L’Assemblea del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) ha approvato, nella seduta del 23 aprile, il consueto rapporto annuale che fotografa gli andamenti del mercato del lavoro e gli assetti normativi e retributivi espressi dalla contrattazione collettiva.
Non si tratta di un rapporto tra i tanti, un esercizio intellettuale costellato di freddi numeri che poi, come capita spesso per le complesse questioni del lavoro, restano tutti da interpretare e da contestualizzare.
La funzione del rapporto, per espressa indicazione contenuta nella legge Mattarella sulle attribuzioni del CNEL, è quella di offrire un esame critico dei dati pubblici disponibili e delle loro fonti con l’obiettivo di agevolare, in termini di sintesi “politica”, l’elaborazione di risultati univoci sui singoli fenomeni.
Un rapporto istituzionale, frutto di un serrato e laborioso confronto tra gli esperti della materia e gli attori della rappresentanza di imprese e lavoro che siedono al CNEL, per il contributo che offre alla comprensione e alla governance delle trasformazioni che attraversano il mondo del lavoro, influenzando profondamente la vita pubblica, tanto nelle sue dinamiche di sviluppo quanto nel perseguimento degli obiettivi di coesione sociale. Per questo motivo, i rapporti del CNEL – come espressamente previsto dalla legge – sono messi a disposizione delle Camere, del Governo e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, quale base comune di riferimento, non solo e non tanto a fini di studio, ma soprattutto come strumento a supporto delle decisioni e dell’attuazione concreta delle politiche.
In un dibattito pubblico sempre più caratterizzato da un eccesso incontrollato di dati e informazioni, spesso utilizzati per sostenere tesi contrapposte, assume un ruolo essenziale l’impegno di istituzioni come il CNEL. Contribuire a fornire al Paese basi informative complete, affidabili e il più possibile condivise – in particolare sugli andamenti reali dell’occupazione, della produttività e dei salari – è condizione necessaria per orientare con consapevolezza le scelte di politica economica e sociale.
Di particolare importanza, in questa prospettiva, è l’attenzione che il rapporto annuale del CNEL ha voluto rivolgere, quest’anno, alla unica banca dati esistente che consenta di misurare il metabolismo sociale dei processi economici legati al lavoro. Ci riferiamo all’immenso materiale contenuto nell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro del CNEL che, in tempi recenti, è divenuto esso stesso oggetto di strumentalizzazioni nel dibattito pubblico e nella comunicazione politico-sindacale sui temi del lavoro. Questo anche in ragione dell’opportunismo di sigle minori, e cioè per nulla rappresentative degli interessi di imprese e lavoratori, che hanno concorso a quadruplicare il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro nell’arco di pochi anni.
Il rapporto di quest’anno evidenzia un dato rilevante: su oltre 1.000 contratti collettivi depositati nell’archivio nazionale, ben 632 risultano sottoscritti da organizzazioni non rappresentate al CNEL. Si tratta di contratti che, nella maggior parte dei casi, hanno un impatto pressoché nullo sui lavoratori, interessando poco più del 2% delle figure operaie e impiegatizie.
Per contro, i 385 contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti da organizzazioni presenti al CNEL coprono oltre 14.260.000 lavoratori, pari al 97% degli occupati nel settore privato. In particolare, i soli 214 contratti firmati da CGIL, CISL e UIL – che rappresentano appena il 21% dei contratti presenti nell’archivio – interessano 14.055.107 lavoratori, ovvero il 96% degli occupati del settore privato. Questi dati confermano la solidità del nostro sistema di relazioni industriali, con livelli di copertura contrattuale nettamente superiori a quelli registrati in altri Paesi, anche laddove esistono meccanismi pubblici di registrazione sindacale e di estensione dei contratti collettivi.
Una indagine campionaria condotta nel settore del credito, tradizionalmente apripista nel settore del welfarecontrattuale, conferma il ruolo sempre più rilevante che i sistemi di relazioni industriali stanno assumendo nella definizione di tutele integrative, in ambiti cruciali quali la previdenza, la sanità e il long term care.
Un altro tema su cui il rapporto del CNEL intende fare chiarezza è il monitoraggio della contrattazione di produttività, che oggi beneficia di rilevanti misure di sostegno pubblico, sotto forma di detassazione del salario variabile e di decontribuzione nei casi di coinvolgimento paritetico dei lavoratori.
Non mancano rapporti istituzionali sul numero di questi contratti, in costante aumento, e sugli importi oggetto di agevolazione. Ciò che manca, tuttavia, è un’analisi qualitativa in grado di valutare l’efficacia e l’impatto reale di tali misure pubbliche rispetto al conseguimento degli obiettivi dichiarati: produttività aziendale, qualità, efficienza, redditività e innovazione.
Seguendo l’invito di Meuccio Ruini, primo presidente del CNEL, anche quest’anno il rapporto si apre con una nota introduttiva di poche righe, di lettura trasversale e di sintesi “politica” delle dinamiche registrate nel 2024, pensata per offrire strumenti di comprensione anche ai non addetti ai lavori.
Ci auguriamo che questo rapporto possa finalmente raggiungere un pubblico più ampio, contribuendo a formare una consapevolezza diffusa, critica e informata sulla reale condizione del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva in Italia.