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R.BRUNETTA (Intervista a ‘Il Giornale’): “Basta smart working, misura straordinaria. Draghi fa crescere l’Italia come negli anni ’60”

 

Rassegna Il Giornale

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Renato Brunetta spesso ti sorprende. Questo accade anche quando indossa il vestito da ministro per la Pubblica amministrazione. Lo chiami per parlare di lavoro, di quando si tornerà in ufficio, e lui ti ferma subito: «Emiliano ha ragione».

 

Michele Emiliano?

«Lui».

 

Su cosa?

«Non è difficile intuirlo».

 

Il governo Draghi ha cambiato Salvini.

«Proprio così, al netto di Borghi e del voto sul green pass ieri in commissione alla Camera».

 

E cosa è successo?

«Quello che stiamo facendo con Draghi ha una rilevanza straordinaria. Qualcosa di insolito nel nostro Paese».

 

Cioè?

«Stiamo, come da mandato, salvando l’Italia, portandola fuori dalla crisi pandemica edeconomica. Tutti insieme, tutti i partiti della grande coalizione, come non era mai accaduto in passato. È una missione che solo sei, sette mesi fa sembrava impossibile. Tutti insieme, a partire da Berlusconi, abbiamo voluto Draghi. Non è una cosa da poco. È quasi un miracolo. È una congiuntura astrale mai vista: i soldi dell’Europa, la grande apertura di credito di Angela Merkel. Draghi sta dando a questo Paese un posizionamento internazionale mai visto».

 

Salvini viene così guardato con occhi diversi da un pezzo del Pd, dal presidente della Puglia. Sorpreso?

«No, non mi sono meravigliato. Le racconto una storia. Ho un ricordo molto forte di quando sono andato con Berlusconi a Bari nel 2013. Sulla facciata del palazzo comunale Emiliano fece installare uno striscione con su scritto: “Caro Silvio, bentornato a Bari”. Il bentornato era per Berlusconi e la firma era, appunto, di Emiliano, allora sindaco della città. Di fronte a un avversario che ha questo stile mi viene da dire solo: chapeau. Quello che adesso ha detto su Salvini è il riconoscimento che stiamo vivendo un momento di stato nascente, una nuova stagione politica, nonostante i giochi in casa Pd».

 

E quando Draghi non ci sarà più?

«Draghi ci sarà fino a quando il Parlamento gli darà la fiducia. Le elezioni si svolgeranno nella primavera del 2023 e questo è il mio orizzonte temporale. Nessuno sano di mente si potrà privare dell’assicurazione sulla vita che Draghi rappresenta. Sta trasferendo all’Italia, che ne aveva bisogno, tutta la sua credibilità e reputazione».

 

È all’orizzonte un partito di Draghi?

«Non lo so. Non è tra le mie preoccupazioni. Mi interessa fare bene il mio lavoro e realizzare quello che chiamo il Next Generation Pa. Sono concentrato a cambiare la pubblica amministrazione. Il compito è talmente bello e complicato che non c’è tempo di pensare ad altro. Questo vale anche per Draghi e gli altri ministri del governo».

 

Davvero siamo a un punto di svolta?

«Lo dicono i dati economici. Stiamo recuperando prontamente dopo la pandemia. L’Istat ha confermato che nel secondo trimestre il Pil è cresciuto del 2,7% rispetto al trimestre precedentee che la crescita già acquisita per il 2021 è del 4,7%. C’è sicuramente un effetto rimbalzo, ma il traguardo di una crescita annua del 6% è assolutamente alla nostra portata. Sa cosa significa questo».

 

Che possiamo tirare un sospiro di sollievo.

«Non solo. L’Italia sta vivendo un boom economico, che non vedeva dagli anni Sessanta. Nella bilancia commerciale con l’estero, è salita al quarto posto nel G20 e al mondo. A giugno i valori del nostro indice principale Ftse Mib hanno “rotto” il tetto dei 25.000 punti base, che negli ultimi 12 anni sembrava insuperabile. Sono tutti risultati che si devono a Draghi e alla credibilità dell’azione riformatrice di questo governo. La crescita è figlia della fiducia che si sta condensando intorno al nostro Paese. Stiamo diventando interessanti per gli altri, un luogo in cui appare conveniente investire. Niente ha più successo del successo».
Gli italiani lo sanno? Percepiscono questa fiducia?

«Assolutamente sì. E sono passati solo sei mesidall’insediamento del governo Draghi. L’apertura di Emiliano non è casuale. Questa maggioranza, quasi da unità nazionale, sta funzionando».

 

E i battibecchi tra Salvini e Letta?

Sono bandierine, come quelle che metti sui cocktail. Ininfluenti, con tutto il rispetto. Questa è una maggioranza riformatrice. A fine luglio il Parlamento ha convertito in legge il decreto semplificazioni, a inizio agosto il decreto sul reclutamento del personale per il Pnrr e sulla riforma delle carriere pubbliche. Sono provvedimenti che toccano la carne viva delle famiglie e delle imprese. E che permetteranno ai progetti del Piano di ripresa di viaggiare rapidamente, senza colli di bottiglia e con le migliori competenze impegnate a ricostruire l’Italia».
Vuole riportare gli statali in ufficio?

«La pandemia è stato uno shock che ha richiesto misure straordinarie. Lo smart working, sia nel pubblico sia nel privato, è stata una grandissima sperimentazione sociale che è riuscita a tenere in piedi il Paese. Mi congratulo con il governo Conte Due, che è riuscito a farla partire in quelle condizioni drammatiche e straordinarie».

Allora adesso cosa cambia?

«Grazie ai vaccini, grazie alla campagna dell’ottimo Commissario Figliuolo, stiamo tornando verso la normalità. Il metabolismo del Paese è cambiato. Che senso ha continuare con le stesse misure nate per resistere alla pandemia? Che senso ha mantenere ancora questa cappa di straordinarietà quando il Paese chiede che venga accompagnatoverso la crescita con tutto il suo capitale umano? Già prima della pandemia esistevano montagne di arretrati. Negli ospedali, nei tribunali, negli uffici comunali. Tanti freni allo sviluppo, al benessere, alla giustizia. La pandemia ha moltiplicato questo cumulo di arretrati e di ingiustizie. Adesso abbiamo bisogno di dare gambe alla crescita, anche “riempiendola” di capitale umano. Il lavoro in presenza è l’anima di questa rinascita. L’assenza è ancora più pericolosa nel privato, perché rischia di essere prodromica ai licenziamenti di massa. È unmio grande timore.
Come dovrebbe trasformarsi il pubblico impiego?

Sul capitale umano pubblico come catalizzatore dello sviluppo del Paese ho scommesso sin dall’inizio. Ho riavviato il rinnovo dei contratti, ho sbloccato i concorsi per quasi 35mila posti, definito nuove modalità di reclutamento secondo le best practice internazionali. I primi bandi per il personale Pnrr sono già stati pubblicati: per 8.171 addetti all’ufficio del processo e per 500 funzionari che dovranno lavorare alla governance dell’attuazione degli investimenti e delle riforme previste dal Piano. A questo si aggiunge una grande necessità di formazione, come una ricarica delle batterie: sto lavorando a un programma formativo da 1 miliardo che possa dotare i dipendenti pubblici delle competenze indispensabili per affrontare le tre transizioni – ecologica, digitale e amministrativa – che porteranno l’Italia nel futuro».
C’è in giro un clima da jacquerie, da rivolta popolare.

«I no green pass e i no vax sono la nostra cattiva coscienza, i figli dei cattivi maestri, della cattiva politica, della cattiva stampa. Sono la materializzazione delle nostre debolezze e angosce, come in Solaris, il film di Tarkovskij. Dovremmo tutti farci un esame di coscienza».
C’è una risposta ai no vax?
«Vaccini, vaccini, vaccini. L’introduzione del green pass è stata un compromesso rispetto all’obbligo vaccinale per legge, che avrei preferito: è stata la via per aumentare i costi del non vaccinarsi, un incentivo, un “nudge”. E ha funzionato. Al 1° settembre, i vaccinati totali sono aumentati a quasi 38 milioni, il 70,14% della platea vaccinabile over 12. L’obiettivo da centrare ora è raggiungere l’80%. Manca poco. Il 91,87% degli over 80 ha ultimato il ciclo vaccinale, così come l’88,03% delle persone tra 70 e 79 anni. Il numero di certificati verdi rilasciati è in aumento continuo da inizio agosto, per un totale di quasi 72 milioni di green pass scaricati dagli italiani. Tutto è avvenuto nel segno della qualità dei servizi, dell’efficienza e della cortesia. Perché non replicare questo modello per i dipendenti pubblici in ogni ufficio? Tornare alla qualità, alla dignità e al rispetto. Un Paese dal volto umano, non più un Paese feroce».
Tutti moderati?

«Io sono orgoglioso di essere un ministro espressione del centrodestra di governo».
Come stanno lavorando Forza Italia e Lega nel governo?

«Bene, ma questo per il centrodestra è l’inizio di un percorso. Come ho proposto fin da giugno, ènecessario coordinarsi a tutti i livelli: partiti, gruppi parlamentari, governo. L’esecutivo Draghi ci sta dando un’occasione formidabile. Non sprecarla è un dovere, soprattutto davanti ai nostri elettori. Bisogna riconoscersi in una carta dei valori. Io, per esempio, sarei felice di vedere la Lega nel Partito Popolare Europeo. È un passaggio fondamentale».
È davvero possibile arrivare al partito unico?

«È possibile, ma ci vuole lavoro, fatica. È un percorso lungo. Bisogna crederci, ma ce ne vuole».
E Giorgia Meloni?

«Io spero tanto che il potere di attrazione del centrodestra di governo finisca per condizionare anche Fratelli d’Italia. Da sempre condividiamo un progetto quando ci sono le elezioni, però ci dividiamo quando siamo all’opposizione o al governo. Certo, avrei preferito che Giorgia la settimana scorsa non avesse incontrato Orban ma la Merkel».
L’autunno sta arrivando. Non teme che il governo Draghi possa imbattersi in qualche brutta sorpresa? Cosa può frenare la ripresa?

«Sono ottimista. Il bello, secondo me, deve ancora venire. Una volta in Consiglio dei ministri ho usato la metafora del soufflè. È in forno. Sta crescendo. Sta spandendo un bellissimo profumo tutto intorno. Ecco, guai ad aprire lo sportello, perché il soufflè non cresce più, si sgonfia, implode. Dopo tutto quello che abbiamo passato, gli italiani meritano diuscire dalla crisi, dall’incertezza, dalle loro paure.Hanno diritto alla felicità».