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R.BRUNETTA (Analisi su ‘la Repubblica’): “Se la cattiva burocrazia diventa il punto di fragilità del sistema”

 

RB La repubblica

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“Nel pomeriggio di 29 anni fa la mafia azionò ancora una volta il tritolo a Palermo per uccidere il giudice Paolo Borsellino e tutta la sua scorta, soltanto 57 giorni dopo la strage di Capaci che costò la vita a Giovanni Falcone e ai suoi uomini. Per la mafia doveva essere il funerale della legalità e la vittoria dell’anti-Stato e, invece, fiorì una stagione di consapevolezza e di sdegno in tutto il Paese, che arriva fino a oggi. A noi spetta il dovere della memoria di quei sacrifici, ma anche la responsabilità dell’impegno concreto quotidiano e della guardia alta contro tutte le mafie, colpevoli di rubare l’avvenire e la dignità all’Italia intera e soprattutto ai giovani. L’esempio, la dirittura morale e la lucida consapevolezza di Paolo Borsellino vivono in noi. Un pensiero va alla famiglia, ai colleghi e alle forze dell’ordine che continuano a lottare ogni giorno per il futuro dell’Italia. Noi non dimentichiamo”.

 

 

Pensare oggi al sacrificio di Borsellino e degli agenti della sua scorta genera in me dolore, come in qualsiasi persona che abbia un minimo di cuore. Ma il rischio è quello di fermarsi alla considerazione di un lutto che non sarà mai rimarginato, facendosi bastare il rimpianto; oppure buttarsi in congetture sulla natura dei depistaggi che, come dicono le sentenze, di sicuro sono stati perpetrati per nascondere la verità sull’attentato. Voglio evitare questa doppia trappola, e pormi la questione di quel che chiede a me, in quanto ministro per la Pubblica amministrazione, la memoria di quell’impegno pagato con la vita.

Non ho competenza nel settore della repressione delle mafie, né mi pretendo esperto negli intrecci tra le varie organizzazioni criminali e della loro mappatura. Ho titolo, però, per considerare Paolo Borsellino e la ragazza e i ragazzi della scorta, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli “volti della Repubblica”, espressione magnifica coniata dal Capo dello Stato per quei tre milioni e duecentomila italiani che sono dipendenti della pubblica amministrazione. Borsellino e chi è stato martire con lui appartiene all’album di famiglia della Pa. E questa famiglia ha il dovere di metterne a frutto la memoria, non semplicemente con un doveroso scatto di emulazione, ma strutturalmente adeguandosi ai suoi compiti per la rinascita di questo Paese e in particolare del Sud vessato dalle mafie.

E arrivo al punto su cui mi invita a riflettere la figura di chi, da servitore dello Stato, è stato abbattuto da un potere alternativo allo Stato. Dove si fa largo la mafia? Come hanno potuto insediarsi e poi espandersi nel mondo Cosa nostra in Sicilia, e altre organizzazioni criminali nelle regioni meridionali? Hanno potuto sfruttare il vuoto dello Stato, non solo in quanto autorità capace di far valere la legalità e la giustizia a qualsiasi prezzo, ma anche come servizio semplice e diffuso alla vita dei cittadini. Non è vero che la mafia si afferma laddove c’è sottosviluppo. Non è un fenomeno endemico tipico dei Paesi poveri. Prova ne sia che ha saputo insinuarsi come forza prepotente nelle economie più sviluppate. Il suo modello ormai si è riproposto ovunque. Essa penetra quando lo Stato e le sue amministrazioni non sono in grado di tessere una rete di rapporti positivi ed efficienti nella vita sociale. La cattiva burocrazia, anche quando non fosse colonizzata da cellule mafiose maligne, è il punto di massima fragilità del sistema, con la sua inefficienza e vischiosità pompa l’acqua nella vita sociale dove nuotano i pescecani della criminalità organizzata, che forniscono servizi alternativi, senza bisogno di saltare da uno sportello all’altro.

Circa 25 anni fa mi occupai del Mezzogiorno in un volume che poi riproposi nel 2009 con il titolo “Sud. Un sogno possibile” (Donzelli) e ritengo abbia una sua “strana” attualità. Sostenni la tesi che è la mancanza di “beni relazionali”, non misurabili in termini di valori di scambio, ma indispensabili al clima positivo della vita comune, ad essere il brodo di coltura del malaffare. Gli investimenti versati senza una trama di rapporti burocratici efficaci e benevoli sono destinati inesorabilmente ad essere, nell’ipotesi migliore, sprecati; o – come dimostra la messe di inchieste giudiziarie condotte in questi anni dalle procure e che prendono le mosse da quelle di Falcone e Borsellino – sono accalappiati dalle potenze mafiose, aggravando i “mali relazionali” e rafforzando i network opposti e antagonisti. Solo un tessuto economico sufficientemente dotato di beni relazionali – a partire dal più elementare: la consapevolezza e la fiducia che rispettare le regole migliora la convivenza civile – è in grado di innescare, al proprio interno, le spinte necessarie per lo sviluppo.

Giusto dire che si deve partire dalla società civile. Ha risorse straordinarie. Ma va colmato lo iato con quelle della Pa. L’emergenza Covid ha mostrato che esiste una capacità di resilienza formidabile capillarmente diffusa tra i dipendenti pubblici. Si tratta di trasformare le esperienze di tanti singoli in una rete permanente. E io credo che questo tempo, in cui siamo chiamati a riforme della pubblica amministrazione e della giustizia concordate con l’Europa, sia una occasione eccezionale per prosciugare le paludi in cui fiorisce la pianta carnivora della mafia. Una ripresa della pubblica amministrazione, la sua rivoluzione gentile, è l’alleato più prezioso per diffondere una mentalità che non lasci spazio ad organizzazioni parallele sostitutive dello Stato oltre che parassitarie e vampiresche rispetto alla società civile. È anche l’arma più potente contro le disuguaglianze, perché soltanto i ricchi possono permettersi di comprare sul mercato i servizi sostitutivi.

Non è solo un’intuizione empirica. Secondo l’Institutional Quality Index, un indice che misura la qualità delle istituzioni pubbliche a livello provinciale basandosi su dati oggettivi e considerando i servizi pubblici, l’attività economica territoriale, la giustizia, la corruzione, il livello culturale e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, le ultime posizioni sono occupate interamente dal Sud. Un balzo nella trasparenza e nell’efficienza della Pa avrebbe, dunque, effetti ancora più incisivi nel Mezzogiorno: l’investimento in capitale umano pubblico alla base della riforma disegnata nel Pnrr, che abbiamo già cominciato ad attuare, aumenterebbe la produzione di beni relazionali, la qualità delle istituzioni e dei servizi, l’efficacia degli investimenti e l’esigibilità dei diritti.  Il sacrificio di Borsellino e dei suoi uomini è un invito urgente perché gli uomini e le donne dello Stato rilancino un altro Sud in un’altra Italia.