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GOVERNO. Il fiasco di Letta? Colpa del golpe. Attento Renzi, chi ha fatto fallire le larghe intese ora rema contro di te

 
 

Firenze, Matteo Renzi ed Enrico Letta a Palazzo Vecchio

Dieci mesi di fallimenti? Ha ragione Renzi? Il risultato di certo è questo: fiasco. Ma i primi tre mesi di Letta-Alfano non erano stati affatto male. Difficili ma drammaticamente protesi alle buone cose.

 

Poi i mesi successivi hanno distrutto quelle promesse. Quei tre mesi non li rinneghiamo. Era la strada frutto di un patto, quello sì serio. Ed è stato stracciato dal golpe contro Berlusconi insieme alla nostra buona fede.

 

Trascriviamo le parole del segretario del Pd. “Se guardiamo a questi 10 mesi ci troviamo di fronte a un elenco di fallimenti: non siamo riusciti a fare la legge elettorale e non abbiamo fatto le riforme”. Le parole del sindaco di Firenze, ripetiamo, sono corrette nel definirne gli esiti, ma non indicare i colpevoli è omissione.

 

Gli consigliamo – visto che, come abbiamo dimostrato nell’editoriale n. 1, rivendica il centralismo democratico – dovrebbe pure ereditare dal Pci la pratica dell’autocritica.

 

Ricostruiamo noi la storia, che non abbiamo niente da nascondere, né gruppi parlamentari da tener buoni. Le larghe intese sono nate come forma progressista e rivoluzionaria, con tre obiettivi: pacificazione nazionale, realizzazione di riforme costituzionali e rilancio dell’economia. C’erano le premesse per riuscirci.

 

I primi tre mesi di governo delle larghe intese faticosamente hanno espresso questa volontà. La pacificazione come legittimazione reciproca è servita a imbastire la riforma del 138 per modificare più velocemente la Costituzione, sono stati fatti i primi tentativi per uscire dalla crisi (come le nuove norme su Equitalia, cancellazione dell’Imu sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli, l’accelerazione del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione).

 

Si può dire che nei primi tre mesi l’attività del governo è stata all’interno di un equilibrio accettabile. Nei primi tre mesi, la “grande coalizione” che sosteneva l’esecutivo è riuscita, in buona sostanza, a tenere in equilibrio l’asse di governo, tra istanze programmatiche del centrodestra e parallele esigenze programmatiche del centrosinistra.

 

Poi è cambiato tutto il primo agosto con la sentenza oscena di condanna della Cassazione per Berlusconi nel processo Diritti Mediaset e l’uscita preordinata, formale, scientifica del segretario del Pd Epifani che, paonazzo, ha appeso il suo ukase staliniano sul muro della politica: “Per quanto riguarda il Pd questa condanna va non solo, come è naturale, rispettata ma va anche applicata e resa applicabile e a questo spirito si uniformerà il comportamento del gruppo parlamentare”.

 epifani

Uccidere Berlusconi a colpi di Severino, senza aspettare le motivazioni e la discussione in Giunta. Epifani ha così fatto prevalere il conservatorismo becero, il fondamentalismo e il giustizialismo del Pd che hanno fatto venire meno la spinta propulsiva delle larghe intese e spinto per la spaccatura dentro al Pdl.

 

E così il Pd ha buttato tutto a mare, portato al pasticcio sull’Imu, al nulla di fatto sulla Legge di stabilità, concentrandosi invece sul marchettificio.

 

Ecco perché il giudizio dato da Renzi sull’operato dell’esecutivo va storicizzato e la spiegazione è da cercarsi a casa del Pd stesso, nell’anima profonda del Partito democratico che si è mostrata in modo violento e triviale con la sospirata sentenza di condanna di Silvio Berlusconi, grazie a Magistratura democratica.

 

Riuscirà Renzi a cambiare la natura di questa sinistra? A estirpare dal corpaccio del Pd, o almeno ad addormentare per un po’, quello che Epifani ha chiamato “spirito” (incredibile l’evoluzione dei compagni: dal materialismo storico e dialettico allo spiritualismo delle manette).

 

 

È onesto anche ricordare che una parte di responsabilità per quanto accaduto è da addebitare al Presidente della Repubblica che con il suo atteggiamento ha consentito l’avvento di quello che non esitiamo a chiamare Letta 2, quella fase disastrosa che ha portato alla vergogna del Salva-Roma e a una Legge di stabilità in cui, come ha ben stigmatizzato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: “Le risorse erano poche e sono state distribuite”.

 

Distribuite con mance o marchette. Mance e marchette ad personam. Mance e marchette “ad entem”. Per comprare consenso. Per comprare tempo.

Per allungare la vita dell’esecutivo.

 

Criterio che si è riprodotto nel decreto cosiddetto “Milleproroghe”, giornalisticamente rinominato, appunto “Millemarchette”.

 

L’Epifani paonazzo oggi si esprime attraverso i veti all’incontro Renzi-Berlusconi.

 

Quelli che hanno fatto fallire le larghe intese sono gli stessi che oggi vogliono far fallire Renzi.

 

In queste condizioni, davvero, di un Letta 3, non si sente proprio il bisogno.

 

 

PER APPROFONDIMENTI, CONSULTA: “IL MATTINALE – 17 gennaio 2014”