le migliora bene, altrimenti si lavora in presenza».

Una delle leve strategiche del cambiamento passa dal reclutamento di nuove professionalità: come evitare i vecchi, inutili concorsi?

«Nell’ultimo decreto Covid abbiamo disegnato la rivoluzione dei concorsi pubblici. Innanzitutto abbiamo sbloccato quelli arenati anche a causa della pandemia: potranno riprendere dal 3 maggio grazie a un nuovo protocollo validato dal Cts. In secondo luogo abbiamo riformato l’accesso a regime alla PA, digitalizzando l’intero processo, dalla presentazione della domanda alla pubblicazione delle graduatorie. Anche la prova orale potrà essere sempre svolta in videoconferenza. Basta carta e penna, basta concorsi ottocenteschi. E basta anche alberghi pieni come stadi. Abbiamo abolito le prove preselettive attraverso i quiz logico-matematici: vogliamo tornare, insomma, a dare valore ai titoli di studio e ai percorsi formativi».

I critici sostengono, però, che penalizza i più giovani.

«Voglio rassicurarli, e metterli in guardia dai cattivi maestri che li spaventano. Ben venga discutere nel merito. Ma difendere le preselettive per come sono state effettuate fino a oggi no, è inaccettabile».

Di quante nuove assunzioni parliamo?

«Abbiamo bisogno di immettere nella Pa circa 150mila persone ogni anno da qui al 2026, non soltanto per compensare le uscite, ma anche per rafforzare gli organici dei settori più sofferenti, come la sanità e gli enti locali. In più dobbiamo reclutare personale qualificato, tecnico e gestionale, per la realizzazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza: ci sarà un nuovo portale ad hoc».

Non ci sarà ripartenza, in ogni caso, se non si semplificano «anche» le regole per cittadini e imprese. È la volta buona?

«Sì, perché i quasi 200 miliardi del Next Generation Eu sono un treno che, senza riforme, rischiamo di perdere. Non ci può essere transizione digitale e transizione ecologica senza una Pubblica amministrazione che si trasformi da costo, come oggi è percepita, a “facilitatrice” della vita di cittadini e imprese. Abbiamo, a questo fine, finora mappato quasi 600 procedure complesse. Dobbiamo eliminare tutti i colli di bottiglia che potrebbero rallentare o bloccare i progetti del Pnrr. I prossimi decreti, uno sulle semplificazioni e l’altro sul reclutamento, che contiamo di approvare entro la prima decade di maggio, serviranno ad accompagnare il Pnrr: la nostra patente per dire a Bruxelles che ce la faremo».